ISLAM Dall'Iran di Khatami alla preghiera rituale

ISLAM Dall'Iran di Khatami alla preghiera rituale fEittAWJNWIA l IL DIZIONARIO RAGIONATO DELLE PAROLE CHIAVE DEL MONDO MUSULMANO ISLAM Dall'Iran di Khatami alla preghiera rituale Igor Man FRENERÀ il Papa?», si chiedevano in molti dopo lo stupro di New York, due volte terribile e oscenamente blasfemo perché «visto in diretta». Il Papa non ha «frenato», si è recato in Khazakstan e in Armenia, quasi a ridosso di quell'Afghanistan, disgraziato Paese, che ospiterebbe lo Sceicco della Morte, il miliardario saudita Osama bin Laden, pressoché da tutti indicato come il giovine «grande vecchio» dell'ortodossia musulmana, d'una sorta di neowahabismo in forza del quale gli islamici veri vengono chiamati alla liberazione della sacra terra. Sacra perché ospita i luoghi santi dell'Islam: Mecca, Medina. Giovanni Paolo II non soltanto non ha «frenato», ma ha in fatto esortato al dialogo interreligioso, mite strumento, forte nella sua spiritualità, da usarsi con fede e prudenza. Quasi in contemporanea il presidente americano Bush, ovviamente scalzo, visitava la grande moschea di Washington: un gesto inteso a distinguere fra islamici buoni e islamici canaglia, per usare un' aggettivò caro' al Dipartiménto di Stato. Ma al punto in cui stanno le cose, è possibile distinguere fra musulmani buoni e musulmani cattivi? Fra terroristi islamici e islamici che il terrorismo subiscono? E, soprattutto, si può ancora sperare che il dialogo interreligioso non muoia, quando tutto si ostina a intralciarlo? Ancora: e se mai riprendesse il dialogo, servirebbe ad evitare la sciagura di una nuova guerra; magari «diversa» dalle precedenti ma guerra in ogni caso? Onestamente non me la sento di rispondere con un «sì» o un «no» a codeste incalzanti domande che mi vengono da tanti allarmati lettori. Quattordici anni fa, in Assisi, Giovanni Paolo II celebrò la prima preghiera interconfessionale: ebrei, islamici, cristiani, buddisti tutti insieme a pregare per la pace nel mondo. Nessun sincretismo bensì il tentativo di «spiegarsi», di «conoscersi» nel nome del Dio unico. Fu una manifestazione davvero edificante, quella di Assisi. Tanto che il Papa ne affidò la continuazione, anno dopo anno, alla Comunità (laica) di Sant'Egidio. E il dialogo interreligioso, grazie ai ragazzi (cresciuti) di Sant'Egidio, è andato avanti; quest'anno si è svolto a Barcellona in un clima, una volta ancora, edificante. Dopo quel che è accaduto io mi domando, però, se sia possibile ricorrere al dialogo per salvare la pace in pericolo certo; ad ostacolare il dialogo è una società neoislamica, maschilista, neonichilista, cui fa riscontro, per altro, una sorta di neolefebvrismo cattolico. Una società della quale sono «campioni», allarmanti, personaggi quali il Mullah Omar e il sedicente Emiro Osama bin Laden. Ingessati nel ricordo ossessivo di un passato splendido e tuttavia distante sette secoli dal presente (incerto) in cui tutti viviamo, musulmani e non. Ben vengano le preghiere interreligiose, chissà. Epperò lungo e urticante sarà il cammino verso quel porto di tolleranza, di condivisione invocato dal Papa dove i principi enunciati da Maometto, in un remoto passato, in seguito al messaggio di Issa (Gesù), possano armonizzarsi col tempo presente. Che in questo momento è il tempo fosco dell'odio, il tempo finale della guerra. Che massacra ma non punisce e nulla risolve. KHATAMI. E' il presidente della Repubblica iraniana. Due volte è stato eletto, a furor di popolo, con maggioranze incredibili. E' un moderato, i giovani lo stimano, i borghesi e persino i vecchi compratori del Bazar votano per lui. A dispetto di così straordinarie vittorie elettorali (spie d'un disagio profondo della società iraniana che oramai rifiuta la cupola d'una teocrazia fuori del tempo, sospettosa del progresso, nemica della libertà) il presidente Khatami «regna ma non governa». Egli deve sottostare, infatti, all'organigramma, diciamo così, del potere disegnato da Khomeini prima della sua morte. E codesto organigramma stabilisce che il potere effettivo risieda nella Guida, nella fattispecie Khamenei che presiede il Consiglio dei Guardiani, una sorta di potentissima Corte Costituzionale. Regna ma non governa il moderato Khatami poiché gli strumenti del vero potere dipendono, appunto, da Khamenei: la magistratura, l'esercito, ipasdaran (le milizie), la polizia di Stato e quella segreta. Durante la guerra Iran-Iraq egli era il boss del Ministero dell'Orienta- mento, il Minculpop iraniano. Non mi rinnovò il visto, mi ingiunse, cortesemente, di sgomberare entro tre giorni il Paese. Ma c'è la guerra, gli aerei non volano, obiettai. Si strinse nelle spalle, io mi arrangiai non senza fatica e pericoli. Nel tempo Khatami, un fine intellettuale, ha maturato il cambiamento che ne ha fatto il leader dei moderati. Oggi è non senza inquietudine che Khatami guarda alla tragedia di New York, alle sue conseguenze, all'impennarsi di «fratelli in Maometto» che predicano il terrorismo sui- cida, in fatto «inventato» da Khomeini. I suoi amici-elettori temono che, nel migliore dei casi, Khatami faccia la fine di Gorbaciov. Vedremo. KHOMEINI. E' l'ayatollah, presenza di Dio, che armato d'una vecchia copia del Corano, con la forza della sua parola ha raccolto intomo alla sua ierati- ca figura l'immenso esercito dei mostazafin: i senza scarpe, i sanculotti iraniani. Con loro, a mani nude, ha cacciato lo Scià, il potentissimo Re dei Re, accusandolo di falso modernismo, di stravolgere i connotati culturali della Persia. Scampato fortunosamente allo smembramento durante l'orgiastico funerale, quasi un linciaggio, il fragile corpo di Khomeini giace, oramai dal 6 giugno 1989, in una tomba dello sterminato paradiso di Zhara: il cimitero da Teheran. Su quella tomba, a ridosso dell'immenso riquadro 17, dove riposano i martiri della rivoluzione khomeinista, proprio là dove nel lontano 10 febbraio '79 Khomeini, di ritomo dall'esilio, proclamò il suo primato, hanno eretto un mausoleo che strutturalmente riprende le linee della Kaaba, dov'è la Pietra Nera, e della Moschea di Omar. Vien fatto di domandarsi come il suo potere abbia potuto trionfare durante dieci anni difficili, superando ostacoli tremendi. Primo tra tutti il massacrante conflitto con l'Iraq, che Khomeini, anziché concludere con l'eliminazione del cane rognoso Saddam Hussein, fu costretto a interrompere, tracannando l'amaro calice della 598, la Risoluzione dell'Onu, che troncava la lunga guerra devastante. In forza del terrore? No, il terrore da solo non sarebbe bastato per trionfare in un Paese come l'Iran, dove lo Sciismo è sinonimo di rifiuto, di protesta perenne. La sua arma vincente è stata piuttosto il Corano, ch'egb ha manipolato con estrema scaltrezza. Sembra incredibile, ma la sua formula è stata semplice: al magmatico esercito dei senza scarpe egli ha detto in termini persino rozzi: voi siete i portatori della Verità. Voi combattete contro il Diavolo, così come lo combattè fino al sacrificio supremo il profeta Ali. Dovete anelare al martirio perché è la chiave del Paradiso. Ecco, il martirio è stato il cardine teologico della cultura rivoluzionaria di Khomeini. Il martirio che «crea» i terroristi suicidi. MATRIMONIO MISTO. E' tollerato dall'islam e in teoria non pone problemi. Ma ciò vale quando è l'uomo a sposare una cristiana, una ebrea o una indù. Nell'islam, infatti, è l'uomo che «veicola» l'educazione religiosa dei figli. Non importa che la donna non musulmana si converta all'islam, può rimanere fedele al suo credo, ma per i figli è diverso. Per la cultura musul- mana (intesa come società) è automatico e ovvio che i figli dovranno ricevere un'educazione musulmana per crescere e diventare buoni musulmani. MOVIMENTO ISLAMICO PER LA PREDICAZIONE E LA GUERRA (MIPJ). Trae origine da una scissione all'interno del Gruppo islamico Armato (Già), ispirata e guidata dall'emiro Mustafa Kertali. L'organizzazione riunisce dissidenti del Già, del Movimento per lo Statò islamico (Mei) e del Fronte islamico del Jihad Armato (Fida). Si sospetta che siano stati «comprati» dalle forze di sicurezza algerine. MUBARAK. Quando Hosni Mubarak salì al potere sostituendo Sadat ammazzato sotto i suoi occhi durante la sfilata che celebrava la (mezza) vittoria riportata nella Guerra del Kippur, la gente lo amava. Lo considerava, infatti, onesto, lo chiamava Omega per sottolineare il suo impegno di leadermanager. Puntuale. Oggi lo chiamano in molti la «vacca che ride» e non sono in pochi a dubitare della sua onestà. Da anni il Raiss, un uomo coraggioso, un ex pilota di cacciabombardieri addestrato in Urss, combatte una «guerra che non si vede» con le forze ribelli dei radicali islamici, specie nella zona di Assiut. Apparentemente saldo al potere, egli sa che nel Terzo Mondo sono i miserabili a decidere della sorte dei potenti. Il fascino perverso di Osama bin Laden non può non preoccuparlo. E' preso dal dilemma: giuocare su una attenta equidistanza, ovvero schierarsi con gli Usa. Tempi difficili, i suoi, in un Paese dove nasce un bambino ogni trenta secondi e senza aiuti americani la gente morirebbe di fame. Letteralmente. MUEZZÌN. Il «conduttore» della preghiera. E' l'officiante che chiama alla preghiera i fedeli e che ha ricevuto una specifica formazione nelle tecniche vocali. Nei Paesi più evoluti è stato sostituito da una voce maschile registrata, proprio come è avvenuto in Occidente per le campane delle chiese, resistono soltanto in Arabia Saudita, nelle zone periferiche e più povere. A Tripoli ne è rimasto uno solo, vicino all'ex hotel Uaddan. Con la palma della mano aperta a conca a lato della bocca, lancia immancabilmente l'appello alla preghiera che si compone di sette formule precise. «Allah è il più grande» (ripetuta quattro volte), «Attesto che non v'è Dio all'infuori di Allah» (detta due volte), «Maometto è l'inviato di Allah» (due volte), «Suvvia, alla preghiera» (due volte), «Suvvia, alla salvezza». «Allah è il più grande» (detta due volte). «Non vi è Dio all'infuori di Allah». Appollaiato in cima al minareto (al-manara), come scrive l'antropologo algerino Malek Chebel, il muezzin (forma turchizzata del termine arabo mu'àdhdhin) è preposto all'appello dei credenti, affinché questi possano compiere la preghiera nella moschea. Si tratta di un obbligo canonico istituito dal Profeta e attuato nella prima moschea dell'islam eretta a Medina la Risplendente (al-Munawara). Fu l'abissino Bilal, imo dei compagni più fidati di Maometto, a ricoprire per primo questa funzione, tra le più rilevanti sul piano del rituale. MUSLIM. L'appartenenza all'islam non è legata a un'area geografica, a una nazionalità o a un passaporto, ma all'obbedienza ad Allah. Muslim (musulmano) è il nome di colui che possiede l'identità islamica. Musulmano è solo chi è sottomesso ad Allah, ha fede nel credo islamico e fa dei precetti maomettani un codice di vita che si fonda su cinque regole essenziah: i pilastri, islam, infatti, significa letteralmente «sottomissione ad Allah». Quindi, poiché Allah è Verità, solamente l'islam, tra le diverse religioni praticate dagli uomini, è la vera religione divina. OMAR. Davvero una verde (il colore del Profeta) primula rossa. Dicono che l'abbia incontrato due volte soltanto un importante (e fortunato) giornalista pakistano. Risulta ch'egli si sia intrattenuto piuttosto a lungo con una sola persona, l'ex inviato dell'Onu signor Lakhdar Brachimi. Il Mullah Mohammed Omar Akhunzada sarebbe nato nel 1959 in un miserabile villaggio a Sud di Kandahar. A ventanni entra nella resistenza ai sovietici, nei commandos istmiti e foraggiati dalla Cia. Con l'addestramento, riceve il primo paio di scarpe della sua vita. Combattendo i russi ha perduto l'occhio destro, l'invalidità lo ha «costretto» a far politica. Oggi è il leader supremo dei taleban. Nominato dal consiglio dei mullah «Emir el mu'minime». Sceriffo del Profeta e dei Credenti, preferisce farsi chiamare semplicemente taleb, studente, poiché studia perennemente il Corano. Un'aura di sacralità lo circonda avendo egli rivelato ai suoi d'essere «periodicamente visitato da Maometto». Alto, robusto, chiaro di pelle, nero di barba e turbante, con una benda (nera) alla Dayan a coprire la vuota orbita destra, a detta di Ibrahimi «emana carisma e forza. Si ha l'impressione che neanche la morte fermerà il suo disegno». Ch'è, poi, quello che viene attribuito al miliardario suo amico fraterno Bin Laden: la costituzione del «Grande Stato islamico globale». «Non importa quando, ma ci sarà», afferma. E aspetta, nascosto chissà dove, che il destino si compia: «La fretta è del diavolo, la lentezza di Dio». OSAMA. «Siamo alle calcagna di Bin Laden»: detto dal Presidente degli Stati Uniti potrebbe essere un annuncio storico. Non fosse altro perché il Presidente si è, per così dire, compromesso: non soltanto col suo (traumatizzato) Impero ma altresì col resto del mondo; in forza di «informazioni certe». «Lo vogliamo vivo o morto», ha detto il texano W., epperò sappiamo che vorrebbe averlo vivo per condannarlo, «prove alla mano». Il garantismo è nel Dna degli americani, per di più una buona istruttoria e un interrogatorio pubblico del (presunto) capo della cupola islamica trasformerebbero il buco nero del terrorismo (suicida) islamico in un Graal di informazioni preziose. Ma è sicuro il presidente Bush che l'uomo «tallonato» sia proprio lui e non un replicante del fosco terrorista? Sappiamo trattarsi di un ex palazzinaro saudita, valoroso combattente in Afghanistan nelle grazie della Cia perché nemico dei comunisti. Conosciamo le sue parole gonfie d'odio contro gli infedeli che lordano con la loro presenza (i Gì) l'Arabia Saudita custode dei Luoghi Santi dell'islam, parole raccolte da un cronista serio qual è Bob Fisk. Lo abbiamo visto in fotografia, in videocassetta, epperò chi ci dice che lui sia lui ovvero un replicante? E siamo sicuri che se è davvero lui l'uomo con la Delta Force alle calcagna, col suo arresto cessi l'odio contro di noi e crolli il suo progetto di Stato islamico globale? Dalle sue parti un conto è quel che si vede, un altro conto la realtà. Wait and see. PREGHIERE QUOTIDIANE. Ci sono rigide condizioni che rendono valida l'adorazione quotidiana: la purezza rituale, il vestiario appropriato, l'esecuzione della pre¬ ghiera nel tempo giusto, l'orientamento in direzione della Mecca (Qibla) e l'idoneità del luogo. La purezza rituale si realizza attraverso le abluzioni. Quando manca l'acqua, nei casi indicati dal Corano, si può far ricorso alla «lustrazione pulverale» (con terra pulita, sabbia, polvere). Per quanto riguarda il vestiario appropriato per l'adorazione quotidiana, l'uomo deve aver coperte, almeno, le parti del corpo tra l'ombelico e le ginocchia. La donna, invece, deve aver coperto tutto il corpo, ad eccezione delle mani e del viso. Ogni luogo pulito è idoneo all'adorazione. Non sono ritenuti idonei i luoghi di decenza, {»li immondezzai, i luoghi bui ed altri indicati dalla giurisprudenza islamica. Nella preghiera, di solito, il tappetino salva dall'impurità, ma, al limite, basta un foglio di giornale. [ha collaborato Giacomo Galeazzi] 13 - continua) Il Papa non ha «frenato», dopo lo stupro di New York, ma ha esortato al dialogo interreligioso da usare con fede e prudenza Bush, a Washington, è stato in una moschea Ma è possibile distinguere fra musulmani buoni e musulmani cattivi, fra terroristi islamici e chi il terrorismo subisce? Alcuni bambini sunniti, armi giocattolo In pugno, durante una manifestazione pro-teleban e pro-Osama a Rawalpindi Ulii