Attesa nelle tendopoli affamate

Attesa nelle tendopoli affamate TRA GLI UOMINI DEL DEFUNTO COMANDANTE MASSUD CHE COMBATTONO GLI «STUDENTI DI DIO» E CONTROLLANO IL NORD DEL PAESE Attesa nelle tendopoli affamate Voci crescenti di infiltrazioni militari americane Afghanistan Giulletto Chiesa VALLE DEI PANSHIR (Afghanistan) HINDU Kush, «Assassino degli Indù», la minaccia, la possanza della natura che incombe sull'Afghanistan. La valle sale lungo i contrafforti di questo gigante che s'arrampica a sua volta verso il Pamir, il tetto del mondo. La cronaca appare, per ora, molto lontana da questo lungo pulsare, e perfino dal suo precipitoso evolversi di queste settimane. La valle del Panshir è tranquilla e silenziosa come non mai. Il tran tran di questa miseria elementare si riproduce uguale come lo fu nei vent'anni di guerra che hanno preceduto questo ventunesimo. Da queste parti, chi ha vent'anni òggi non ha conosciuto altro che guerra, c'è nato dentro, è là sua realtà e la sua vita. Guerra e povertà, sangue e fame. Si cerca di vivere, incredibilmente, con niente, in una normalità anormale. Visto alla luce del giorno il grande campo profughi di Hanaba rivela un volto diverso da quello che vidi sette mesi fa, coperto di neve. Sotto ogni tenda, escrescenze sorte direttamente dalla terra, con lo stesso colore di terra, ci sono ora muri di fango secco: pareti coperte di tela, futuri, miserabili abbozzi di casupole, che testimoniano, assieme, la capacità di resistenza di questa gente e la fine delle speranze di ritorno alle case abbandonate laggiù nella piana, ai campi coperti di mine, agli alberi feriti dalle bombe. Il fondo della valle, vicino al fiume, è ora coltivato, fino all'ultimo centimetro quadrato, come in Cina. Mais per il pane. C'è un governo che amministra, e non è quello di Kabul; c'è una moneta, e non è quella di Kabul, anche se le assomiglia e porta lo stesso nome di «afgani»; ci sono i segni elementari di una vita organizzata, di qualche istituzione; ci sono dei ministeri, c'è una polizia che controlla perfino i passaporti. Ahmad Shah Mas- sud, prima di morire, aveva cominciato a costruire il suo stato. Poi, lo sappiamo, c'è stato l'attentato dell' 11 settembre a New York e Washington, e il mondo ha preso a girare più veloce, non si sa verso dove. Qui non si sente e non si vede. Non ancora. Non si vedono preparativi di guerra. Eppure, se l'Alleanza del Nord progettasse un'offensiva consistente contro i Taleban, sarebbe questa' la via più breve. E anche la più immediata per raggiungere Kabul. Dunque è qui che si dovrebbero vedere muoversi mezzi militari, artiglierie, contingenti di uomini. Invece niente. Il fronte è a trenta chilometri, ma tutto appare immobile, nemmeno inframmezzato dai remoti scambi di colpi d'artiglieria che risuonavano quotidianamente al di sopra delle teste mesi orsono. Si combatte più a nord, nei pressi di Mazar-i-Sharif, e forse l'offensiva arriverà da quella parte, l'altra e, con questa, l'unica possibile dal nord, per arrivare al passo di Salang, alla discesa rotabile verso la capitale. Ma il passo è ancora - pare saldamente - in mano ai Taleban. Si lascerà dunque fare tutto agli ex mujaheddin, aiutati ora e armati da Oriente e da Occidente? I commenti di Mosca che vedrebbe di buon occhio questo metodo per liberarsi dei taleban - sono improntati ad un prudente ottimismo, riconoscono ed elogiano la «saggezza» americana, che ha evitato lo scontro, che non ha scelto la linea della vendetta, che non è partita lancia in resta contro non si sa chi. Eppure questo ottimismo del Cremlino potrebbe essere fondato sulla sabbia dei deserti dell'Asia Centrale. Se fossero vere, cioè, le voci che arrivano qui, rimbalzando. Notizie che vengono dall'esterno, da radio e televisioni che qui, nella valle del Panshir, non si sentono e tanto meno di vedono, difficili da interpretare, e, spesso, da credere. In ogni caso impossibili da verificare. Una televisione del Qatar, Al Jesira, avrebbe dato notizia della cattura di tre americani e di due afgani, «vicino al confine iraniano». La fonte, probabilmente telefonica, sarebbe un misterioso portavoce militare dell'armata di Osama bin Laden. Ma il governo dei taleban, da Kabul, smentisce seccamente. Significa che la notizia è falsa? O significa che Osama lavora per conto proprio con i suoi mercenari ed è più efficiente dei taleban? E, sempre che la notizia sia vera, da dove venivano i tre americani? Certo, dopo il discorso di Ali Kamenei dell'altro giorno, non certo dall'Iran. E allora? Non resterebbe che il troppo silenzioso Turkmenistan, il cui satrapo eletto a vita, Saparmurad Nijazov è da tempo molto amico di Washington, cioè dei suoi dollari. Certo più amico dei dollari che dei rubli di Mosca. Allora si potrebbe pensare che, molto silenziosamente, forze e mezzi - elicotteri? - americani siano stati trasferiti in uno degli aeroporti turkmeni: quello di Mary, quello di Chardzhou, quello di Turkmenbashì (ex Krasnovodsk), quello di Ashgabat. Dunque non sarebbe tanto il confine iraniano il teatro di questa azione-reazione, quanto l'incrocio tra Turkmenistan, Iran e Afghanistan. Sarebbe dunque in atto una sotterranea operazione di penetrazione, con il Turkmenistan a fare da testa di ponte, in gran segreto. E non sarebbe l'unico protagonista. Per arrivare fino agli ex aeroporti sovietici, ora di Nijazov, gli elicotteri, forse partiti dalle basi turche, devono avere sorvolato a bassa quota - per evitare l'Iran - gli spazi aerei di Georgia e Azerbaijan, e avere poi sorvolato il Mar Caspio. Il che significa che l'America sarebbe riuscita a coinvolgere Eduard Shevardnadze e la Georgia, Gheidar Aliev e tutto l'Azerbaijan. Ma significa anche che Vladimir Putin avrebbe chiuso entrambi gli occhi e se ne sarebbe lavato le mani, perché un'operazione del genere non può non essere stata vista dai radar russi e dai servizi segreti del Cremlino. Dunque non l'infido Pakistan svolgerebbe ora la funzione di base d'attacco quando e se l'attacco dovesse venire - o comunque non soltanto Islamabad. Due ex membri del Politburò del Partito Comunista dell' Unione Sovietica (appunto Shevardnadze e Aliev), un alto esponente di quel Comitato Centrale (appunto Nijazov) e un ex agente del KGB (appunto Putin) sarebbero della partita. La storia non è mai finita, ma sembra ritornare sui suoi passi con una danza beffarda.