Pakistan-Kabul, trattativa a puntate di Giovanni Cerruti

Pakistan-Kabul, trattativa a puntate Pakistan-Kabul, trattativa a puntate Bin Laden resta in Afghanistan ma gli ulema non disperano Giovanni Cerruti inviato a ISLAM AB AD Ancora il soUto no. Osama bin Laden resta ospite protetto dai taleban, i sei ostaggi sotto processo per detenzione di Bibbia restano nelle galere di Kabul e da ieri li ha raggiunti Yvonne Ridley, giornalista inglese del «Sunday Express», arrestata a 60 chilometri da Jalalabad: travestita da afghana, scoperta sotto ima burqa troppo larga, per il Mullah Omar è un nuovo gradito ostaggio. Ancora un no, ma non finisce qui. La delegazione partita alle sei del mattino rientra a Islamabad dopo quindici ore. Tre diplomatici afghani, nove ulema pachistani, i due generali dei servizi segreti mandati dal presidente Musharraf. E' un no da taleban: sui principi, sul metodo della trattativa. «Verrà diffusa una dichiarazione congiunta - promette Rahmattullah Kakazada, console afghano a Karachi -. Le parti si sono impegnate a continuare i colloqui». Immaginarsi l'immediata consegna di Bin Laden o degli ostaggi sarebbe stato eccessivo. «Non ne abbiamo parlato, non erano argomenti nell'agenda del primo incontro». Il primo, dice. Tra Islamabad e Kandahar, dove il Mullah Omar riceve, il pendolo della trattativa sembra sempre sul punto di interrompersi, di franare, di lasciare spazio all'attacco militare e basta. Anche ieri, e per la prima volta, sono state conifermate da Washington e Londra incursioni di commandos americani e inglesi. Quando il Fokker decolla dall'aeroporto di Kandahar, pare che pure questa seconda missione sia franata. Che nemmeno gli ulema del Pakistan, invitati dal Mullah con la benda sull'occhio, siano riusciti ad aprire un varco di mediazione. Un'ora più tardi, quando l'aereo atterra e a Islamabad sono le nove di sera, le parole del console afghano a Karachi sembrano riaprire i lentissimi giochi. C'è ancora spazio per trattare, o nella peggiore delle ipotesi per far guadagnare tempo agli uni e agli altri, taleban e Pakistan. Ufficialmente restano sulle solite posizioni. Consegnate Osama bin Laden, liberate gli ostaggi, «altrimenti sarà una catastrofe». Gli «abbiamo consighato l'opportunità di andarsene dall'Afghanistan, ma non lo possiamo obbligare e sarà lui a decidere». L'appuntamento era a Kandahar, diventata la capitale del Mullah Omar e delle mosse di Bin Laden. Nella Kabul non più deserta, per tutta la mattina, il panico, con la contraerea afghana mobilitata sul cielo della città: era solo un'esercitazione. Al generale Mehemood Ahmed, il capo del servizio segreto pakistano, il compito di decifrare le voci che continuano ad arrivare dall'Afghanistan: se sia vero che tra i taleban e gli ulema esistano divisioni, spaccature, dubbi. Abdul Haq Wasiq, il vice capo dei servizi di sicurezza afghani, si è affrettato a smentire: «Non solo non è vero, anzi alcuni capi militari dell'Alleanza del Nord ci hanno comunicato che sono pronti a passare dalla nostra parte. Non accettano l'appoggio che gli americani stanno fornendo alla loro opposizione». Le agenzie di stampa fedeli ai taleban rilanciano per tutta la giornata dichiarazioni di mullah, come Abdul Raoof Arif della provincia di Kost: «Siamo tutti uniti, il popolo è con noi e siamo pronti a combattere la Guerra Santa fino all'ultima goccia del nostro sangue». La «Jihad», la guerra santa. Nelle dichiarazioni dall'Afghanistan non manca mai. Come nelle interviste, autentiche o meno, di Osama bin Laden. Ieri è toccato a «Ummat», il quotidiano di Karachi in lingua hnro", annunciare («do- manda scritte inviate tramite un mediatore») l'ultima esternazione di un Bin Laden che ripete la penultima. «La "Jihad" continuerà anche senza di me». «In quanto musulmano non mentirei mai». «Non ero al corrente degli attacchi agli Stati Uniti né sosterrei uccisioni di uomini, donne e bambini innocenti». «La nostra organizzazione Al Qaeda può contare su tre diverse reti di finanziamento e centinaia di migliaia di giovani», e dunque- congelare i beni serve a nulla. Ovviamente sarebbe pronto a rispondere alle accuse, se qualcuno lo mettesse nelle condizioni di conoscerle. Silenzio sulle conclusioni del Gran Consiglio degli ulema e del Mullah Omar, che il 20 settembre gli hanno suggerito «la possibUità» di lasciare l'Afghanistan. Le ha lette, secondo Kabul, solo il 27. Si aspetta il «secondo colloquio», e dunque le delegazioni non si sono ancora dette addio. L'intervento militare resta limitato alle azioni dei commandos che sono riusciti nell'infiltrazione. Il Paki- stan del generale Musharraf tratta attraverso gli ulema e sotto gli occhi del capo del servizio segreto militare. Ieri, venerdì, dopo la preghiera nelle moschee solo a Peshawar sono scesi in piazza. Cinquemila. Slogan per i taleban: «Combattete, combattete contro gli Usa». E per Bin Laden: «Osama ti amiamo». Manifestazioni appena tollerate, mentre le linee aeree pakistane, per i voli interni, viaggiano con agenti speciali a bordo e questo non è un buon segno. Islamabad non esclude che la delegazione di ulema, diplomatici e militari possa ripartire per Kandahar già in giornata. Atterrata all'aeroporto di Islamabad, salutati i tre diplomatici afghani, la delegazione pakistana si è subito diretta al Palazzo del Presidente. C'è ancora spazio per la diplomazia, per la politica. «Anche se lo scenario come dice Mohammad Khan, portavoce del ministero degli Esteri resta da disastro». Negoziato lentissimo «La resa di Osama non era nell'agenda del primo incontro» «La Jihad continuerà anche senza di me», dice il nemico numero uno dell'America *- ,,~ . Osama bin Laden come appare nel video da lui stesso preparato per un corso d'addestramento di guerriglieri e diffuso ieri