Strage all'assemblea cantonale: 15 morti

Strage all'assemblea cantonale: 15 morti Strage all'assemblea cantonale: 15 morti Svizzera, un uomo spara all'impazzata per vendicarsi di un ricorso respinto Fabio Poietti inviato a ZUG Non gli credevano. Non volevano credere alle sue accuse, a quegli strampalati discorsi sulla mafia degli autobus, sugli autisti ubriachi come gli amministratori e i politici che come ogni giovedì, sedevano nel bel palazzo con gli stucchi e i vetri a piombo e la scalinata di marmo nella centrale Post platz. Sette volte avevano respinto i suoi ricorsi contro la mafia, come ormai la definiva. Ma questa volta Friederich Laibacher, 57 anni di Zurigo, l'avrebbero ascoltato. A costo di svuotare il caricatore del fucile Sturm Gewert 90, l'avrebbero ascoltato. La polizia dice che deve averne sparati almeno tre, di caricatori. Settantacinque colpi, più quelli della Sig Sauer calibro 7 e 65. Più la bomba a mano lanciata tra quei corpi agonizzanti, in mezzo agli scranni col legno lucido dove siedono i parlamentari del Consiglio cantonale di Zug. E i giornalisti e il pubblico, che una volta al mese viene qui a sentire le decisioni. Come deve avere fatto altre volte Friederich Laibacher, l'uomo che voleva avere ragione e che alla fine della carneficina si è ammazzato con un colpo di pistola alla tempia. Quindici morti, tra loro Peter Bossand, Jan Paul Flachsmjann, Monika Hutter, ministri regionali responsabili della Sanità, dell'Interno e del Dipartimento costruzioni, più dodici consigheri. E poi tredici feriti, tre sono giornalisti, otto sono in pericolo di vita. In Svizzera l'ultimo attentato a un politico risale al 1899. Peter Hess, presidente del parlamento federale, anche lui ferito, adesso ammette: «Non conoscevamo la paura, adesso viviamo un senso di insicurezza». Zug e i suoi 90 mila abitanti, piccolo centro lindo sulle rive del lago di Lucerna. Un paradiso fiscale, dicono quelli che pensano male. Davanti al palazzo del Parlamento cantonale la gente fa la fila aer oltrepassare la striscia aianca e rossa della polizia e lasciare un mazzo di fiori, un lumino acceso sui gradini di marmo. «Non abbiamo idea perchè lo abbia fatto, non abbiamo idea perchè ce l'avesse con amministratori e politici», dicono alla polizia. Ci vorranno gli psicologi. O qualcuno che si prenda la briga di andare a riguardare quegli esposti che il signor Frederich Laibacher scriveva ogni settimana e poi affidava a un avvocato, Hans Stuzi, anche lui ricordato nel foglio che Laibacher ha scritto sul suo computer prima della carneficina. Quando in un tedesco corretto, come dice la polizia, ha ricordato le sue accuse e poi per titolo ha messo: «Tag des Zorner fur die Zuger mafia», il «giomo del furore contro la mafia di Zug». Inizia alle 10 e 20. Laibacher parcheggia la sua auto in Post platz. Si è messo la divisa blu della polizia, forse una di quelle vere, forse era un riservista. Ha gli anfibi, la Sig Sauer nel cinturone, in una tasca una bomba a mano presa chissà dove. In mano il fucile Sturm Gewert 90 dell'esercito svizzero. Non dice una parola, attraversa il giardinetto che porta al Museo delle antichità e allo zoo e sale gli scalini. Quelli che portano dentro al palazzo, quelli dove adesso ci sono i fiori e i lumini e i poliziotti e i politici, i sopravvissuti di qui e gli altri che arrivano da Berna dove hanno deciso di tenere il lutto fino a domenica, con le bandiere a mezz'asta e tutti che dicono: «Non era,mai successo, da noi certe còse sono inimmagi- nabili». Tanto che non c'è uno che controlla quel poliziotto che va di fretta. Non c'è un metal detector, non c'è niente di niente per i primi venti scalini e poi gli altri venti che portano all'emiciclo e agli spazi riservati al pubblico e ai giornalisti. Alle 10 e 30 Friederich Laibacher è dentro. Alle 10 e 32 mentre la seduta è in corso lui urla il nome di Robert Brisig, il ministro del Lavoro del cantone, il suo nemico, uno tra i tanti rimasti miracolosamente illesi. E poi grida: «Bastardi, ucciderò la mafia di Zug». Alle 10 e 36 è tutto finito. In tre minuti arrivano i pompieri per spegnere gli incendi nella sala consiliare. Poi la polizia e le ambulanze, tante ambulanze. Il palazzo viene fatto evacuare, ci sono 80 consiglieri e 150 impiegati. Da Zurigo e da Berna arrivano le prime telefonate dei vertici della polizia e della politica. Vogliono sapere. Chiedono se si tratta di un attentato, di una qualche cellula islamica impazzita che chissà perchè avrebbe preso di mira il piccolo consigUo di Zug. In meno di un'ora ecco la smentita in un comunicato della Cantonal Polizei: «Non ci sono collegamenti con quello successo l'i 1 novembre a New York». E per la pacifica Svizzera è pure peggio. L'assassino è di Zurigo Era vestito da poliziotto e armato con fucile pistole e bomba a mano Ha agito indisturbato alla fine si è suicidato Ogni settimana mandava un esposto Prima della carneficina ha scritto sul computer «Giorno del furore contro la mafia» | Un'immagine della strage di Zug, a destra la piazza del Parlamento

Luoghi citati: Berna, New York, Svizzera, Zurigo