Scontri con i taleban sulla frontiera rovente

Scontri con i taleban sulla frontiera rovente SUGLI SCENARI DELLA GUERRIGLIA Si STAGLIA IL SOGNO DI UN «GRANDE TURKESTAN» CHE ABBRACCIA L'INTERA REGIONE Scontri con i taleban sulla frontiera rovente Contro le forze di Kabul impegnati migliaia di guerriglieri uzbeki del generale Dostum. Le brigate islamiche internazionali di Al Qaeda appaiono ormai parte integrante del dispositivo militare afghano reportage Giuliétte Chiesa DUSHANBE' DA qui tutte le cose si vedono con occhi diversi da quelli occidentali. Anche perché qui la guerra si coniuga al presente e non in un futuro ipotetico, sebbene più che probabile. Le frontiere meridionali del Tagikistan sono roventi e la temperatura cresce di giorno in giorno. Ieri ci sono stati combattimenti furiosi attorno alla provvisoria linea del fronte, poco più a Ovest del fiume Piandzh. Sotto gli occhi, si può dire, e le canne delle mitragliatrici - rimaste silenziose - della 20 la Divisione mototrasportata russa. Alleanza del Nord e taliban misurano le loro forze nell'imminenza di eventi più grandi e per ora solo congetturabili. Oggi combattimenti ancora più violenti si sono registrati 60 km a Nord di Mazar-i-Sharif, attorno al villaggio di Puli Barak, non lontano dalla frontiera uzbeka. Secondo fonti russe si sarebbero affrontati almeno 5000 combattenti di ciascuna delle due parti: taleban contro gli uzbeki del generale Dostum. Il quale, dato per morto, ha parlato invece per telefono con il governo di Dushanbé, per smentire la notizia e magnificare la vittoria in cui avrebbe annientato 200 taleban, distrutto 7 carri armati e una decina di blindati, e catturato circa 600 prigionieri. Forse. Non ci sono ovviamente conferme di parte taleban e perfino dei mujaheddin di Rabani, che soffrono di qualche gelosia, per non dire diffidenza, nei confronti dell'uzbeko Dostum, troppe volte traditore anche se ora alleato. Ma queste vittorie, più o meno grandi, rimangono spesso senza effetto perché i comandanti sono molto «locali» e, una volta messo in fuga il nemico, o l'intruso, rifiutano di inseguirlo e di condurre campagne contro di lui. E' questa una delle ragioni per cui le linee dei fronti sono così complicate e così immobili, e queste guerre sembrano così endemiche e fatali. Del resto questo è vero anche per i taleban, che si dividono nettamente tra taleban «locali» e taleban «di Kandahar». Cioè truppe non trasportabili e truppe realmente mobili. In questo si dice che Osama bin Laden abbia portato un'innovazione radicale, alla fine accettata dal Mullah Omar dopo averne misurato l'efficacia operativa: quella delle brigate islamiche intemazionali. Osama, insieme a Dzhuma Kodzhaev, detto Namanganì, avrebbe ricevuto l'incarico di coordinare il reclutamento e l'addestramento di combattenti islamici provenienti da tutta la galassia dell'estremismo religioso, dall'Algeria alla Malesia, passando per Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Palestiria e così via. Osama, Namanganì e un terzo comandante noto come Takir Juldash, sarebbero divenuti in questi ultimi due anni secondo questa versione - parte integrante del dispositivo militare dei taleban, dotati di forze proprie (Osama almeno 5000 uomini, Namanganì oltre 4000) capaci di agire in ogni provincia afghana, feroci e risoluti, armati meglio degli stessi taleban. Se questa versione - raccolta da una fonte militare tagika molto ben informata - fosse vera, Osama bin Laden sarebbe qualcuno di molto diverso dal fuggiasco che si nasconde nelle grotte e che cerca e riceve ospitalità in Afghanistan. Sarebbe invece uno dei capi militari più importanti e, in caso di conflitto più esteso, uno dei giocatori principali. E che sia percepito come un nemico perfino più temibile degli stessi taleban, qui a Dushanbé come a Tashkent, a Bishkek e perfino ad Ashghabat, sembra derivare dalle inquietudini per i suoi piani, mai abbandonati, di dare vita al «Partito islamico del Turkestan»: una forza che, fin dal nome, evoca il ritorno a un'idea che fu in auge nei primi tempi del potere sovietico rivoluzionario, quando ancora non esisteva nessuno degli Stati centro-asiatici ora divenuti indipendenti con la fine del- l'Unione Sovietica. Quest'idea avrebbe un potenziale destabilizzatore esplosivo, se dovesse prendere respiro, perché significherebbe la fine del Tagikistan come Stato e anche di tutti gli altri Stati della regione. Il Turkestan - che non è mai esistito - dovrebbe diventare un grande Stato a prevalenza turcofona, islamico, tale da abbracciare praticamente l'intera regione dal Caspio fino all'Afghanistan inclusi. Un disegno al tempo stesso capace di mutare l'intera geopolitica asiatica, la fisionomia del mondo islamico, il futuro delle strategie e dell'energia del mon¬ do intero. Idea che poteva apparire peregrina prima dell'11 settembre, ma che fa paura a molti. In primo luogo alle leadership laiche dell'Asia centrale, che hanno festeggiato da poco i loro primi 10 anni di indipendenza ma che devono ancora dimostrare, a gran parte delle loro popolazioni impoverite, di essere migliori della vecchia Unione Sovietica. Che, per molti, musulmani e non, rappresenta ancora la nostalgia e la sicurezza, almeno fino a che non tentò l'avventura afghana, e che torna ad essere oggi la «grande protettrice». Il confine tagiko non sarebbe blindato, com'è, se non ci fossero i russi. E la stabilità dell'intera regione non esisterebbe senza i russi. Così come, senza i russi, l'alleanza del Nord, cioè gli antichi nemici, non avrebbe potuto reggere all'assalto dei taleban in questi cinque anni. Ora, con l'America ancora ferma a ponderare i rischi e le difficoltà di un'azione militare, i mujaheddin - con gli aiuti di Mosca alle spalle - rischiano di arrivare a Kabul per primi. Il che significa che sarà anche la Russia a decidere come e da chi sarà composto il futuro governo di Kabul. Un gruppo di profughi afghani, su un vecchio veicolo sovietico, raggiunge il villaggio di Bagram in mano ai mujaheddin

Persone citate: Barak, Dostum, Giuliétte Chiesa, Mullah Omar, Osama Bin Laden