Milioni di profughi Alle frontiere il prossimo incubo

Milioni di profughi Alle frontiere il prossimo incubo A NORD CE' GIÀ' LA GUERRA VERA MA A ISLAMABAD SONO I BOLLETTINI DELL'ALTO COMMISSARIATO A SUSCITARE PREOCCUPAZIONE Milioni di profughi Alle frontiere il prossimo incubo Il personale delle Nazioni Unite, costretto a lasciare l'Afghanistan, teme il peggio. Ieri ventimila al confine di Chaman, nel Kandahàr Giovanni Cerruti inviato a ISLAMABAD A Nord, raccontano, lontano dalle tv c'è già la guerra vera con il suo bollettino di morti, feriti, taleban catturati e interrogati, aride montagne conquistate, verosimili incursioni di commando e infiltrati travestiti da mujaheddin. Ma questo, nella sala troppo piena del Marriott Hotel, è un bollettino che interessa poco. Davanti alle tv si contano i disgraziati, i disperati, gli affamati, i moribondi. Quel milione e forse due di afghani allo sbando, rimasti con i cenci e senza gasolio per i camion, accampati sul greto di fiumi asciugati da tre anni di siccità, con le capre senza latte. «Calcoliamo che uno su cinque è un bambino sotto i cinque anni di età», dice Yussuf Hassan, il portavoce delle Nazioni Unite. Li chiamano profughi anche se sono ancora in terra afghana, e dunque profughi diventeranno: se avranno fortuna. Fuggiaschi. Nomadi per forza. Nella sala del Marriott è come se la guerra vera li avesse jià travolti, sconfitti, dimenticati, juoni appena per una foto che inviti alla rabbia o alla pietà. Dal 12 ottobre l'Alto Commissaria- to per i Profughi tenta di farsi ascoltare, grida cifre da spavento e mette in fila previsioni orribili. Khaled Adley, il responsabile del Programma mondiale dell'alimentazione (Pam), dice che «nelle provincie afghane di Farayab e Balakh almeno 320 mila persone hanno scorte alimentari per una sola settimana». Parla di carestia. Di malattie, infezioni, epidemie. «Entro dicembre 1 milione e 600 mila afghani saranno senza cibo». Di acqua non parla, tanto si sa già che non c'è: da tre anni, oltre ai taleban del Mullah Omar e all'inafferrabile Bin Laden, si è abbattuta anche la siccità. Non piove mai, non piove più. Le cifre dell'Alto Commissariato, aggiornate nella sala conferenze del Marriott, dicono che 5 milioni di afghani campava grazie agli aiuti umanitari. Da una settimana i taleban hanno cacciato il personale delle Nazioni Unite e quei cinque milioni di poveracci chissà come si arrangiano. Abbandonate le città si spostano ai confini. E qui restano, rischiando le bastonate dei taleban. A Chaman, nelle provincia di Kandahàr, anche ieri ne hanno segnalati altri 20 mila in arrivo. In tre giorni fa 60 mila. Come promesso i pakistani hanno riaperto la frontiera, solo un paio d'ore, e solo per controllare chi e quanti sono. {(Abbiamo portato 2 mila tende, brande, coperte, acqua, cibo, latte condensato, medicine. Siamo pronti per aprire un campo profughi a 10 chilometri dalla linea del confine», dichiara il portavoce Gnu Yussuf Hassan. I pakistani sono più cauti. Lasciano passare solo chi ha documenti in regola, come il personale dell'ambasciata afghana di Islamabad che è ancora aperta, o magari chi se lo può Denmettere e paga i frontalieri taleDan. Il personale dell'Alto Commissariato, a Quetta, ieri aspettava donne e vecchi e bambini. Non è arrivato nessuno. La polizia pakistana di frontiera ha spiegato che gli ordini da Islamabad sono rigorosi. A due giorni dalle manifestazioni organizzate dal govemo non possono rischiare infiltrazioni pericolose. Nella sala del Marriott Hotel i rappresentanti dell'Onu raccontano la tragedia dei miserabili afghani e la loro. Da Kabul e Kandahàr li hanno cacciati, i magazzini svuotati, le sedi occupate, i telefoni satellitari espropriati. Anche loro, davanti alle tv, hanno facce disperate. Il bilancio di un miliardo di dollari del 2000 è calato a 870 milioni. Già assistono un milione di vecchi profughi in Pakistan, 500 mila in Iran, 150 mila tra Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan. «In Afghanistan 3 milioni e 800 mila persone erano sotto la nostra assistenza. Prevediamo, se la situazione non migliora, che dal 1 ' novembre la cifra potrà essere superiore ai 5 milioni e mezzo». Ma chi bada loro? Se ne sono andati l'Onu e perfino la Croce Rossa che non se ne va mai e quando abbandona è l'ultima. «E' rimasto il nostro personale afghano», dicono senza speranza. I taleban hanno requisito il requisibile, ora le medicine dell'ambulatorio servono a Nord, su quella linea del fronte che ogni giorno arretra. A sentire Khaled Adley, o il portavoce Jussuf Hassan, o l'olandese Ruud Lubbers, l'Alto Commissario per i rifugiati, è come se l'unica previsione attendibile fosse la peggiore. Come se tra un attimo sull'Afghanistan si scatenasse una furia di bombe che fa scoppiare i confini. «Stiamo cercando di far arrivare in Pakistan tutto il materiale possibile, dal cibo alle medicine». Si preparano al dramma, all'esodo dei disperati. Al confine di Chaman li aspettano le avanguardie dell'Orni e la retrovia è a Quetta, l'ultima città pakistana dell'Ovest. ((Abbiamo scorte per tre settimane», dicono: «Più che fare appelli al mondo, a tutta la comunità intemazionale, non possiamo farè»:Si aspettano «utta catastrofeumanitaria». C'è chi vorrebbe tornare in Afghanistan, ma le Nazioni Unite hanno deciso che non sipuò rischiate^ sarebbero un obiettivo, diventerebbero ostaggi. Solo Gino Strada, il medico italiano di «Emergency» sta rischiando: è rientrato in Afghanistan a cavallo. Si preparano al peggio e non sono i soli. A Islamabad, in tutto il Pakistan, passano i giorni e sembra che nulla accada o stia per accadere. Uno strano e pesante clima di incertezza. Ogni giorno si annunciano manifestazioni di protesta contro il presidente Musharraf, che ha abbandonato i fratelli taleban per schierarsi con la vendetta Usa. I fotografi e le tv corrono a Rawalpindi, a Peshawar, davanti alla moschea di Islamabad. Il bambino con il fucile. Il ragazzino che urla «siamo tutti Bin Laden». Il pupazzo di Bush che brucia. I poliziotti con il manganello di bambù. Quasi un rito. C'è chi si sta convincendo che nulla succederà, che davvero i tempi saranno lunghi e lenti. Ma c'è chi intuisce e teme il peggio, come quei due milioni di disperati afghani e come l'impotente personale delle Nazioni Unite. Chi si è procurato un visto per una fuga in India, perché non si sa mai. E chi, come i tecnici delle tv Usa, impara a memoria ima frase in "hurdu", la lingua pakistana: «Io non sono americano...» I responsabili dei soccorsi dicono che l'unica previsione attendibile è la peggiore e che tra un attimo da Kabul potrebbe rovesciarsi una bomba umana 2&-S Un gruppo di profughi afghani entrano in Pakistan al posto di frontiera di Chaman, 180 chilometri a Nord-Ovest di Quetta