KHYBER PASS La porta dei conquistatori di Kabul

KHYBER PASS La porta dei conquistatori di Kabul UN PONTE DOVE' PASSATA LA STORIA DEL MONDO OR A DIVENTA IMPROVVISAMENTE INACCESSIBILE KHYBER PASS La porta dei conquistatori di Kabul reportage /limmo Candito invBfETSl'mBEffPASS LA chiamano frontiera, questo posto rdifmòhtàgna.'.-BiiuUo, ruvido, graffiato dal vento caldo l'estate e addormentato poi nella neve, durante i lunghi mesi dell'inverno. Ci sono anche i doganieri, naturalmente, con i turbanti colorati, i baffoni ^;uri, le uniformi che in questi giorni sono tirate a lucido e si capisce perché; e c'è perfino un vecchio grande portone. Che ora è chiuso e da qui non si passa, né ad andare né a venire. La chiamano frontiera ma é una bestemmia, perché questa non è ima barriera che divide due popoli. E', invece, un ponte attraverso il quale è passata la storia del mondo, dai militi di Alessandro Magno generale giovinetto che andava alla conquista del pianeta, fino ai lancieri orgoghosi del Bengala che su queste gole salirono con pifferi e cornamuse ma ne scesero in numero assai inferiore e con le lance trascinate inutili sulla terra. E soltanto oggi che questo portone è sbarrato quella storia di ambizioni romantiche, di meraviglie, d'avventura malata d'eroismo, all'improvviso pare dividersi, noi tutti qui a guardare su per la montagna diventata inaccessibile, e loro, gli afghani, dall'altra parte, a farsi i conti come soltanto loro sanno fare, che è comunque mi modo antico, lo stesso che già facevano i loro nonni e i nonni dei nonni, in un universo sul quale il tempo il nostro tempo - è passato silenzioso, in punta di piedi, per non disturbare. L'Afghanistan sono i vecchi ulema riuniti nel conclave di ima democrazia comunitaria, o anche lo sceicco Omar che predica a piedi nudi il dovere dell'obbedienza da una piccola stanza spogha, nell'antica città di Kandahar, un Savonarola allucinato che tutti ascoltano e venerano come fosse un pontefice addobbato di paramenti su un trono dorato. Viaggiare dentro queste terre è seguire itinerari che scivolano nel tempo della storia, di quando le stagioni della vita procedevano lente e il costume sociale aveva leggi severe che nemmeno codificava ma che ugualmente valevano come un imperativo assoluto, e nessuno osava contraddirle se non rischiando la morte. Ancora oggi non c'è uomo qui, persino i ragazzi, che non abbia un fucile in spalla; è la loro garanzia di vita ma é anche la loro identità. Lo portano con le canne puntate verso terra, o di traverso sulle spalle appoggiando le braccia a bilanciere, il destro sul calcio deh'arma, e il sinistro sulla canna. Sono immagini di una iconografia che il tempo non ha mutato in nulla, dai primi schizzi che qui tracciavano i viaggiatori ingtesi^Ghe-venivan© a rendere omaggio alla gloria del Khyber e poi scendevano a Peshawar a prèndere tè e biscottini con gli ufficiali delle guarnigioni sipoy acquartierati alle porte della città. La sola differenza è che a quel tempo i fuchi erano gli enfield e oggi sono i kalashnikov, ma ci sono vecchi che ancora portano in spalla il loro moschetto con lo stesso orgoglio degh anni lontani. E comunque a pochi chilometri da qui, c'è un'intera città che vive fabbricando anni, rifacendo nuovi enfield con la perizia di un'armeria inglese, o kalashnikov o perfino mortai o cannoni. E i prezzi sono stracciati. Al di là del Khyber Pass e deUe due toni di guardia non si sentono ora arrivare qui le voci di una quotidianità che era una frequentazione comune. Ma questa divisione - che è una frattura della storia - serve solo a isolare una geografia, traccia confini che le tribù che vivono queste terre stentano a riconoscere, perché qui nei secoh la porosità deUe linee che separavano gh Stati nasceva aU'intemo di quel "Grande Gioco" dove impero britannico e impero zarista si combattevano con ogni perfidia, con una posta che era il controUo dei mari caldi e l'accesso della via della seta. Il piccolo Kim di Kypling e il suo vecchio Lama si incontrano ancora oggi lungo . queste strade, con la loro ciotola di riso e la mano tesa verso i "sahib"; ma ora, in questi giorni aspri, essere un "sahib" con la pelle bianca significa aver fatto un salto di secoh, dentro un mondo che invece è rimasto immobile. Quei seicento ulema, tutti con le loro barbe bianche, i turbanti a ciambella e il camicione candido, che per tre giorni hanno dibattuto la minaccia americana come se davvero sapessero che cosa significavano le tonnellate di bombe di un B-52 o-un'incursione lampo dei Seal, in, un'immagine di contraddizione drammatica.sùii flusso regolare del tempo della storia, quelli sono la realtà di un Paese che pare non essere uscito mai dal Medioevo. Il mondo afghano è una galassia di etnie e di tribù con più di mille nomi, e ogni tribù (ogni etnia) controlla quote di territorio che la geografia deUe montagne fissa con una separazione naturale di burroni, canyon, passi inaccessibili, e gole a strapiombo, che diventano dominio esclusivo, protetto come una sorta di sovranità feudale. La litigiosità e la diffidenza reciproca che accompagnarono la lunga guerra dei gruppi di mujaheddin contro l'armata rossa si fissava anche in una geografìa non tracciata da nessuna carta, ma reale e decisiva sul teneno, per la quale ogni clan e ogni banda avevano la propria riserva di territorio, come formazioni partigiane che famio la guerra al nemico comune ma mai si allungano ad invadere, a disturbare, la guena che il vicino sta combattendo. I talebani, quando arrivarono in Afghanistan passando da qui, ed era il '94, si imposero anche perché portarono un principio di ordine comune, di disciplina istituzionale, in un Paese dove la guerra vinta aveva lasciato il territorio in mano alle scorrerie e ai soprusi deUe bande di mujaheddin. Erano una chiesa e un esercito contemporaneamente, e in una spcietà arcaica, fortemente gerarchizzata, legata al riconoscimento dei valori della tradizióne, quella predicazione sulla punta di un fucile (accompagnata comunque da una sostanziosa disponibilità di denaro), trovò presto le ragioni per imporsi, e imporre un "ordine" che le forme della religione rendevano subito credibile, conosciuto da tutti, accettato senza offese alla propria identità etnica o tribale. Lo sceicco Omar ne è diventato il simbolo. Ha un potere assoluto, ma si proclama solo "principe dei credenti", fedele tra i fedeli, come se fosse ancora il povero contadino dei suoi anni d'adolescenza, prima che la scuola coranica e un carisma sorprendente, forse anche ingiustificato, lo facesse diventare la voce tenena di Allah. Se ne vive isolato in una casa circondata da un muro di taliban, con un lungo camicione verde che gli arriva sotto al ginocchio e una benda sull'occhio che la leggenda vuole strappato dalla violenza della guena contro i russi ma che pare essere piuttosto l'amaro risultato della scheggia di una bomba sovietica. Come il sacerdote di un rito antico, primordiale, le sue parole sono la legge; il mistero che accompagna la sua vita clandestina, e le sue terze nozze con una figlia di Osama bin Laden hanno cementato come in un fumettone di Shakespeare l'alleanza di potere e di sangue che regge il controUo della vita del paese. La chiesa-esercito dei Taleban, restaurando un "ordine", ha imposto anche uno stile di vita che stracciava via la lenta evoluzione che la cultura metropohtana (Kabul aveva una deUe università di punta dell'Asia centrale), stava- portando' anche-su quel 70 per cento di popolazione perduta da sempre a dannarsi nei campi il pane di ogni giorno. Oggi a Kabul la "polizia religiosa" è il potere più forte che domini la città, perché incastra nel controllo del costume quotidiano anche le forme di esercizio dell'autorità politica, istituzionale. Le donne non soltanto sono state obbligate a portare il mantellone che e copre dalla testa ai piedi - e la loro università è stata chiusa e le loro scuole sono semiclandestine o comunque mal tollerate ma dovrebbero indossare soltanto pantofole senza tacco, per non far rumore ed eccitare con quel ticchettio il diavolo che sta assopito nel cuore degli uomini ("dovrebbero", ma ora s'intrawede sotto la "burka" qualche raro tacco e qualche misera scarpa comprata nei mercatini che spuntano misteriosamente tra le rovine deUa città). Dal vecchio Khyber ieri non è venuto giù nessuno. La strada che scende tortuosa come i gironi di un inferno grigio, accompagnata a ogni tornante dalle placche di marmo che ricordano sulle pareti di roccia la gloria e la sventura dei reggimenti che qui passarono sventolando l'Union Jack, è rimasta vuota, portando solo l'eco lontana del respiro angosciato di quel milione di disgraziati che premono dall'altra parte del grande portone verde di Tourkham. Ma la loro è soprattutto una fuga dalla paura della guena, il gulag di un "ordine" ossessivamente puritano non ferisce poi troppo le abitudini di una società perduta nel tempo: i Taleban sono figli dello stesso mondo di questa gente che scappa, quello che h fa diversi è soltanto quella che potremmo chiamare la conoscenza della vita. I Taleban vengono dai campi profughi nati qui accanto, sulla frontiera pakistana, e i valori che hanno imposto alla società afghana sono i "valori del vihaggio" reinterpretati però da chi la vita del vihaggio non l'aveva mai vissuta, con una concezione perciò astratta, fanatica nei principi e neUe applicazioni. Il loro furore in battagha, ma anche la loro timidezza, poi, nella vita di ogni giorno e nel rapporto con gli altri, sono le forme neUe quali si realizza questa separatezza monastica della loro formazione. Sono i monaci di una clausura che ancora non si è misurata con il mondo di fuori e quel grande portone verde, chiuso, lassù sul Khyber, è come la porta che separa l'idea della vita dalla vita. I seicento ulema con le barbe bianche e i turbanti a ciambella che per tre giorni hanno dibattuto sulla minaccia Usa sono la realtà di un paese che pare non essere mai uscito dal Medioevo Il loro regime ha saputo imporre un ordine che grazie alla religione è conosciuto e accettato senza problemi da ogni etnia o tribù Oggi nella capitale il potere più forte è la «polizia religiosa» Controlla il costume ed esercita insieme l'autorità politica Ma la paura ha spinto un milione di persone a premere sul confine g La preghiera del venerdì g I Taleban sono come monaci di una clausura che ancora non si è misurata con il mondo fuori dall'Afghanistan Il Mullah Mohammed Omar

Persone citate: Alessandro Magno, Lama, Mohammed Omar, Osama Bin Laden, Pass, Seal, Shakespeare

Luoghi citati: Afghanistan, Kabul, Kandahar, Usa