«Un disastro umanitario fare guerra a Kabul»

«Un disastro umanitario fare guerra a Kabul» GRIFONI, PER OTTO MESI CHIRURGO A FEYZABAD; MONTAGNE INACCESSIBILI, GLI USA RESTEREBBERO IN TRAPPOLA COME L'URSS NEL 1980 «Un disastro umanitario fare guerra a Kabul» Il vicepresidente di Medici senza frontiere: per gli afghani e per gli invasori intervista Jacopo lacoboni UN attacco di terra in Afghanistan sarebbe un disastro umanitario, «inerpicarsi su quelle montagne con carri armati e battaglioni costerebbe decine di migliaia di vite agli afghani inermi, ma anche agli Stati Uniti». Riccardo Grifoni, chirurgo e vicepresidente di «Medici senza frontiere», conosce quei monti e quelle fortezze e, delle guerre, l'altra faccia: morti e feriti. Tra il '99 e il 2000 è stato otto mesi a Feyzabad, nel Badakhshan, cuore dell'Afghanistan del Nord guidato da Ahmed Shah Massud, il comandante morto l'altro giorno dopo l'attentato fondamentalista. Il medico ha lavorato nei campi e sfiorato il Leone del Panshir, «un uomo a cui la gente voleva bene». Conosciuto un paese «poverissimo», «del tutto privo di sistema sanitario», «col primo tasso di mortalità extraafricano». Ora dice: gli errori dell'Occidente sono tanti. Su tutti: aver lasciato solo Massud. Ne eviti uno più grave: una guerra «che ucciderebbe afghani incolpevoli e manderebbe a morire altre mighaia di giovani americani». Le potrebbero obiettare che non è imo stratega. «Però conosco la geografia di quel posto e mi interessa che non vengano sacrificate altre vite umane. Se uno è stato in Afghanistan lo sa: pensare di attaccare posti come Feyzabad, Baharak, Eshkashem è pazzesco, sono luoghi chiusi, inaccessibili, con un clima inospitale. Lo stesso si può dire per il Panshir, o per città come Kabul e Kandahar. Ma lo sa chi parla di guerra terrestre che strade ci sono lì?». Eppure il Pentagono, e la Nato che vota l'articolo cinque, ci stanno pensando. «Sbaghano, si rischia una carneficina peggiore di quella toccata all'Unione Sovietica nell'80. Su quelle vallate resterebbero intraiipolati mighaia di giovani americani, molti di più dei cinquantamila russi di allora. Si ammazzerebbero afghani inermi, gente che non c'entra coi Taleban e, anzi, ne soffre il regime». E impossibile non immaginare una reazione. «Si, ma ce ne sarebbe una molto più indolore: infiltrare l'organizzazione di Bin laden e colpirla assieme al suo capo. Ouando ero a Feyzabad mi sono accorto che i Taleban infiltrano sistematicamente la gente che li combatte. È credibile che l'intelligence Usa non riesca a fare lo stesso con Al Qaeda e catturare, o uccidere, Bin Laden?». L'Afghanistan che lei ha conosciuto presterebbe uomini per questo compito? «Lo avrebbero fatto i seguaci di Massud e non solo loro, ma gli Usa li hanno lasciati soli. Il presidente del Nord, Rabbani, mi disse che quando andò in Europa a chiedere aiuto fu praticamente ignorato». E il resto della nazione? Non tutti sono anti-Taleban. «Non tutti si ribellano apertamente come Massud. Ma colleghi che hanno lavorato a Kabul sostengono che anche nella capitale la gente tace solo perché ha paura». In che condizioni è l'Afghanistan che ha visto? «Hanno il più alto tasso di mortalità materna Africa esclusa, 1700 morti ogni centomila persone. Non arrivano al primo compleanno 165 bambini su mille. Non hanno servizio sanitario ma solo l'aiuto di organizzazioni volontarie come "Medici senza frontiere", che opera in diverse basi: nel Nord a Feyzabad, dov'ero io, a Baharak, a Eshkashem, nel Panshir. E poi a Kabul, Kandahar, Herat. Dopo l'Angola sono la nazione più minata, purtroppo trovi i resti di bombe prodotte anche da aziende italiane: ogni giorno curavo gente con le piaghe per nuovi scoppi, ci sono dalle dieci alle cinquanta mine per chilometro quadrato. Una ogni due persone. Sono poverissimi, inutile dirlo». Voi occidentali come siete stati accolti? «Con rispetto, perché anche noi rispettavamo i loro usi e la loro religione, a cui ovviamente tengono tantissimo. Non sono fanatici: a Natale del '99 ci scambiammo i doni tra cristiani e musulmani. Fu una bellissima notte di pace». «Un grave errore dell'Occidente lasciare senza aiuti Massud. Ora quel paese ha bisogno di cure, non di bombe: è devastato dalle mine e 165 bambini su mille non arrivano al primo compleanno» «Medici senza frontiere» è impegnata in Afghanistan in cinque centri: Feyzabad, Baharak, Eshkashem, Kabul, Kandahar Il vicepresidente, Riccardo Grifoni, tra il'99 e il 2000 è stato nel primo