I PECCATORI NEL NOME DI DIO di Barbara Spinelli

I PECCATORI NEL NOME DI DIO FANATISMO RELIGIOSO E CRISI DELLE CHIESE I PECCATORI NEL NOME DI DIO Barbara Spinelli IN questi giorni ha fatto irruzione lo scandalo, nella civile e linda Unione europea. In mezzo a tanti torbidi mondiali ci eravamo abituati a immaginarla come oasi di decenza, come modello di laico conversare, ed ecco che il quadro idillico viene infranto da una immagine: quella delle bambine cattoliche che corrono piangenti verso la scuola Holy Cross di Ardoyne, alla periferia di Belfast in Irlanda del Nord. Si aggrappano piangenti alle madri, sono scortate da poliziotti e minacciate da sassi, insulti, violenze incendiarie da parte di una folla invelenita di protestanti che non consentono accessi al loro spazio vitale. Quartieri e strade sono divisi da muri, i protestanti presidiano territori epurati e i cattolici si difendono epurando i propri: subito vengono in mente scene analoghe osservate nei Balcani, in Palestina. Eppure siamo nell'Europa che non vuol più vedere Auschwitz né guerre religiose. Il mostro abita in casa e gli europei vanno con animo tranquillo alle conferenze sul razzismo credendo di avere il crimine alle spalle. Lo hanno invece dentro: il male del fanatismo visita i nostri territori, e ad accoglierlo c'è un gran rumore che non dice nulla. Qui è lo scandalo, più che in un incidente non completamente straordinario in Ulster. Davvero scandaloso è quel che accade in contemporanea nella cristianità: la disattenzione, la mancanza di senso di responsabilità, la non volontà di agire, di dire. Nelle stesse ore in cui i protestanti attuavano la pulizia etnico-religiosa, i massimi rappresentanti delle Chiese annunciavano che la cristianità si spegneva nel Regno Unito. Già l'aveva previsto l'arcivescovo di Canterbury, ma oggi i toni erano più allarmati. L'arcivescovo cattolico di Westminster, Murphy O'Connor, annunciava che la cristianità «è sull'orlo della disfatta in Inghilterra». Che «Cristo è stato vinto dalla musica New Age, dal consumismo, dal libero mercato», e che la gente «cerca felicità effimere nell'alcol, nelle droghe, nella pornografia». Era lo stesso giorno in cui l'integralismo protestante colpiva nell'Ulster, e l'arcivescovo non aveva un solo commento da fare su quello che il Papa chiama lo «scandalo delle guerre religiose». Non una parola sui crimini commessi dalla follia delle credenze, non una parola su quel che può accadere quando gli uomini si fanno violenza in nome di un Dio vissuto come troppo presente, antropomorfico: schierato in politica, quasi non fosse entità ineffabile ma figura di quel libero arbitrio che spetta ai mortali. Nello stesso momento in cui i cattolici romani constatavano una terra senza Dio c'erano fedeli che osannandolo peccavano in suo nome. E l'arcivescovo di Westminster non era il solo a tacere. Ventiquattr'ore dopo interveniva per la Chiesa d'Inghilterra l'arcivescovo di Canterbury, Carey, per dire che anch'essa era in declino. I battezzati sono meno del SO'/o e per la prima volta in 467 anni gli anglicani sono in minoranza nel loro paese. Anche in questo caso nessun accenno alle fedi brutali dell'Ulster, ma la denuncia dell'ateismo prevaricatore. Le Chiese non hanno alcunché da rimproverarsi, da ordinare. La linea divisoria non è tra chi crede nell'umiltà cristiana e chi crede nel dio delle vendette ma fra credenti e non-credenti. tra fede e secolarizzazione. Né l'arcivescovo di Westminster né quello di Canterbury sembrano sfiorati dal sospetto decisivo: che ci sia un legame, tra violenze religiose e morte delle Chiese. Che i cittadini provino nausea quando vedono i delitti commessi in nome della religione, e proprio per questo prendano le distanze da altari e battesimi. Che il male sia non fuori ma nelle chiese: mai nominato, veramente condannato. La Chiesa imbocca scorciatoie, a forza di non trarre lezioni dai fatti. Una parte di essa fugge nella spiritualizzazione deresponsabilizzante del New Age o nella diplomazia di un ecumenismo molle, in tal modo indebolendo il proprio pensiero e collocandolo al di là del bene e del male. Altri cercano salvezza nell'esaltazione del martirio o nei compromessi dialoganti, e temendo un grave scisma africano assorbono il settarismo di Milingo pur di non ammettere scacchi, apatie, incapacità di ripensare la religione e l'arte del perdurare e resistere alle prove. La stessa dichiarazione ecumenica approvata alla conferenza interreligiosa di Sant'Egidio, a Barcellona il 4 settembre, nasconde la testa nella sabbia. Auspica il dialogo, predica che «il nome di Dio è pace» e perdono, notifica la fine delle guerre, e nessun avversario è denominato. Non esistono che antagonisti astratti - le forze disumane del mercato mondializzato - e i veri nemici sono occultati. Tuttavia i nemici esistono. Sono i fanatismi irlandesi, che aggrediscono i credenti avversari. Sono i Talebani in Afghanistan, che proprio in questi giorni istruiscono un processo contro otto cooperanti accusati di proselitismo cristiano e li minacciano di impiccagione. Nel '94 sono stati gli hutu in Ruanda, fedeli alla Chiesa romana, che hanno perpetrato il massimo genocidio dopo quello ebraico. Ed è infine la combinazione tra un ecumenismo condiscendente e una mancanza di rigore morale e di parole forti delle Chiese: più forti, più durevoli di quelle gridate dai folli di Dio. L'avversario comune di certe riunioni ecumeniche è il mondo scristianizzato: non è mai il perverso uso che viene fatto della religione stessa, e della predestinazione che è il fine sovrannaturale, forse salvifico, cui tende la creatura razionale. Non è l'idolatria del superuomo che si sente eletto da Dio e dalla provvidenza, comunque predestinato al bene o al paradiso finale: anche quando pecca e compie il male. Non è la rinuncia alla religione intesa come preziosa via che conduce a conoscere e ad esperire il limite umano, assieme all'inesauribile orizzonte di scelta e di attesa affidato come patrimonio a ogni persona. Le chiese si occupano molto più di quanti sono i non-cristiani, e sembrano occuparsi assai meno di come sono i cristiani. Assorbendo personaggi come Milingo e trascurando le violenze dei fanatismi esse fanno una politica della quantità, dimenticano di selezionare la qualità, e corrono il pericolo di lasciarsi sfuggire sia l'una, sia l'altra. Così grande è il fascino degli integralismi - a cominciare dall'Islam - su ima Chiesa cristiana che ha perso non tanto anima e sacerdoti, quanto l'intelligenza dei propri declini e delle risorse spirituali offerte dalle crisi. Che rischia di perdere la forza della fede, schiacciata e messa a tacere dalla fede nella forza.

Persone citate: Crisi, Cross, Di Dio, Milingo, Murphy O'connor