Quel tecnocrate sul palco del Kosovo

Quel tecnocrate sul palco del Kosovo LA DESTRA NON L'HA MAI AMATO E GASPARRI DISSE DI LUI: «ANDREBBE DENUNCIATO, ARRESTATO E IMMEDIATAMENTE DESTITUITO DA TUTTI GLI INCARICHI» Quel tecnocrate sul palco del Kosovo In Sicilia ebbe l'idea di spostare il corso del vulcano. In Umbria fece intervenire la figura inedita del «manager delle catastrofi» Ma è stata la Missione Arcobaleno a farlo passare da star a epurato personaggio Francesco Grignetti ROMA COMINCIÒ come «uomo dei miracoli». Era il 1983, l'Etna in piena eruzione. L'allora ministro della Protezione civile, Giuseppe Zamberletti, convocò un gruppo di scienziati alle pendici del vulcano. E Barberi se ne uscì con quell'incredibile storia di fermare la lava, deviarne il corso a suon di esplosivi, insomma governare una calamità naturale. Non era mai stato tentato. Eppure funzionò. Da allora Franco Barberi diventò sinonimo di Protezione civile. Un ruolo, il suo, che crebbe lento, ma inesorabile. Da tecnico puro, anzi accademico, divenne sempre più un uomo dell'amministrazione. Intanto cresceva anche in immagine pubblica e politica. Fino al punto culminante della stagione Arcobaleno, quando il governo di Massimo D'Alema lo scaraventò tra Kosovo e Albania, su una prima linea che era squisitamente massmediologica e politica. Con i campi profughi, i conti correnti, gli spot martellanti, le colonne di volontari. Arcobaleno diventò il contraltare «buonista» alla politica ■.(cattiva» della guerra. E che guerra! C'era da far ingoiare a un'opinione pubblica di sinistra e tendenzialmente pacifista l'intervento della Nato contro la ex Jugoslavia. Barberi era sui telegiornali tutti i giorni. Andava e veniva in aereo da Roma a Tirana e viceversa. Lì indossava la felpa blu e gli scarponcini, scendeva da una jeep e saliva su un elicottero. Accompagnò il ministro Rosa Russo Jervolino fino ai confini dell'Albania per farle vedere di persona il campo di Kukes, un miracolo della buona volontà itahana. E divenne ben più che un modesto sottosegretario. Fu una star. Ovvio che poi, quando le cose cominciarono ad andare male, e i campi profughi cominciarono a essere una rogna più che un fiore all'occhiello, fu l'astro di Barberi a finire nel mirino delle opposi- zioni. Colpire lui significava colpire D'Alema. Fioccarono le interpellanze, le interviste, le cattiverie. Lui, da toscanaccio che la politica non la sapeva troppo maneggiare, rispondeva. E finì per ingaggiare un corpo a corpo, ad esempio, con quel Maurizio Gasparri che oggi fa il ministro delle Comunicazioni e certo non lo ama. Era il 17 marzo del 2000, ad esempio, quando Gasparri dichiarava: «Barberi andrebbe denunciato, arrestato e immediatamente destituito da tutti gli incarichi amministrativi e politici che detiene». Insomma, poteva restare al suo posto, il professor Barberi, sotto un governo di centrodestra? L'uomo ha una competenza che nemmeno i suoi nemici più accaniti contestano. Ha dovuto fronteggiare alluvioni, frane, terremoti, incendi, eruzioni e calamità di ogni genere. Sostanzialmente ha rappresentato la Protezione civile negli ultimi cinquesette armi. In questo periodo è riuscito a litigare con i prefetti e con i generali. Ossia la Protezione civile che c'era prima di lui. Al loro posto ha inventato un sistema tutto nuovo, incentrato sui «disaster manager», che sono stati scelti tra sindaci o comunque tra amministratori locali di provata capacità nella gestione delle emergenze, sulle colonne mobili di volontari, quelli con le tute fosforescenti che ormai si vedono in ogni piccolo centro italiano, e i Coau-centro operativo unificato, dove vengono cen¬ tralizzate le mille competenze che occorrono in caso di calamità. Al vertice del sistema - creato dai governi di centrosinistra troneggiava l'Agenzia della protezione civile. L'aveva immaginata lui stesso. Barberi, per toglier¬ si dalla scomoda posizione di sottosegretario che di volta in volta se la doveva vedere con un ministro o un sottosegretario. Era una tecnocrazia delle catastrofi. Ma poi è proprio l'Agenzia, o quantomeno i suoi vertici, che è finita nel mirino della magistratura di Bari che indaga Su Arcobaleno. E alla fine non è un caso se il vecchio Zamberletti, che creò il mito di Barberi quasi venti anni fa, proprio lui lo abbia distrutto in un recente intervento: «Con l'Agenzia si torna indietro di venti anni. E' antistorico che in tempi di federalismo le competenze vengano affidate a un ministero invece che a strutture decentrate. Così il volontariato no-profit è confinato in una specie di riserva indiana». Barberi non si era trovato soltanto con un'etichetta politica addosso. A forza di vederlo sui tg associato alle catastrofi, era cominciata a circolare anche la nomea di «menagramo». E lui se ne adontò. Scrisse una lettera a «Il Giornale» per lamentarsi di certe definizioni poco carine: «La superstizione esiste, purtroppo, e fa danni gravissimi». Ma ormai, sul suo nome, il danno era fatto. In Consiglio dei ministri, ieri, hanno parlato dell'agenzia per tre minuti. Condanna unanime. La destra è soddisfatta. Accompagnò il ministro Jervolino a Kukes Fu la.faccJa,«buonista». della guéfra in Jugoslavia Da un certo momento colpire lui significò attaccare D'Alema L'ex responsabile dell'Agenzia per la Protezione civile Franco Barberi