Violenza nei geni ? di Ezio Giacobini

Violenza nei geni ? | UNA TESI CONTROVERSA Violenza nei geni ? RECENTI RICERCHE CON LA RISONANZA MAGNETICA E LA PET RIVELEREBBERO UNA BASE BIOLOGICA (FORSE GENETICA) DELL'AGGRESSIVITÀ' IN ETÀ' GIOVANILE Ezio Giacobini A Genova le violenze (ricambiale) dei giovani antiglobalizzazione. Quasi quotidiane sono le notizie di adolescenti che uccidono o tentano di uccidere i genitori. Nel 2000 più di un milione e mezzo di americani hanno commesso dei crimini caratterizzati dalla violenza. Il controverso criminologo Cesare Lombroso nell'Ottocento sostenne per primo l'ipotesi di una "mente criminale e violenta" con argomenti di carattere evoluzionistico e genetico. Oggi molti psichiatri accettano che alcuni individui soffrano di una vera e propria malattia psichiatrica come la schizofrenia, una «psicopatia» che porla alla violenza. Fattori ambientali (ad esempio dimostrazioni di massa) contribuirebbero a manifestarla, portando a un comportamento aggressivo e criminale. Le basi di tale predisposizione sarebbero biologiche e forse anche genetiche. Molti ricercatori stanno ora utilizzando le tecniche più avanzate della radiologia modema quali la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale allo scopo di identificare le zone del cervello implicale nel comportamento violento. Si spera non solo di giungere a individuare il substrato biologico della mente violenta ma di giungere in seguilo a trattare il distur¬ bo come oggi trattiamo la schizofrenia. Una zona frontale del cervello, chiamala regione corticale prefrontale, sembra avere una nesso particolarmente forte con la violenza. Una delle prime indicazioni venne da un bizzarro incidente occorso a un operaio delle ferrovie americane chiamato Phineas Gage nel 1848. Mentre costui lavorava alla costruzione di un tratto di binario venne colpito in seguilo all'esplosione di una mina da una spranga di ferro che gli attraversò il cranio da parte a parte passando per la regione frontale del cervello. L'operaio sopravvisse ma l'incidente trasformò un individuo mite e garbalo in un essere rozzo, irascibile e violento. Più recentemente il neurologo americano Damasio ha dimostralo usando la risonanza magnetica che individui che hanno sofferto di un trauma nella zona orbilofronlale, che fa parte appunto della corteccia prefronlale, presentano chiari atteggiamenlri antisociali con forti tendenze aggressive. Un'altra zona implicala nella violenza è l'amigdala cerebrale, una piccola formazione a forma di mandorla facente parte del sistema che coordina le emozioni e che regola il senso della paura. La stimolazione elettrica dell'amigdala porla certi individui a un'immediata reazione di ira e aggressività. Gli studi che utilizzano la risonanza magnetica funzionale nelle varie forme di psicopatia sono appena iniziati. Alcuni scienziati dell'Università di Dusseldorf hanno studiato 12 individui sofferenti di un disturbo della personalità conosciuto come comportamento antisociale (APD, antisocial personality disorder). Un gruppo di pazienti APD, se esposti in un test particolare a fotografie di visi associati contemporaneamente a un odore sgradevole, reagivano con una espressione facciale di crescente grado di ostilità. E simultaneamente con la risonanza magnetica si osservava un aumento dell'attività dell' amigdala e della regione prefrontale della corteccia. Tali disturbi di comportamento insorgerebbero precocemente nella vita del paziente (il che potrebbe forse spiegare alcuni casi particolari di estrema violenza in adolescenti) quando il cervello è ancora plasmabile. Uno studio recente dimostrerebbe che bambini che abbiano sofferto di un trauma cranico alla regione prefrontale prima dei sette anni sarebbero particolarmente portati a un comportamento antisociale e violento poiché avrebbero difficoltà a gestire le proprie frustrazioni e a controllare l'ira. Si pensa che la corteccia prefrontale agisca da freno nel sopprimere impulsi che sorgono da altre zone del cervello come l'amigdala e che convogliano reazioni di paura e aggressività. Come prova sperimentale, nel gatto la stimolazio¬ ne elettrica della corteccia prefrontale sopprime l'istinto di attaccare i topi e riduce reazioni aggressive nella scimmia e perfino nel toro. Risultati del genere ottenuti in laboratorio o in seguito a studi su persone sono solo un inizio nella nostra conoscenza del comportamento violento nell'uomo. Partendo da alcuni di questi presupposti, nel Regno Unito sono ora allo studio riforme della giustizia criminale che permetterebbero la detenzione preventiva in reparti di psichiatria di "individui particolarmente pericolosi che presentino gravi disturbi della personalità", e ciò anche nel loro interesse, oltre che della società. Ovviamente questa eventualità ha messo in allarme le associazioni per la difesa delle libertà civili. I ricercatori del settore sperano che il crescente interesse della società per il problema della violenza e delle sue basi biologiche stimoli un aumento degli studi scientifici in questo campo. Mentre sembra giustificato sospettare che alla base di molti comportamenti anomali e asociali possa esistere una componente biologica, è altrettanto vero che non vi sono ancora risposte definitive alla maggior parte dei quesiti. Le teorie lombrosiane vennero al loro tempo ampiamente discreditate e abbandonate. Sarà la modema neurobiologia in grado di fornire valide risposte al vecchio quesito sulla violenza? I comportamenti violenti che si osservano in manifestazioni come quelle di Genova o negli stadi potrebbero avere una base biologica

Persone citate: Cesare Lombroso, Damasio, Phineas Gage

Luoghi citati: Genova, Regno Unito