PRIGIONIERI DEL PASSATO di Gianni Riotta

PRIGIONIERI DEL PASSATO PRIGIONIERI DEL PASSATO Gianni Riotta SENZA mandare comunicati di preavviso, la Storia muta paradigma e chi non ascolta paga pegno. Un secolo fa gli Stati Uniti sostituirono la Gran Bretagna come potenza mondiale. Hitler, Mussolini e il Giappone pagarono in contanti nel 1945. La Francia finse di non accorgersene e pagò con il sangue in Vietnam nel 1954. Londra chiuse gli occhi fino al 1956 e pagò col ridicolo, a Suez. La fine della Guerra Fredda nel 1989 ha creato un mondo con un solo centro di forza, gli Stati Uniti, e un arcipelago di interessi, violenti o pacifici, da governare. Il nuovo paradigma è semplice e feroce: nessuna crisi mondiale può essere affrontata senza l'intervento degli Usa, ma Washington non è, né sarà più, in grado di risolvere da sola le difficoltà del pianeta. Deve coesistere con le potenze locali e le istituzioni internazionali, dalla grande Onu alle piccole Ong. La tragedia mediorientale si aggrava perché i suoi protagonisti riluttano davanti al nuovo paradigma. Sharon e Arafat, Mubarak e Peres, Siria e Giordania, i principi sauditi, si illudono di negoziare e combattere come quando gli Usa difendevano Israele, «bastione occidentale», l'Urss armava LA MORTE ALL'ANon una guerrama la dimensioFiamma Nirenstein Agli arabi di missili e l'Europa tirava a campare. Sharon, Arafat e gli estremisti dei due campi, ingaggiati nella loro lotta senza quartiere, alzano la testa di tanto in tanto, come aspettando un intervento della Casa Bianca che smorzi, ovatti, organizzi una tregua. Inutile. La guerra civile mediorientale non ha, né avrà più, valore strategico. Il mondo è mutato. Vent'anni fa girava come una trottola il diplomatico americano Philip Habib. Oggi la trattativa prova a farla il coraggioso ministro tedesco Joschka Fischer. 1 faciloni insistono a parlare di «lobby ebraica contro piazza araba», ma nel giro di una generazione gli elettori araboamericani saranno più numerosi di quelli di origine ebraica e già fanno sentire la propria voce al presidente George W. Bush. Leader responsabili, da Rabin a Barak, han provato a operare nel nuovo paradigma, e sono stati sconfitti, dalla violenza o dall'inerzia. Finché, con l'umiltà insegnata dai loro libri sacri, israeliani e arabi non guarderanno la data sul calen- darlo, i titoli sulle esplosioni, i kamikaze, le faide si ripeteranno, stagione dopo stagione. Thomas Friedman, commentatore di punta del New York Times, propone che Israele inviti la Nato a occupare Gaza e il West Bank, per difendere sia Gerusalemme che il nascente Stato palestinese. O Israele rinuncia a parte degli insediamenti, dice Friedman, o non riuscirà neppure a restare una democrazia. Non aspettatevi che la Brigata «Sassari» sbarchi presto sul «mare» di Gaza. Ma la proposta del New York Times ha almeno il pregio di ragionare nella realtà, non in un Medio Oriente di cartapesta, come i vecchi kolossal di Hollywood su Aladino, dove solo il sangue sparso è vero. Quando anche i contendenti accetteranno di trattare, la soluzione pacifica resta ardua. Dovrebbero garantirla gli americani, ma gli europei, per primi, riluttano a riconoscere la centralità Usa. In Francia e in Gran Bretagna ÌSAfo dei cittadini non approva la politica estera del presidente Bush, in Germania la boccia il 7596 e in Italia, paese considerato «filoamericano», i contrari alla Casa Bianca sono maggioranza assoluta, il 6696 (fonte Pew Research Center). Davanti a questa diaspora, e con Cina e Russia intente a una loro tacita intesa, le Sirene dell'isolazionismo can- NGOLO territoriale e della paura AGINA 3 tano per il partito repubblicano. Il campione dell'America retriva, il senatore Jesse Helms, andrà presto in pensione, ma la tentazione del «facciamoci i fatti nostri» serpeggia. Se Sharon e Arafat rinunciassero a qualche intervista tv per farsi raccontare di che cosa stanno discutendo Henry Kissinger (nel libro «Does America need a foreign policy?», l'America ha davvero bisogno di una politica estera?) e lo studioso Thomas Donnelly, profeta della «Pax Americana», si darebbero in fretta un'aggiustata. Kissinger ispira la Casa Bianca a una politica estera «soft», tamponare le crisi, da Belgrado a Gerusalemme, senza sperare di risolverle. Per Donnelly, invece, gli Usa sono il nuovo «Impero» e devono accettare il loro fardello di responsabilità, alla Kipling, in diplomazia e con le armi. Nell'incertezza Washington attende. Gli europei fanno quel che possono. L'Onu discute. Arabi e israeliani restano pronti a tutto, anche a morire. A tutto, tranne che alla realtà. gianni.riotta@lastampa.it LA MORTE ALL'ANGOLO Non una guerra territoriale ma la dimensione della paura Fiamma Nirenstein A PAGINA 3