Nella lente di Spinoza felicità è essere virtuosi di Gianni Riotta

Nella lente di Spinoza felicità è essere virtuosi Nella lente di Spinoza felicità è essere virtuosi 'CUOR«.RACCONTÒ Gianni Riotta L 27 luglio del 1656, nella solennità della Sinagoga di Amsterdam, davanti all'Arca sacra, viene letto un documento drammatico: «Per decreto degli angeli, e su comando degli uomini giusti, noi scomunichiamo, espelliamo e danniamo per sempre Baruch de Espinoza... con il consenso di Dio sia maledetto di giorno e di notte, quando riposa e quando si leva, quando lascia la sua casa e quando vi fa rilorno. Il Signore non lo risparmi e lo investa con la sua ira». L'intero Antico Testamento è invocato contro Baruch, Benedetto, Spinoza. Figlio di mercanti di frulla ebrei scacciati dall'impero spagnolo e rifugiati in Olanda, Spinoza ha espresso opinioni che la comunità teme. Dapprima gli offrono una pensione, perché scriva in privato ciò che vuole, senza discutere in pubbUco le sue idee. Poi arrivano le minacce e un killer fanatico cerca di ammazzarlo con una coltellata. Pugnale e mazzette non fanno mutare idea al filosofo ventiquattrenne (è nato nel 1632) e scatta la scomunica in nome di Dio, Giosuè ed Elia. Per stilare una «cherem», la maledizione assoluta, viene convocato il Rabbino Morte- ra, allievo a Venezia dell'influente Rabbino Modena. Non serve. Spinoza non è un combattivo profeta come Giordano Bruno. Al dito porta il sigillo con il motto «Caute», con cautela. Gli sta però a cuore la verità, più di ogni altra cosa. Non per spavalderia, o per arroganza intellettuale. No: crede, con cauta semplicità, che sia nella natura degli esseri umani il ricercare la verità con i mezzi della ragione. Che questa ricerca quotidiana e serena possa renderli felici sulla terra, portandoli infine alla conoscenza di Dio. Non un Dio vendicativo e violento, ma un Dio che non punisce né premia, condividendo armoniosamente con gli uomini l'amore della verità e della virtù. La virtù non è - per Spinoza un mezzo per raggiungere Paradisi celesti. E' il fine della nostra vita, il premio a chi la pratica. I professori di filosofia dicono «Spinoza è antifinalista», critica cioè l'immagine di un destino mela del mondo. Crede, come il saggio orientale. Lao Tsu nel «Tao le Ching» quando critica l'illusione delle «10.000 cose», che il viaggio sia la meta e il progetto l'obiettivo. Al contrario della vulgata di Machiavelli, in Spinoza il fine non giustifica i mezzi: i mezzi «sono» il fine. Il suo credo è condensato in un libro terribile, «Ethica, ordine geometrico demonstrata». Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico, datc^alle stampe postumo nel 1677. E' forse il più difficile della filosofia europea con la «Fenomenologia dello Spirito» di Hegel. Nella prefazione del 1959 alla splendida traduzione italiana di Sossio Giametta (Bollati Boringhieri), il filosofo Giorgio Colli scrive: «L'Etica richiede lettori non pigri, discretamente dotati e soprattutto che abbiano molto tempo a loro disposizione. Se le si concede tutto questo, in cambio offre mollo di più di quello che ci si può ragionevolmente attendere da un libro: svela l'enigma di questa nostra vita, e indica la via della felicità, doni che nessuno può disprezzare». Colli, uno dei pochi veri filosofi italiani del dopoguerra, sa quel '-- che dice. Non bastano gli anni a penetrare l'Etica. Spinoza la costruisce con teoremi e lemmi geometrici (Wittgenstein ne copioni lo stile nel suo celebre «Tractatus logico-philosophicus» sulla natura del linguaggio, del 1921) e ci si perdo in quelli che Colli chiama «sollorranoi». Si deve allora tornare indietro, a fatica, per poi procedere con cautela, «caute». Il tempo passa, si invecchia e i ragionamenti di Spinoza su virtù, gioia, dolore, passione, vita e morte non ci appaiono più come in gioventù. Dobbiamo ricominciare con pazienza. La struttura dell'Etica è mimetica della nostra vita. Procede cùcolarmenle, il passato che insiste sul presente, il futuro che ci abbacina. «Non ha senso chiederci che cosa sia vivo di lui oggi sostiene Colli - perché l'unica risposta sincera è: nulla; tale risposta, anziché autorizzarci a trascurarlo, dovrebbe indurci a riprenderlo seriamente in considerazione». Per Steven Nadler, autore della recente biografia «Spinoza, a life» (Cambridge University Press) «L'Etica è un libro ambizioso od audace». L'audacia consiste nel credere che la felicità derivi dalla conoscenza: «Non una vita schiva dello passioni e dei boni materiali che sogniamo, e neppure in religioni organizzate ridotte a superstizioni, ma nella vita di ragione. Per arrivare a questo risultalo Spinoza deve prima demistificare l'Universo e mostrarlo qual è». Qui il lettore stringe i denti. Spinoza scrive nel XVII secolo, intriso di letture di Cartesio, Hobbes, Bacone, Mosè Maimonide, gli Stoici, Aristotele e Platone. A scuola ha imparato a detestare la Cabala, ma il suo maestro, l'ex gesuita libertùio Franciscus van don Enden, gli insegna ad amare il latino Terenzio: come lui Spinoza riterrà che nulla di umano gli sia estraneo. Non avrà l'aristocrazia di Pascal, né la forza borghese di Cartesio o il feroce reahsmo di Hobbes e il virtuoso pragmatismo di Machiavelli. Spinoza, anche chiedendo subito la traduzione in volgare olandese della sua opera, scrive per le persone comuni, non i dotti. Non guarda all'accademia contemporanea. Tenta di parlare «per sempre», come i testi religiosi, Bibbia, Corano, Tao, Canone Buddista. E ci riesce. A metterlo nei guai con la Sinagoga, e nel futuro con parte della cultura cristiana, è l'idea di Dio. Il Signore di Spinoza crea la Natura «perché tutte le cose discendono dalla slessa necessità, come è nella natura di un triangolo avere tre angoli pari alla somma di due angoli retti». Capite? Dio vicino a noi, evidente come un teorema di Talete. La celebre frase di Spinoza, contenuta in tutti i manuali di filosofia, «Deus sive Natura», Dio o Natura, era inclusa nel testo latino dell'Etica, ma non nella versione olandese. La Natura è la sola realtà, non è divisa da Dio e non persegue fini escatologici. «Tutti i pregiudizi che qui voglio cancellare dipendono da questo: noi uomini crediamo che anche la natura, come noi, agisca per un fine; e che Dio stesso diriga tutto a un certo scopo. Siamo persuasi che Dio abbia creato il mondo per noi, e noi per essere adorato». Un Dio geometra e giudice va «placato e obbedito». Il Dio che Spinoza intuisce va compreso: «La cosiddetta volontà di Dio è il santuario dell'ignoranza». Invece «l'ordine e la connessione delle idee è l'ordine e la connessione dello cose». Se accettiamo di vivere in una Natura che è divina, allora amore, rabbia, invidia, gelosia, orgoglio, i nostri sentimenti e passioni, «seguono dalla stessa necessità e forza della natura». «Tratterò la natura e il potere delle passioni... come ho trattato Dio e la mente, le considererò come rette, piani e solidi». Già la scuola degli Stoici aveva insegnato a contenere le passioni. Ma gli antichi, dai greci a Seneca, ci chiamano ad uno sforzo atletico, o siamo capaci di scavalcare l'asticella delle passioni una volta per tutte o siamo carne da macello. Non così Spinoza, che Bertrand Russell considerava «il più amabile dei filosofi». Per lui dobbiamo renderci liberi dalle passioni, sapendo di non poterci mai riuscire del tutto, perché le passioni sono nell'ordi- ne delle cose naturali. Se sapremo riconoscere la gioia e il dolore, la fortuna e la sfortuna come accadimenti quotidiani naturali, la conoscenza di questa realtà ci libererà dall'ansiosa (stressante direbbero i rotocalchi) ricerca del piacere. Avvicinandoci alla nostra natura, alla verità e Dio. «La Gioia è la passione che conduce la mente a più grande perfezione», «L'Odio... è Tristezza accoppiata all'idea di una causa esterna». E' la parte più nobile dell'Etica: «Siamo sospinti da mille cause esterne... come onde del mare, sbattuti dai venti, travolli nell'ignoranza del futuro e del destino». Orazio ammonisce in questo senso l'amico Bullazio: «Una frustrazione perenno ci logora». Comprendere la verità significa accettare la strada della Virtù, premio a se stessa, che ci rende parte della Natura e parte di Dio: «La conoscenza di Dio è il bene più grande e la maggiore virtù della mento». Non potremo mai, Spinoza lo sa, adattare il mondo a noi. Possiamo però compiere il nostro dovere, seguendo la virtù, accettando il nostro posto nell'ordine naturale delle cose, con Dio. Questa è la salvezza, la libertà e l'identità. L'uomo libero, come il marinaio Fleba della poesia di T. S. Eliot, non è affetto né dai guadagni né dalle perdite e accetta la sorte con «equanimità». «L'individuo di Spinoza» commonta Nadler «si cura degli altri con compassione, e non teme la morto. Non spera in una vita nell'aldilà, né teme il castigo infernale, ma sa di essere parte dell'Eterno. La Mente che accetta queste verità è in Dio e... gode di libertà e pace». Non c'era in Spinoza distanza tra pensiero e vita. Rinunciò all'eredità patema a favore della sorella, disse no ad onori e cariche, la sua dieta era semplice (ma apprezzava un boccale di birra e il suo amato infuso di boccioli di rosa). Parlava portoghese e olandese, conosceva latino, ebraico.e un po' delle maggiori lingue europee. Per vivere torniva lenti per occhiali e telescopi e, in suo onore, il Sindacato dei filosofi americani si chiama ancora oggi «Tornitori di lenti». Era amabile, non risposo mai agli attacchi, , «detesto le polemiche», ma la sua ((Apologia para justificarso de su abdication de la Synagoga», purtroppo perduta, era un pamphlet fiero e aggressivo. Morì la domenica del 21 febbraio 1677, forse di tisi, persuaso che «un uomo libero pensa poco alla morte: saggezza è meditare sulla vita». Per pagarsi l'ultima visita, il medico intascò un coltello dal manico d'argento. Giorgio Colli ricordava mezzo secolo fa l'inattualità di Spinoza. Oggi il segno muta. La sua idea di un mondo che non cresce in potenza ma in sapienza è la sola salvezza per il pianeta. L'angoscia diffusa in Occidente, le religioni orientali spesso degradate a sette, la violenza dei nuovi movimenti nascondono la stessa domanda. Il fallimento del comunismo e delle ideologie messianiche, tutto il male oggi per il bene assoluto domani, non basta a cancellare l'aspirazione alla giustizia e alla libertà, dal bisogno come dal materialismo narcisista. L'utopia ecologista, le teorie di Lovelock su Gaia, il pianeta Terra come organismo vivente, non sono forse già precorse dalla natura divina di Spinoza? Tante sono le risposte possibili, nel mondo delle idee e delle fedi. Nessuna, che io conosca, eguaglia la forza e la semplicità dell'ebreo maledetto Benedetto Spinoza. Nella dispersione disperata dell'oggi ci dice che Virtù, Natura e Dio sono in noi stessi. Basta fermarsi, ognuno di noi può farlo in ogni momento, ad ascoltare la ragione, specchio di «Deus sive Natura». gianni.riotta@lastampa.it il filosofo ebreo che nel Seicento ci ha dimostrato con 1' «Etica» come e perché vivere secondo raqione in armonia con la Natura e Dio di un mondo che non cresce in potenza ma in sapienza è la sola salvezza per un Occidente che, cadute le ideologie, non rinunci a libertà e giustizia I 1! I ^ I to | 1: f |. || H |A M 'CUOR'--

Luoghi citati: Amsterdam, Modena, Olanda, Venezia