USA l'impero colpisce ancora

USA l'impero colpisce ancoraA DIECI ANNI DALLA DISSOLUZIONE DELL'UNIONE SOVIETICA LE CRONACHE DELL'AMERICA DI BUSH PULLULANO DI RIFERIMENTI ALL'ANTICA ROMA USA l'impero colpisce ancora Sulletv via cavo trionfa «Il gladiatore», il Senato si preoccupa di limitare i poteri del Residente: la «sindrome imperiale» fa discutere politici e intellettuali Maurhio Molinari corrispoidentedaNEWYORK SULLE tv via cavo il film tramiesso più spesso è Gladiator,sulle riviste di politica il dibattilo più vivace è sul paragone con l'Antica Roma di Cesare e di Virglio, dentro il Congresso tiene tanco la questione se il Senato riuscirà ad arginare i poteri del Presidente, i generali si occupano delle minacce militari futiue e spaziali perché quelle attualie terrene non le temono, i veteraii si dividono sul fatto se il nuo\o monumento marmoreo ai caditi della Seconda Guerra MondÉle oscurerà o meno la solencità del lungo, verdeggiante Mal che si estende dal Campidoglioflno alle rive del Potomac con alcentro l'obelisco bianco di Washington. A deci anni dalla dissoluzione deTUnione Sovietica le cronache quotidiane dell'America di George Bush pullulano di riferinenti, espliciti o meno, certi o dibbiosi, all'Impero romano ed il dibattito ruota attorno all'inteTogativo se il fatto di essere rimasti l'unica superpotenza esistente significa potersi porre di fronte al resto del mondo come l'ultimo dei Grandi Imperi, ovvero il primo del XXI secolo A gettare il sasso nello stagno è stato il vivace editorialista coaservatore Charles Krauthammer che su Time di marzo scrisse quello che in molti a Washington pensano: «L'America non è un cittadino della scena internazionale come tutti gli altri, è la potenzi che domina il mondo, nessuno ha mai dominato tanto dai tempi di Roma perché l'America offii è in grado di cambiare le nome, modificare le prospettive e creare nuove realtà solo con un'implacabile ma non apologeticé dimostrazione di volontà». Dietro la penna di Krauthammer ci sono i centii studi conservatori che dall'indomani dell'arrivo di Bush alla Casa Bianca hanno proposto il paragone con Roma. È stato un processo graduale di meturazione del peisiero. L'« Amerian Enterprise Institute» ha usa.o il guanto di velluto, r« Hudsoi Institute» ht fatto un passo in più, il «Project for Conservative Reform» ha messo nero si bianco con l'ex/ice direttore, il reaganiano Thomas Donnelly, la dottrina della «Pa* Americana» cte invoca la ristrulturazione delle forze armate de^li Stati Uniti pe- far fronte ai nuovi quattro rampiti imperiali: difendere il territorio nazionale da attacchi non convenzionali e terrorisno, essere pronti a combattere contemporaneamente più guem convenzionah di grandi dimetsioni, impegnarsi in missioni ill'estero per il mantenimento (ella pace, trasformare l'attuale jisercito in un'armata ad alta tecnologia. «A differenza degli imperi romano e hntannico - è la tesi di Donnelly'- gli Stati Uniti hanno come fontamento democrazia e libertà e nm perseguono conquiste di terre o colonie ma devono comunque far fronte alla responsabilità de viene da una situazione di dtminio mihtare, economico e globale». Ovvero: l'America si è ritrovata ad essere un impero per il crollo dell'Urss ed ora non può ignorare il suo nuovo rujolo. Andrew Bacevich, docente q Relazioni Intemazionali allaiBoston University, è uno dei pcirtavoci di questo pragmatismo: «Che ci piaccia o no è un'America imperiale quella che abbiamo per le mani». Per Donnelly la riforma dello strumento militare è la prova del nove che gli Stati Uniti devono superare 3er recitare il loro ruolo imperiae, teso all'edificazione di una «Pax Americana» su scala globale che ha oggi gli unici avversari negli «Stati Canaglia» - Iraq, Iran, Libia, Corea del Nord e Cuba - e l'unica incognita nella «competizione strategica» con la Cina sul palcoscenico dell'Asia. Ma l'approccio di Donnelly e Bacevich offre facilmente il fianco a chi come Joseph Nye, rettore della «Kennedy School of Government» dell'Università di Harvard, obietta che si tratta di «un approccio egemonico basato solo sulla dottrina mihtare men¬ tre il ruolo di superpotenza degli Stati Uniti è soprattutto culturale, ideologico ed economico». Nel suo imminente libro L'illusione dell'Impero Americano Nye - già stretto collaboratore dell'ex presidente Bill Clinton al Pentagono - denuncia un rischio di far prevalere il molo delle armi su quello dei valori: «Enfatizzare gli aspetti militari nuoce al ruolo di superpotenza dell'America». Lo scontro a distanza fra Donnelly e Nye sull'importanza dello strumento militare è solo un assaggio del dibattito in corso suir«America romana», definita ora «Impero virtuoso» ora «Potere Leggero». L'ex segretario di Stato Henry Kissmger su The National Interest e Lewis Lapham su Harper's duellano a distanza sul vero nocciolo democratico del problema: gli americani sono pronti ad essere cittadini di un loro Impero? Kissinger non tradisce la sua fama di spietato realista: «All'alba del nuovo millennio gli Stati Uniti godono di un predominio che non ha paragoni neanche fra i più grandi imperi del passato» ma la proiezione globale «risente di pressioni domestiche e dell'esperienza della Guerra Fredda». E ancora: «Gli Stati Uniti si trovano ad affrontare un mondo al quale non sono storicamente preparati», mancano di una «strategia di politica estera a lungo termine» perché «la politica interna spinge in direzione opposta». Kissinger non dubita decide le tattiche diplomatiche ma tenta di imporre i suoi valori con le sanzioni contro altri Stati». L'azione di politica estera ne esce indebolita «occasionale, unilaterale, bullesca». Dietro il pragmatismo dell'ex Segretario di Stato c'è la convinzione che r«America all'apice» ha bisogno di un Presidente capace di guidarla: non a caso il suo ultimo libro L'America ha bisogno di una politica estera? si conclude con un appello ed un avvertimento a Bush: «Più gli imperi sono grandi più i grandi conflitti divengono interni e non esterni». Il saggio di Lewis Lapham, direttore di Harper's, ò altrettanto schietto ma di tutt'altro tono ed attacca frontalmente l'ipotesi stessa della «Roma americana»: «A differenza dei Lorsignori di Washington il popolo americano non è mài stato contagiato dal virus delle ambizioni imperiali né dall'idea di uno Stato che ci consenta di soggiocare altri popoli con una mano ferma e la coscienza a posto». Lapham guarda al passato degli Stati Uniti per disegnare l'identità antiimperialo dei suoi cittadini: «L'Accademia militare di West Point venne creata nel 1802 come una scuola di ingegneria perché si pensava che l'esercito sarebbe servito a costruire strade e ponti e non a combattere guerre all'estero, la conquista del West non fu il risultato della marcia di ordinate legioni ma dell'avanzata disordinata di bande di nomadi che creavano insediamenti civili in ordine sparso». Né Kissinger né Lapham negano l'emergere dell'Impero americano ma per l'uno manca la leadership e per l'altro non è nel dna dei cittadini. È in questa difficile strettoia che che il presidente George Bush è chiamato a guidare l'America verso i suoi nuovi compiti globali. diatore», tare i poteri imperiale» uali L'aquila «imperiadegli Statun'immagine del fIL SAGGIO in che cosa II capitadifferenzia dacome è definito dmarxista? A quali economiche, tecnolopolitiche del evoluzione risponddelle domande alla base di scritto dal lilosMichael HardToni Negrrecente inautori nglobale senforma di ordinamento giunon può esistere senza un potere chl'efficacia. Ma l'ordine giuridico del m(definito Imperiale) registra anche nuoproduzione e della lotta fra le classi. Già docea Padova, ex dirigente del gruppo Poteresconta attualmente una condanna a dici L'aquila «imperiale», simbolo degli Stati Uniti, Sotto un'immagine del film Gladiator