MAGNELLI

MAGNELLI MAGNELLI Dai «fauve» all'astrattismo LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Rosei NON solo l'arte creata ma anche la critica hanno le loro capricciose ondate di moda; ancora più nel caso del tumultuoso secolo alle nostre spalle. Nell'ultimo ventennio hanno avuto ampio eco la riscoperta e il recupero di ogni fenomeno e personaggio dell'antiavanguardia, lamentando una presunta egemonia anche critica dell' avanguardia nelle sue susseguenti conformazioni. Oggi è forse venuto invece il momento di rivedere e riconsiderare i valori e le gerarchie delle avanguardie stesse. In questo senso il caso di Alberto Magnelli (1888-1971)è esemplare. Quando nel 1947 il fiorentino-parigino Magnelli, membro dal 1932 di Abstraction-Création, ricomparve a Parigi da René Drouin, dopo il rifugio negli anni di guerra nel Midi LA MODESETTMarc assieme a Jean e Sophie Arp, venne riconosciuto e salutato come uno degli ultimi maestri «classici» dell'astrazione europea. E tale rimase ancora, in ambito francese, quando nel 1989 Daniel Abadie, curatore anche di questa mostra assieme al direttore di Villa dei Cedri Matteo Bianchi, lo espose al Pompidou in una antologica curiosamente elencata come «monografia» nel catalogo di Bellinzona. Ma in Italia, quando Maurizio Fagiolo dell'Arco propose nel 1983 in una delle intelligenti mostre toscane di Pistoi al Castello della Volpaia il Magnelli figurativo del Rappel à l'Ordre degli anni '20, vi era già il sapore della riscoperta. Anche della mostra alla Volpaia non vi è cenno nella biblio- STRA LA ANA Rosei grafia, anche se ovviamente vi fa riferimento lo stesso Fagiolo dell' Arco in un saggio in catalogo che equilibra la discutibile evocazione di una «costruttivita fiorentina» e di una consonanza metafisica con De Chirico con il pieno riconoscimento del «Magnelli europeo». Il Magnelli iniziale 1910-1919 è di fatto un fenomeno senza paragoni. Il ragazzo autodidatta e di buoni mezzi che a 19 anni nel 1907 arruffa un Paesaggio «fauve», che neanche Boccioni a quella data, e tre anni dopo si presenta come spavaldo decoratore secessionista in tre grandi Femmes fra Umberto Brunelleschi e lo Jugendstil è in grado di reagire culturalmente e creativamente ai messaggi parigini trasmessi da «Lacerba» più di tutti gli altri giovani futuristi fiorentini intorno a Soffici. Chi ha acquistato per lo zio-vicepadre alla mostra futurista internazionale di «Lacerba» alla fine del 1913 la scultura Boxe di Archipenko, come si affrettano a documentare nel 1914 Les Soirées de Paris, non ha certo difficoltà a operare alla pari nella Parigi di Apollinaire, con gioiose e solari scelte personali sul versante «orfico» dei Delaunay, di Léger,di Picabia, secondo il principio di «Realité Peinture pure» proclamato da Delaunay. È anche qui stupefacente, dopo la rassegna parigina al Pompidou, la sequenza di figurazione-astrazione; da Les mariès del 1914, con lo sposo parallelo al Monsieur X di Derain «gotico» e preannunciante il Carrà «naif» del 1916 e la sposa chagalliana, alle Deux femmes debout del 1917 che sembrano un Picasso 1930, attraverso le incredibili tele prepop del 1914, che a ben guardare risultano un Archipenko ritagliato a due dimensioni con i piani di colore puro di Matisse. Al Pompidou fecero sbalordire Valerio Adami per sua attestazione in catalogo. Tre tele illustrano il «ritorno all'ordine» degli anni '20 e non mi sembra portino concreta testimonianza di un' aura metafisica, solo di una grande eleganza e limpidezza pittorica nell'interpretazione alla Derain del Paesaggio toscano del 1922, nel gioco alla Carrà ai limiti dell'ironia nel Veliero al molo del 1928 e nell'arcaismo delle Sibille del 1928-30, che hanno assai più a che vedere con «italiani a Parigi» come Campigli e Paresce che non con De Chirico. Stabilitosi definitivamente l'artista nella Parigi della diaspora del grande astrattismo tedesco, è la strada che porta alle Pietre dal 1932, fra surrealtà e astrazione concretistica, e alle Pitture dal 1935, le une e le altre legate ad una sottile sperimentazione di materiali, olio e tempera sul verso di carte e iute catramate il cui ordito sfilacciato interagisce con la pittura, con esiti affini al polimaterismo di Ernst e di Prampolini. Proprio a Prampolini penso che alludesse l'intelligentissimo De Pisis quando, visitando una personale parigina del 1932, vi sentiva aleggiare «un'atmosfera astratta e in parte astrale». Nella successiva sperimentazione delle Lavagne con reticolato bianco regolare emerge il definitivo confronto drammatizzato con l'ultimo Kandinsky, che caratterizzerà i 25 anni del dopoguerra del maestro superstite della prima generazione astratta. Lo riconosceranno come tale a Torino, ad esempio, il giovane Moreni e Albino Galvano. Alberto Magnelli Bellinzona, Villa dei Cedri Orario mar-sab. 10-12,14-18 Domenica 10-18 Fino al 14 ottobre A BELLINZONA LA STRAORDINARIA AVVENTURA TRA FIRENZE E PARIGI DI UN AUTODIDATTA CHE DIVENNE UNO DEI MAESTRI DEL NOVECENTO «Explosion Lirique», un'opera del 1918 di Alberto Magnelli in mostra a Bellinzona

Luoghi citati: Firenze, Italia, Parigi, Stra, Torino