La sedicenne liceale e una pigrizia siciliana di Sergio Pent

La sedicenne liceale e una pigrizia siciliana La sedicenne liceale e una pigrizia siciliana RECENSIONE Sergio Pent DUE romanzi di mezza estate, tra rimpianto e disimpegno, di quelli che utilizzano l'ormai quasi onnipresente valenza gialla per cercare ipotesi di nuove trame, diverse - non risapute - suggestioni. Diremo subito che in entrambi la ricerca delle piste colpevoli risulta piuttosto fragile, quasi anemica, come se gli autori giocassero a un loro personalissimo gioco di ruolo, dove tempo, memoria e attualità galleggiano aggrappati alla consapevolezza dell'umana fragilità. Siamo dalle parti del realismo interattivo, sia col disincanto goliardico di Mignano che con l'autoanalisi retrodatata di Costa: se abbiamo affiancato i due romanzi è anche - soprattutto - per questo. Nonostante la loro collocazione attualizzata a un inconscio bilancio di fine secolo, non suggeriscono spunti rigenerativi, né riflessioni che in essi non si esauriscano; raccontano due storie, di mezza estate appunto, e in questo svolgono il loro preciso, ben delimitato compito. Nel romanzo di Silvio Mignano ritroviamo la spaesata verve dell'investigatore privato romano Paolo Veronese, già protagonista di «Una lezione sull'amore», una sorta di personaggio seriale accademico, creato con mano sicura per strizzare l'occhio al lettore: fascino trentacinquenne, ingegno fervido, fidanzata ai limiti del lolitismo - la sedicenne liceale Valentina in fiore campo d'azione in una Roma a metà tra struggimenti vendittiani e realtà cosmopolite. Questa nuova storia agisce più sulla trama che sulle psicologie, accomodandosi tra intrighi nel mondo dell'arte e manipolazioni bio-genetiche ormai meno che fantascientifiche. Si tratta, in sostanza, di collocare su un'unica - logica -direttiva, l'operato misterioso di un fantomatico gruppo di pseudo-rivoluzionari che deturpano opere di famosi autori contemporanei alla Galleria d'Arte Moderna e la scomparsa dallo zoo di quattro congoni. I congoni, meglio svelarlo subito, sono una goffa sottospecie di antilopi africane, sui quali qualcuno tenta esperimenti poco leciti. Il compito di Veronese sarà quello di smascherare il complotto internazionale - e miliardario - che in qualche modo neanche troppo assurdo accomuna i deturpatori agli sgraziati animali del Kenya. Il tocco esotico viene appunto - da una spedizione nel parco nazionale keniota Hell's Gate da parte di Paolo Veronese, che risolverà l'intrigo lasciando - volutamente? qualche piccolo punto oscuro nella mente del lettore. Ironia e leggerezza sono caratteristiche della narrativa di Mignano, che sembra regalare ai suoi personaggi intenzioni più fumettistiche che reali, calandoli in trame brillanti da antico disimpegno, di quando si respirava rasserenati dalla conferma che il colpevole era proprio il maggiordomo o quantomeno un figuro appena appena malintenzionato. Se la realtà di Mignano è a modo suo comodamente virtuale, assai più sofferta si presenta, con tutti i rimandi letterari del caso - da Brancati a Camilleri - la vicenda di Pietro, il quarantenne - e oltre - protagonista del romanzo d'esordio di Costa. Come spesso accade in certi giallisti, è la città la vera mattatrice dell'opera: qui una Palermo imbavagliata dal caldo e dai ricordi, in un'estate dove la pigrizia dei destini irrisolti si sposa con la buona fede delle antiche velleità mai attuate. La pigrizia è quella congenita di Pietro, docente universitario esperto di cinema, che si trova a combattere con una serie inspiegabile di morti, all'apparenza accidentali, che rivelano invece l'origine di una traccia delittuosa. I bigliettini che Pietro trova puntualmente nei luoghi più impensati contengono ermeti- che citazioni ricavate dalle canzoni dei mitici Beatles. Cosa accomuna questi «delitti» alle nostalgie del protagonista, circondato da vecchi compagni di strada prevalentemente falliti, nei quali l'eco delle battaglie giovanili sulle barricate del '68 sembra essersi spento senza rimedio? Pietro alimenta i suoi sospetti, la sua stessa vita privata è un compromesso coi fallimenti, la morte dell'amico Corrado si rivela l'ultimo e più sfacciato delitto venuto dal passato... I ricordi uccidono, sembra suggerire l'oscuro assassino, ma in qualche modo Pietro, nel confronto coi vecchi compagni, cancella un po' di polvere dal chilometro quadrato intorno a Villa Sperlinga in cui ha disegnato i suoi anni giocati al risparmio. Delitti o beffa del destino, toccherà al lettore scoprirlo. L'impressione, anche qui, è che l'autore abbia scelto la via del disimpegno velato di mistero per raccontare qualche scampolo di realtà, tra rimembranze del '68 - ed è la parte forse più accademica, ormai già digerita e annullata da troppe altre circostanze narrative - e velate ambizioni di fare ancora parte di un mondo che ha preso a correre troppo in fretta. Solo la nostalgia - di Costa o l'irriverenza goliardica - di Mignano - sembrano adeguate a stare al passo con questo nuovo universo globale. Al passo o quantomeno alle spalle, dove gli sberleffi sono meno individuabili. DUE STORIE «GIALLE» DI MEZZA ESTATE, COME SCENARI UNA ROMA TRA STRUGGIMENTI VENDITTIANI E REALTÀ COSMOPOLITE E UNA PALERMO DAI DESTINI IRRISOLTI S. Mignano Le porte dell'inferno Fazi, pp. 238, L 25.000 ROMANZO Gian Mauro Costa Yesterday Sellerio, pp. 289, L 18.000 ROMANZO

Luoghi citati: Kenya, Sperlinga