La Pozzi accende un duello di regine di Osvaldo Guerrieri

La Pozzi accende un duello di regine TRIONFALE «MARIA STUARDA» DELLA MARAINI La Pozzi accende un duello di regine Osvaldo Guerrieri inviato a B0RGI0VEREZZI «C'est l'argent qui fait la guerre» dicevano i francesi col cinismo di chi ha capito molte cose. Noi, forti soltanto delle nostre insicurezze, potremmo parafrasare così: è l'attore che fa il teatro, e con lui il regista. Un'ovvietà. Ma non abbiamo saputo reprimerla, assistendo alla «Maria Stuarda» che Dacia Maraini ha riscritto dal capolavoro di Friedrich Schiller chiudendo con enorme successo il festival di Borgio Verezzi. In questo spettacolo abbiamo davvero visto che cosa possono fare attore e regista, abbiamo constatato ancora una volta che l'uno e l'altro possono portare al calor bianco un testo che, in sé, non ha magari quella forza propulsiva che gli permetterebbe di ottenere lo stesso risultato. Con ciò non si vuol dire che la rielaborazione della Maraini manchi di sostanza. Quest'opera degli Anni Ottanta, modellata su una matrice che proprio adesso compie due secoli, ha di che colpire il pubblico, soprattutto le signore. Semplificando Schiller, la Maraini mette in scena due regine cui fanno da interlocutrici due dame di compagnia. Regine e dame, prevede l'autrice, possono essere interpretate da due sole attrici che, così, darebbero vita a un complesso, vertiginoso gioco delle parti. E ciò avviene a Verezzi, dove Elisabetta Pozzi è Elisabetta d'Inghilterra ma anche Kennedy, e Mariangela D'Abbraccio è Maria di Scozia e insieme Nanny. Servendosi di questa doppia coppia, e evocando altri personaggi attraverso i discorsi delle donne, la Maraini racconta il conflitto umano, politico e religióso che oppone Elisabetta a Maria, si misura con la dialettica del potere che non esclude crudeltà e inganno, mostra la morte serena, persino desiderata, di Maria, che sul patibolo D'Abbraccio e ozzi a Verezzi trova la purificazione di sé. Ma non ci consegna un dramma storico. A lei interessa il dramma umano. Ed ecco allora la sottile qualità sentimentale estratta dalla vicenda cinquecentesca; ecco l'affermazione di due femminilità - frigida una, passionale l'altra -; ecco, contro il maschio, i colpi di spillone che fanno vibrare di consenso le signore, evidentemente memori di tanti appassimenti coniugali. Materia viva. Ma, su questa vivezza di temi sembra depositarsi una schiumetta romantica, che nei momenti di più accesa drammaticità si carica di un tono pericolosamente retorico. Ed è qui che il testo della Maraini fa risuonare unacorda che forse non le appartiene; è qui, nel discorso elevato, che libera un vapore di noia. Ma «c'est l'angent...» dicevamo. E la guerra che ne segue è di strepitosa teatralità, combattuta fino all'ultimo spasimo di sapienza e di cuore. Elisabetta Pozzi è davvero straordinaria. Ormai riesce a recitare anche con un cenno del capo e con un lampo d'occhi. La sua Elisabetta è di sfolgorante cinismo, doppiezza e calda frigidità. La D'Abbraccio ha meno sfumature, ma s'impone come forza della natura, irrefrenabile e febbrile come le accelerazioni rischiose del suo parlare. Governa le due star e l'impianto drammatico il regista Francesco Tavassi, che rivela un talento in sicura crescita. Fondamentale l'apparato scenico di Alessandro Chiti: due semicerchi con scale e sculture che ruotano incrociandosi, costringendo le regine ad arditi equilibrismi e a un dinamismo magari vano. Come quando Maria cerca di raggiungere Elisabetta per abbracciarla: il «roulant» la spinge indietro e lei arranca inutilmente in avanti. Ecco come la macchina sa creare un simbolo. Dell'esito abbiamo detto, ma precisiamo: un trionfo. D'Abbraccio e Pozzi a Verezzi

Luoghi citati: Borgio Verezzi, Inghilterra, Scozia, Verezzi