«Non cambieremo nessuna procedura»

«Non cambieremo nessuna procedura» LE REAZIONI AL QUARTIER GENERALE ITALIANO IN KOSOVO «Non cambieremo nessuna procedura» commilitoni a Pec: siamo addolorati, ma restiamo sereni intervista Livia Michiili ROMA SIAMO tutti addolorati per quello che è accaduto ma dobbiamo continuare a lavorare con animo sereno». Il tenente colonnello Giuseppe Catalano, responsabile dei rapporti con la stampa, parla con voce bassa ed effettivamente serena. Dall'inizio di luglio è a Pec, il quartier generale italiano, in forza alla brigata Garibaldi. Lui non conosceva personalmente Giuseppe Fioretti e Paolo Nigro («sa, qui ci sono migliaia di uomini»), ma non esclude di averli incontrati o di averci parlato per caso. Due volti giovani come tanti altri, appena un filo di barba g il gel nei capelli, ma che ora resteranno dolorosamente impressi nella memoria. Il tenente colonnello Catalano non vuole e non può parlare dell'incidente: «E' in atto un'inchiesta giudiziaria e per rispetto alla magistratura non possiamo dare informazioni sull'accaduto». Dopo la tragica e misteriosa morte dei due commilitoni, com'è l'umore tra le nostre truppe? «Quello che è successo ci ha toccato, è ovvio. Ma dobbiamo andare avanti nonostante tutto e mantenere la calma e la serenità. Continuiamo a lavorare come sempre, con lo stesso impegno e la stessa professionalità. Anzi, episodi come questo sono di sprone a fare meglio. Siamo consapevoli e responsabili del nostro lavoro di soldati, i sentimenti appartengono all'uomo». E' possibile che i soldati, nonostante l'addestramento e la professionalità, risentano dello stress e della stanchezza? «Assolutamente no. L'ho già detto, siamo sereni e consci delle nostre responsabilità e. comunque, i nostri militari in Kosovo si avvicendano ogni quattro mesi. C'è un ricambio completo. La brigata Garibaldi è arrivata a Pec il 5 luglio scorso, il terzo reggimento alpini della brigata Taurinense (quello dei due giovani morti, ndr) è qui già da un paio di mesi e quindi ripartirà in autunno». Per evitare nuovi incidenti, è prevista una revisione delle procedure, con maggiori controlli o precauzioni? «No, il nostro addestramento è quello dovuto, non c'è niente di nuovo». Quanti militari italiani ci sono in questo momento in Kosovo? «Il contingente della Kfor (la forza multinazionale di pace) è composta da più di 42 mila uomini provenienti da 37 paesi, soprattutto dell'area Nato. Di questi, circa 5 mila sono italiani. Tutti professionisti, non c'è nessun militare di leva, e con esperienza in altre missioni di pace. La brigata Garibaldi è stata la prima ad essere composta solo da volontari, nel 1994, ed è alla terza missione in Kosovo. Forse pochi sanno che è una brigata multinazionale, composta anche da reparti di area "latina": ci sono infatti militari spagnoli, portoghesi e argentini». Qual è il compito dei nostri soldati? «Si può riassumere tutto in un termine: sicurezza. Il nostro compito è proteggere il territorio e quindi garantire la libertà di movimento e circolazione, ripristinare la legalità e poi tutelare la sicurezza delle diverse etnie e minoranze». L'Italia è impegnata non soltanto in Kosovo. In Bosnia ci sono 1500 uomini, in Albania altri mille, senza considerare i vari volontari delle agenzie umanitarie, oltre 15 mila persone. Complessivamente, sono più di 60 mila i militari italiani che hanno prestato servizio nei Balcani. «Episodi come questo provocano strazio Il nostro impegno è di lavorare con sempre maggiore professionalità» «Siamo chiamati a proteggere il territorio e quindi garantire la libertà di movimento tutelando la legalità e le diverse etnie»

Persone citate: Catalano, Giuseppe Catalano, Giuseppe Fioretti, Livia Michiili, Paolo Nigro

Luoghi citati: Albania, Italia, Kosovo, Roma