Askatasuna replica: noi non devastiamo le città di Francesca Paci

Askatasuna replica: noi non devastiamo le città I PORTAVOCE DEL CENTRO SOCIALE: GETTARE FANGO SUL MOVIMENTO ORMAI STA DIVENTANDO UNO SPORT Askatasuna replica: noi non devastiamo le città «Ma non restiamo inermi davanti alle manganellate, reagiamo alle aggressioni » il caso Francesca Paci PERSIANE chiuse, bandiere ammainate, se passi davanti al numero 47 di corso Regina Margherita il centro sociale ((Askatasuna» sembra chiuso per ferie. Dentro: poltroncine da cinema ammonticchiale, scatoloni di libri e videocassette, casse hi-fi e impiantistica a riposo. Solo la fotocopiatrice non stacca la spina: Federico Guido, un habitué del posto, è stalo arrestalo due notti fa con l'accusa di concorso in devastazione e detenzione di armi. Sarebbe lui, secondo la questura, l'autista del furgone partito da Torino e filmalo a Genova durante la distribuzione di bastoni per la manifestazione anti global del 21 luglio. Così, i pochi mUitanti rimasti in città, si rimboccano le maniche: volantini, comunicati, un presidio in piazza Castello. Tutto per dire che sì, «la situazione è tesa ma Federico sarà rilasciato in un paio di giorni perché non c'è nulla contro di lui». Andrea avrà trent'anni, la maglietta nera con la scritta ((Askatasuna» che, spiega, in basco significa libertà, e una fascia in testa per trattenere una criniera di treccine lunghe fino a metà schiena e assorbire il sudore della fronte. S'è improvvisato portavoce e corre dal mattino: quando parcheggia la grossa moto enduro in corso Regina e siede nel giardinetto del centro sociale, lira il fiato. Sul tavolaccio di plastica srotola il lavoro della giornata. La lista degli oggetti sequestrati a bordo dell'Ivcco bianco: cacciaviti, pinze, occhialini e una cinquantina di aste da bandiera «quelle che venivano distribuite dal furgone per il servizio d'ordine del corteo». Il testo dattiloscritto con la posizione del Network per i diritti globali, di cui ((Askatasuna» fa parte, sugli scontri di tre settimane fa: ((Abbiamo reagito con violenza all'aggressione della polizia. Nessuna sorpresa: avevamo annunciato che non avremmo preso le manganellate inermi». Il foglio di via con cui è stato «sbattuto fuori da Genova prima del vertice per reato d'opinione». Dice che aveva solo sventolalo una frase di Shakespeare: «Viviamo per calpestare i re». Lui, alla tre giorni di fuoco del capoluogo ligure non c'era. L'ha seguila passo passo da Torino attaccato a radio Gap. Parlare di «guerra contro le multinazionali» in un fazzoletto verde con due altalene, uno scivolo, un paio di aiuole arse dal sole, e un anfiteatro di palazzoni affacciati intorno, sembra strano. Eppure, i ragazzi di ((Askatasuna» sono i duri dei centri sociali, quelli che hanno rotto con l'ala morbida delle Tute bianche sulla resistenza passiva: se c'è da menare le mani, si mena. Savino, un tipo in bermuda cachi sulla trentina, si aggiunge all'ultimo momento e scioglie la contraddizione. «Questo spazio, occupalo cinque anni fa, nasce per costruire un rapporto di fiducia col quartiere. La gente che ci conosce sa che organizziamo concerti a basso volume per non disturbare e teniamo i bimbi delle mamme che lavorane ma non possono permettersi baby silter». Detta così, si merita la domanda: e che ci facevate a Genova in mezzo ad auto incendiate, vetrine spaccate, cassonetti rovesciali a mo' di barricala? La questione scolla e Andina, sprofondalo nella sedia di plastica da giardino, si tira su: «La violenza non è il nostro fine, ma può essere un mezzo per raggiungere un obiettivo. Prendi il McDonald's: è chiaro che non lo mandi in frantumi con le sue vetrine, ma dimostri che quel simbolo non è infrangibile». Inutile obiettare che tra i no global c'è anche l'anima pacifica che pratica il boicottaggio, ad «Askatasuna» non accettano la divisione del movimento tra buoni e cattivi. «Noi lavoriamo con l'agricoltura biologica, non ci interessa la devastazione delle città e abbiamo differenze di vedute con alcuni gruppi che a Genova hanno messo a ferro fuoco le strade», taglia corto Savino. A Genova però, anche i negozi sono andati in fiamme. E ora in molti danno la colpa ai centri sociali per non aver saputo controllare quella zona grigia in cui il limite da non superare è una linea sfumala. «Calunnie, se avessimo visto un devastatore gratuitamente all'opera l'avremmo caccialo di peso», fa Savinio. D'altra parte, ride Andrea, «gettare fango sul movimento è lo sport preferito del momento». Eppure è difficile non leggere con la stessa apprensione gli scontri di fine luglio e il clima incandescente di questi gior¬ ni: una bomba a Venezia, un proiettile recapitato al presidente del consiglio, arresti ogni giorno. Andrea, Savino, Fabrizio e gli altri hanno una teoria unica: «L'eterno ritorno della strategia della tensione». «Non c'è spazio per gli attentati nella nostra lotta. E poi scusa, non dicono che sono rivendicati dalle Br? Siamo autonomi, noi, mica brigatisti». Una perquisizione nel centro sociale torinese Askatasuna

Persone citate: Andina, Federico Guido, Savinio, Shakespeare

Luoghi citati: Genova, Torino, Venezia