: attenzione alle nuove Br C'è un contagio intemazionale di Francesco La Licata
: attenzione alle nuove Br C'è un contagio intemazionale IL PROCURATORE ANTIMAFIA: «SU INTERNET E' FACILE LO SCAMBIO DI MESSAGGI IN CODICE» : attenzione alle nuove Br C'è un contagio intemazionale intervista Francesco La Licata ROMA PIERO Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia, segue con attenzione quanto si muove da tempo nell'ambito delle organizzazioni eversive, piccole e grandi. A differenza di tanti, che mostrano qualche dubbio sulla reale portata e sulla pericolosità del fenomeno, il magistrato fiorentino tradisce più d'una preoccupazione e, come fa ormai da qualche anno, mette in guardia contro le tentazioni alla sottovalutazione. Procuratore Vigna, gli episodi riconducibili ad una matrice eversiva sono ormai all'ordine del giorno. La bomba di Venezia, i pacchi esplosivi, gli attentati di Roma e Milano: siamo di nuovo alle prese con una nuova emergenza terrorismo? «Non è agevole rispondere a questa domanda con un sì o con un no. Credo che, invece, valga la pena di fare una riflessione di carattere generale per cercare, poi, di entrare nello specifico giudiziario». Cominciamo dal discorso complessivo. «Io vedo da un lato l'esistenza di una struttura organizzativa, e mi riferisco alle Brigate rosse che hanno commesso l'omicidio D'Antona e che, ancora oggi, rimane occulta. Poi vedo che questa struttura non ha commesso solo l'omicidio ma ha operato una vasta attività di volantinaggio ovviamente diretto alla ricerca di consensi. Dall'altro lato vedo una situazione più magmatica e, se si vuole, meno comprensibile ma di certo suscettibile di sviluppi, di consolidamento e soprattutto capace di compiere atti violenti». A chi si riferisce, dott. Vigna? «Penso alla miriade di attentati che ormai si susseguono con frequenza preoccupante, fino a quello di Venezia. Mi riferisco alle lettere esplosive come quella inviata alla redazione del Tg4 e mi riferisco anche agli episodi di violenza compiuti da gruppi come le Tute nere. Penso ancora ai gruppi anarco insurrezionalisti, ai nuclei comunisti combattenti e vedo poi che questo tessuto, più sfuggente ma egualmente dedito alla violenza, è suscettibile di integrarsi coi richiami delle Br e comunque di consolidarsi». Teme una sorta di contagio territoriale? «Di più. L'altro aspetto che preoccu¬ pa, infatti, riguarda i legami internazionali che sono da un lato favoriti dalla Rete che, anche in questo settore, è un mezzo veloce ed efficiente di scambio di messaggi con un linguaggio comprensibile solamente a chi ne conosce le "parole d'ordine". Pensiamo per un momento alle suggestioni ideologiche dell'integralismo islamico che in Italia mi pare sia stato alquanto presente. Questi legami, poi, si rafforzano coi raduni intemazionali». Ma non le sembra, dott. Vigna, che manchino le condizioni indispensabili per ima riproposizione del terrorismo? «Se posso azzardare delle valutazioni, devo dire che il modello brigatista degli Anni Settanta (clandestinità e analisi politica), molto ideologizzato, potrebbe sfociare nell'appropriazione di temi più concreti - quelli posti dalla globalizzazione - che si vorrebbero risolvere con il ricorso alla violenza. Il vero pericolo, dunque, sarebbe l'innesco di una catena violenta che passerebbe per una sorta di alibi generale basato sull'assenza di regole come conseguenza prima della stessa globalizzazione». Andiamo, ora, allo specifico giudiziario. «Non è la prima volta, ho cominciato nel 1999, che insisto su quello che mi sembra uno dei limili più evidenti della macchina preposta al contrasto: l'assenza di una lettura globale del fenomeno terroristico-eversivo. Queste indagini, come avveniva all'inizio degli Anni Novanta per i fatti di mafia, possono essere svolle da ben 164 procure sparse nel territorio. Manca quindi una visione totale e centralizzata che, come dimostrano i successi nel campo dell'antimafia, è quella che agevola le investigazioni». Sta suggerendo di affidare le indagmi sul terrorismo... «Alle procure distrettuali, con il coordinamento della Dna come avviene per la mafia. E questo anche per altre ragioni: le organizzazioni mafiose hanno anch'esse una valenza terroristico-eversiva, tanto che gli autori delle stragi del '93 sono siali condannali in primo grado e in appello con l'aggravante di aver agito per finalità di terrorismo. Ma non solo, formazioni terroristiche hanno commesso delitti che oggi sono di mafia: sequestro Costa fatto dalle Br, il sequestro del banchiere Mariano compiuto da Ordine Nuovo. E inoltre gruppi terroristici stranieri si alimentano con traffici di droga. Ma ci sono anche ragioni giuridiche che mi spingono a ritenere wssibile attribuire la competenza dele inchieste sull'eversione alle 26 procure distrettuali coordinate dalla Dna. Alla mafia è data valenza di organizzazione terroristica quando, con la modifica dell'art. 416 bis del '92, si dice che ha tra le sue finalità quella di impedire il libero esercizio del voto. Il segreto di Stalo, tanto per fare un altro esempio, non è opponibile nei procedimenti di mafia e di camorra perché questi costituiscono fatti eversivi dell'ordine costituzionale. Tutte queste ragioni, e altre ancora che sarebbe lungo elencare, mi portano a pensare che attribuendo la competenza sul terrorismo alle procure distrettuali si avrebbe, sotto il profilo giudiziario, una lettura più esaustiva di questi fenomeni. Manca una lettura globale del fenomeno eversivo Le indagini possono essere svolte da ben 164 procure sparse nel territorio Dovrebbero occuparsene le procure distrettuali, coordinate dalla Dna proprio come avviene per la mafia Piero Luigi Vigna
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