« Se ci fossero i fondi pensione». Ma servirebbero?

« Se ci fossero i fondi pensione». Ma servirebbero? L'OPERAZIONE PIRELLI-TELECOM HA RIPROPOSTO IL PROBLEMA. GLI OPERATORI SCETTICI: IL MERCATO ITALIANO NON E' ANCORA MATURO « Se ci fossero i fondi pensione». Ma servirebbero? la storia Francesco Manacorda LO ammette Marco Tronchetti Provera: ((Avessimo anche noi i fondi pensione anglosassoni l'operazione Telecom sarebbe stata costruita in modo diverso». Si rammarica Roberto Colaninno: «Con un vero mercato, con strumenti finanziari aperti a investimenti eli lungo periodo come i fondi pensione non sarebbe finita cosi». Insomma, a sentire i protagonisti della più recente operazione di Borsa passata però fuori Borsa - i fondi pensione sono la pietra filosofale che potrebbe dare trasparenza al mercato italiano, equilibrio alla «govemance» delle società quotate ed esaltare di rillesso le opportunità dei piccoli azionisti. Un'opinione assai diffusa. Ma è davvero cosi? Difficile saperlo, almeno per ora, data ia scarsissima consistenza dei fondi pensione nel nostro Paese. Una situazione dovuta del resto ad elementi ben noti: in primo luogo gli incentivi fiscali insufficienti e la forza della previdenza pubblica. Al 31 marzo di quest'anno - spiega la relazione annuale della Covip, la Commissione di vigilanza sul settore erano 141 i fondi pensione di nuova istituzione, con un numero di iscritti di poco superiore al milione e attivi per circa 4 mila miliardi. «Una goccia - commenta il segretario generale di Assogestioni Guido Cammarano - rispetto al patrimonio di oltre 800 mila miliardi raccolto dai fondi comuni». E ima goccia anche nel panorama intemazionale. I dati della William M.Mercer, una delle principali società di consulenza e analisi del settore pensionistico privato, mostrano che le attività detenute nel 2000 dai fondi pensione in Gran Bretagna equivalgono al 91 \ del Pil nazionale, in Olanda la percentuale sale al 1620Zo. E in Italia? Sommando i 57 mila miliardi di attivi dei «vecchi» fondi pensione ai 4 mila di quelli nuovi si arriva a un valore di circa il 3"7o del Pil nazionale. «I fondi pensione - scrive Dimitri Viltas della Banca Mondiale in uno studio apparso l'anno scorso non sono né necessari né sufficienti per lo sviluppo del mercato dei capitali». Ma «possono avere un forte impatto sulla modernizzazione e lo sviluppo del mercato» se si verificano alcune condizioni. Eccole: l'esistenza di una «massa criti- ca nella quale i fondi pensione e altri investitori istituzionali controllino risorse pari a circa il 20oZo del Pil», norme che non limitino eccessivamente i fondi nella scelta degli investimenti, politiche di investimento orientate al massimo rendimento e «la prevalenza di strutture pluralistiche», cioè un ambiente concorrenziale sia nella raccolta del risparmio sia sullo stesso mercato azionario. Condizioni, insomma, che almeno in parte non paiono essere presenti in Italia. Anche sullo spazio effettivo che i fondi pensione potranno conquistarsi, i dubbi sono molti. «Penso che si svilupperanno molto lentamente - spiega Giovanni Zanni del Credit Suisse First Boston - perché il sistema pensionistico italiano garantisce ancora abbastanza chi ha superato i 35 anni e i giovani che dovrebbero essere i più interessali a questa forma di risparmio previdenziale sono quelli che investono di meno». E per Andrea Beltratti, docente all'Università Bocconi e autore di studi sulle strategie di portafoglio dei fondi, «non è assolutamente detto che ci sia spazio per questo tipo di strumenti, visto che oggi gran parte del risparmio previdenziale degli italiani è indirizzato verso altri strumenti, come gli stessi fondi comuni, le polizze vita o l'investimento diretto». Cosi, ammesso che la corsa ai fondi pensione in Italia parta davvero, che effetto potranno avere questi investitori di lungo corso sul nostro mercato? Saranno disposti a mettere i loro soldi proprio in Piazza Affari? In assenza di dati precisi sugli investimenti di fondi previdenziali esteri in Italia - seb- bene si possa citare il caso unico dell'Eni il cui capitale è in mano per il 350Zn a grandi fondi Usa tra cui il Cref, quello dei professori di college a riposo - i dati della Covip non lasciano intravedere un soverchio entusiasmo dei fondi italiani per la Borsa di casa nostra. A fine 2000 i fondi pensione aperti avevano investito in azioni il 54^0 del loro portafoglio, ma solo il 1307o era in titoli italiani, mentre il I407o era investito in altri Paesi dell'Ue e il 200Zo direttamente negli Usa. «I fondi preferiscono naturalmente investire in titoli di grandi società e molto liquidi, così non è affatto ovvio che debbano investire in Italia - spiega Beltratti - anzi uno degli errori più comuni rispetto a ima gestione ottimale del portafoglio è che si investe poco all'estero e non si diversifica quindi rispetto al rischio Italia». Sulla stessa linea anche Cammarano: «E' un'idea un po' corporativa quella che i fondi debbano investire prevalentemente su mercato di origine. L'Italia pesa circa il 50Zo sul mercato azionario mondiale e in un'asset allocation ideale gli attivi investiti in Piazza Affari non dovrebbero superare quelle soglia. Del resto le grandi imprese veramente intemazionali da noi si contano sulle dita di una mano». Ma per Beltratti il problema, almeno in questo m .lento, è soprattutto un altro: «Bisogna capire se i fondi pensione fanno una gestione davvero diversa dai fondi di investimento. Spesso, vista l'esiguità delle risorse raccolte dai fondi pensione e per motivi di economia di scala vengono gestiti in modo assolutamente parallelo». Un'accusa grave se è vero che proprio l'ottica di investimento di mediolungo termine dei fondi pensione, contrapposta a quella più a breve dei fondi di investimento, dovrebbe portarli ad essere un fattore di stabilizzazione del mercato. Difficile, insomma, che i fondi pensioni da soli portino in Italia quella ventata di novità e quelle regole di mercato che da tante parti si invocano. «Non credo che i fondi pensione abbiano la forza per modificare la struttura del nostro capitalismo - spiega ancora Cammarano -. Se questo avverrà sarà perché gli imprenditori decideranno di aprirsi al mercato e non certo perché aumenta la domanda di azioni». E per Beltratti la ricetta è «riformare il mercato, creare nuovi strumenti di governance e mighorare i meccanismi di trasparenza, cercando di attrarre prima i fondi stranieri e poi anche i nostri, visto che sono comunque imo strumento di stabilizzazione». L'ultima operazione che ha scosso Piazza Affari probabilmente non è andata in questo senso, visto il commento dell'Economist: «Se si comportano come la Pirelli, le aziende italiane perderanno sempre di più accesso ai capitali stranieri». CAMMARANO «Non credo abbiano da soli ia forza di modificare la struttura del nostro capitalismo. Se questo avverrà sarà perché le imprese si apriranno al mercato» Marco Tronchetti Provera e Roberto Colaninno