Arte e pubblicità: un lungo duello, dal gatto di Manet all'epoca Web

Arte e pubblicità: un lungo duello, dal gatto di Manet all'epoca Web Arte e pubblicità: un lungo duello, dal gatto di Manet all'epoca Web LA prima agenzia che vende pubblicità sorge a Filadelphia nel 1841. La diffusione della stampa apre le porte a questo nuovo strumento. Già nel 1836, a Parigi, come spiega Vanni Codeluppi in due utili volumi («Pubblicità», Zanichelli, pp.113, L. 17.000, e «Che cos'è la pubblicità», Carocci, pp. 126, L. 16.000) era comparso un giornale, «La Presse», venduto a metà prezzo grazie a un'intera pagina, Mtima, piena di inserzioni a pagamento. Tuttavia, gli altri giornali sono contrari all'iniziativa, e Girardin, direttore de «La Presse», viene sfidato a duello dal direttore de «Le Nation», che vi resta ucciso. La diga è rotta. Non solo Balzac usa la pubblicità come sfondo di un suo romanzo, «Cesar Birotteau», ma nel 1900 «Petit Joumab, primo quotidiano a basso prezzo, per via della pubblicità, vende un milione di copie. Da quel momento lo sviluppo della pubbhcità è saldamente legato a quello dell'arte, dato che è proprio da quest'ultima che la pubblicità trae i suoi strumenti linguistici ed espressivi, per diventare la dominatrice degli spazi pubblici delle società moderne; ma è anche vero il contrario, e cioè che l'arte utilizza la pubblicità, la rifa, la cita, la copia, la dileggia ola sfrutta. La storia di questo complesso rapporto è raccontato in un libro esemplare, «Arte e pubblicità», di Elio Grazioli che, mentre descrive e analizza i continui feedback tra l'ima e l'altra, costruisce una vera e propria storia dell'arte moderna e contemporanea. Pubblicità e arte moderna, scrive, nascono contemporaneamente, e il loro comune inizio va cercato nei grandi cambiamenti sociali, tecnologici e distributivi della civiltà industriale. Consumo, merce, massificazione delle società occidentali, riproducibilità tecnica, sono altrettanti momenti di questa simbiosi tra arte e pubblicità. Grazioli sceghe il manifesto disegnato da Édouard Manet per Le Chat dell'amico Champfleuiy, nel 1868, per stabilire la data d'inizio; seguono immediatamente gli straordinari manifesti di Toulouse-Lautrec nel 1891, in cui la composizione, il tagho fotografico, la velocità percettiva indicano come «il manifesto funziona per ciò che suggerisce e non per ciò che è». Dal 1881 l'arte fa parte del paesaggio urbano, lo modella e lo influenza. E non è un caso che sia stata lo choc visivo creato dalla pubbhcità composta di lettere e numeri in rilievo sui vetri dei bar, a ispirare il cubismo: lo spazio pittorico e quello pubblicitario obbediscono ai medesimi meccanismi visivi, e Picasso se ne impossessa immediatamente. Lui e Braque inseriscono etichette, bigUetti, frammenti di giornah, ritagli di periodici nel quadro: «è la realtà stessa a entrare nell'arte e insieme è già la realtà in forma di immagine». Il dadaismo, fonte inestinguibile d'ispirazione per la pubblicità del RECENMaBel IONE co liti XX secolo, sembra rompere con l'ordine consequenziale, la linearità, a favore del nonsenso e della deflagrazione della comunicazione stessa. L'effetto sorpresa è perseguito da Picabia, come da Duchamp: manipolazione, straniamento, rovesciamento dei significati, giochi linguistici, ready-made. Grazioli mostra come anche l'arte costruttivista e l'astrattismo, con la loro negazione della figurazione, siano in effetti intrisi di pubbhcità, di cui ne condividono i problemi e le forme; Rodcenko e Lissitskij sono autori di manifesti, libri, giornali murah, ma anche carte da caramelle. La grafica della seconda metà del XX secolo ne risulterà profondamente influenzata. Magritte, dipinge bozzetti pubblicitari che anticipa- no o seguono i suoi celebri quadri; è «la pubblicità della pubbhcità, una pubblicità che rispecchia se stessa, che svela i propri meccanismi invece che impiegarli nel senso consueto, ovvero la vendita della merce». E' come se a partire dagli anni Venti del Novecento, il desiderio fosse diventato il protagonista indiscusso della pubbhcità: suscitare il desiderio per il desiderio, e non tanto o non solo il desiderio di questo o quel prodotto commerciale. In quegli stessi anni, i sociologi e filosofi della Scuola di Francoforte reagiscono negativamente alla cultura di massa, e vedono nell'arte una forma di «resistenza» all'invadenza della pubbhcità. E' rimasta famosa la frase di Adomo: «Da ogni spettacolo cinematografico, m'accorgo di ritornare, nonostante ogni vigilanza, più stupido e cattivo». Inizia qui un rapporto conflittuale tra arte e pubblicità, per cui si delineano due strade opposte: quella che si oppone alla mercificazione e quella che invece ne affronta gli esiti più estremi e ci gioca di continuo. Tuttavia Grazioli fa notare, a proposito dell'espressionismo astratto americano (Pollock, Rothko, Stili, ecc.), come la sacralizzazione dell'arte, l'idea di purezza estrema di questi pittori, provochi l'effetto contrario e apra in realtà la strada, nella generazione successiva, quella Pop, all'uso indiscriminato dell'arte nella pubblicità «proprio come dichiarazione di purezza, come alibi o inganno di ricerca e funzione estetica invece che commerciale». La celebre Painted Bronze II di Jaspers Johns, del 1960 due lattine di birra Ballantine fuse in bronzo e dipinte a mano per renderle «realistiche» - sembra ab- bla avuto origine da una dichiarazione ammirata e provocatoria del pittore de Kooning nei confronti del gallerista Leo Castelli: è così bravo a vendere che saprebbe piazzare anche lattine di birra. La parte più bella del libro è quella sugli Anni Sessanta, sul Pop e la società dell'immagine. Vi domina la figura di Andy Warhol e la sua «indifferenza». L'artista americano non aderisce né critica la realtà, non giustifica né spiega il mondo delle merci, non è né distante psicologicamente né esteticamente; egli si astiene dal giudizio, poiché tutto è messo in superficie. Per l'autore delle scatole della Brillo ( 1964) «tutto è sullo stesso piano»; consumo, morte, natura, politica, musica, violenza, sono come le immagini sulla superficie di carta. Jean Baudrillard ha usato il termine di «simula¬ cro»: immagine di cui si è perso l'originale, che è copia di copia. Nella pubbhcità come nell'arte degli Anni Sessanta «non c'è più ideologia, ci sono solo i simulacri». Ha detto Warhol: «La Coca-Cola è "quello che noi siamo"». Questa è l'epoca delle scatole: tutto è contenuto in una scatola, sembra dirci con impietoso cinismo la Pop art, a cui reagisce il movimento di Fluxus, nato nel 1962, così ben rappresentato da Le Magasin di Be (1958-73) di Ben Vautier, gran bric e brac, negoziopattumiera, accumulo di oggetti di scarto oggi esposto al Centre Georges Pompidou di Parigi. Gli Anni Settanta sono invece all'insegna dell'anti-Pop, con la riscoperta del corpo, dell'arte-comportamento, dei materiali poveri, con il rifiuto della pubblicità, ma anche con il ritomo alla grafica e all'essenzialità del «concettuale», che tuttavia mima, più o meno consapevolmente, la pubblicità. Negli Anni Ottanta entriamo invece in un'epoca che Grazioli battezza della postpubblicità: tutto è pubbhcità. Il caso emblematico è quello di Jeff Koons che ha iniziato la sua attività di artista con manifesti che pubblicizzano la vita tranquilla e senza problemi: l'artista stesso, in figura, ci sorride soddisfatto. Grazioli, critico mihtante e direttore dell'unica rivista teorica italiana d'arte contemporanea, Ipso facto, è sempre attento a segnalare le crepe nel discorso dominante di ogni decennio, e a indicare in modo discreto ma preciso gli artisti e i movimenti che vi divergono. Egli ci ricorda come proprio alla fine degli Anni Ottanta ritornino forme di arte che rilanciano la critica sociale e pongono attenzione ai comportamenti minimi: Pubblic Art e la cosiddetta Arte relazionale, ben rappresentata da Felix Gonzalez-Torres o da Luca Vitone e Stephan Kurr. Che forma avrà la pubb icità del futuro? L'arte ne sarà succube, avversaria o indifferente? Su questi interrogativi, non senza aver gettato uno sguardo sul mondo Web, si chiude questo importante volume. LA STORIA DI UN COMPLESSO RAPPORTO: I MANIFESTI DI TOULOUSE-LAUTREC, PICABIA E «L'EFFETTO SORPRESA», I MITICI ANNI SESSANTA DELL'idNDIFFERENTE» ANDY WARHOL Un soldato palestinese si protegge dietro un muro: sullo sfondo, un manifesto della «Coca-Cola» («La Coca-Cola è "quello che noi siamo"», proclamava Andy Warhol) RECENSIONE Marco Belpoliti Elio Grazioli Arte e pubblicità Bruno Mondadori, pp. 243, L. 45.000 SAGGIO

Luoghi citati: Francoforte, Parigi