«Bush ci porta al crack, Berlusconi parte bene»

«Bush ci porta al crack, Berlusconi parte bene» «Bush ci porta al crack, Berlusconi parte bene» Modigliani: scandalosa la depenalizzazione del falso in bilancio intervista Maurizio Molìnari corrispondente da NEW YORK GLI Stati Uniti sono sull'orlo della recessione e attendono con apprensione il prossimo taglio di tassi della Federai Reserve di Alan Greenspan. Ma il premio Nobel per l'Economia, Franco Modigliani, bacchetta le scelte economiche dell'Amministrazione George Bush, a cui rimprovera un errore di fondo: scommettere su un livello alto di consumi in America mentre la ciambella di salvataggio non può che venire da una forte ripresa dell'economia in Europa. «Per centrare questo obiettivo servirebbe un accordo forte e complessivo fra Europa e Stati Uniti dentro il G7-8, un organismo che invece non funziona come dovrebbe». Il giudizio sui primi passi compiuti dal governo Berlusconi sul terreno economico è invece positivo. Modigliani plaude al piano fiscale del ministro Giulio Tramonti, chiedendogli di compiere due passi in più: ridurre la spesa nazionale e rivedere il sistema pensionistico d'accordo con gU altri partner dell'Unione Europea. Professor Modigliani, dopo sei tagli dei tassi dì interesse la Federai Reserve si avvia a deciderne un altro. L'America spera che da settembre, l'economia riprenda a galoppare. Lei come la pensa? «La situazione economica negli Stati Uniti è abbastanza chiara. E' in atto ima pausa, un rallentamento. Non deve allarmare. Non si può pensare che un'economia vada sempre a cento all'ora. In questa occasione il rallentamento non richiede per l'America l'adozione di misure straordinarie, ma ordinarie: una poUtica monetaria accomodante, lasciando al sistema fiscale di fare il suo corso. Di tagli di interesse ne sono già stati fatti abbastanza, non credo ne servano ancora altri. La mia opinione è che al momento il rallentamento è utile perché si andava troppo forte.» I dati sulla disoccupazione sono in aumento. Non crede che la crisi americana abbia infranto il mito dì un modello economico basato sulla flessibilità del lavoro? «No. La flessibilità del lavoro in America è stata, è e resta importantissima: si perde un lavoro e se ne trova un altro. E' un meccanismo che attutisce, protegge ogni volta che ci sono dei cambiamenti. Anche durante questa fase di rallentamento la flessibilità si è dimostrata una rete di protezione preziosa». La ricetta dell'Amministrazione Bush è quella di affiancare all'azione dì Greenspan i tagli delle imposte al fine di far affluire nelle tasche degli americani ì dollari necessairi per mantenere alto il livello dei consumi e quindi far ripartire l'economia. E' d'accordo? «George Bush scommette tutto sui tagli delle tasse ma è un'azione che ritengo profondamente sbagliata. Il Presidente vuole tagliare le tasse non per il bene del paese ma soltanto per far del bene ai suoi amici, ai suoi finanziatori, ai suoi Grandi Elettori. Bush vuole arricchire i ricchi, non pensa ai conti dell'Azienda America». Perché dà un giudizio così duro? «Perché questi tagli rovinano la povera gente, pregiudicando il futuro della sicurezza sociale negli Stati Uniti. Vari piani di intervento erano possibili per aggiustare la sicurezza sociale grazie al surplus ereditato dall'Amministrazione di Bill Clinton ma ora non lo sono più. Lo Stato si è liberato di quello risorse per versarle nelle tasche dei ricchi e così poveri si impo¬ veriscono». Sono numerosi tuttavia gli economisti che concordano sulla possibilità che ì tagli fiscali consentano l'aumento dei consumi. Lo stesso Alan Greenspan ha sposato questa opinione intervenendo davanti al Congresso. «L'idea del taglio temporaneo di tasse per aumentare il consumo è sbagUata. Un taglio delle tasse temporaneo ha di per sé scarsi effetti. Ma il punto è che l'idea di risollevare l'economia aumentando i consumi è profondamente errata perché l'America è notoriamente il paese dove si risparmia di meno al mondo, l'unico risparmiatore era lo Stato. Bush adesso ricorre al surplus e quindi elimina l'unico risparmiatore». Perché ritiene che la fiducia dei consumatori non sia la ciambella di salvataggio dell'economia americana? «Gli americani consumato troppo. Finora il contrappeso al consumo eccessivo è stata l'importazione di capitali dall'Europa. Il risparmio europeo ha finanziato l'America che ha contratto un deficit pauroso ed un debito gigantesco. Cosa deve fare dunque adesso Bush? GU americani dovrebbero consumare di meno e l'America deve esportare di più. L'America deve finanziarsi con i propri soldi, deve rimpiazzare il capitale straniero con quello proprio». Perché lancia questo grido d'allarme? «L'enorme debito degli Stati Uniti suscita il pericolo di ima crisi intemazionale senza precedenti. Se d'un tratto la gente dovesse decidere che ha investito troppo in America ed incominciasse a spostare i soldi altrove, cercando di uscire dal mercato americano, succederebbe uno sconquasso di proporzioni enormi. L'America rischia di precipitare in una crisi simile a quella che colpì la Thailandia, ma moltiplicata per cento, con effetti pesanti sul cambio con tutti che vorranno vendere dollari e nessuno comprarh. Tagliare le tasse per incoraggiare i consumi è uno sbaglio profondo, quest'anno Bush non si è fatto tanto male ma in quello futuro rischia grosso. Farebbe megho a pensare di più all'America e meno ai suoi amici molto ricchi». Come giudica ì ripetuti interventi della Fed sui tassì? «I tagli di interesse controllano gli investimenti. Devono essere abbastanza elevati da assorbire il risparmio, incluso quello straniero. Questa crisi americana andrebbe fronteggiata cercando di incoraggiare gli investimenti e le esportazioni». L'America è alle prese con ì timori dì recessione mentre l'Europa non riesce a decollare. Come giudica in questo quadro i summit del G7-8, che dovrebbero essere lo strumento dì rac¬ cordo delle economie di Stati Uniti ed Europa? «Il G7-8 non è serve più assolutamente per il raccordo fra le economie di Stati Uniti ed Europa. Lo dimostra il fatto che non si occupa delle questioni più urgenti, come la necessità per gli Stati Uniti che il resto del mondo tiri di più. Bush dovrebbe chiedere all'Europa di crescere di più, di aumentare il livello degli investimenti e consumi e quindi di importare di più. E' questa la ricetta per l'America, non l'aumento dei consumi. L'interesse dell'America oggi è nell'espansione dell'economia dell'Europa. Negli anni recenti l'Europa si è mantenuta su un trend di crescita, sia pure debole, soltanto purché l'America ha tirato. Su questo non credo che vi possano essere dubbi. Adesso è ora che i ruoli si capovolgano: è l'Europa che deve crescere aiutando l'America. Questo avrebbe dovuto dire Bush al G7-8». Ma se il Presidente americano avesse davvero avan¬ zato questa urgenza, cosa dovrebbe fare ora l'Europa? «L'Europa ha bisogno di una nuova Banca centrale capace di condurre una politica espansiva. La Banca centrale europea di Francoforte continua invece con un'assurda politica di tassi di interesse alti. Taglia un quarto di punto quando dovrebbe tagliare molto, molto di più. Le conseguenze sono pesanti. L'Europa ha una disoccupazione enorme e quest'anno non Gambiera molto. La crescita prevista sarà insufficiente ad assorbire la crescita della popolazione. L'Europa ha bisogno di una politica monetaria e fiscale. Anche il tabù dei deficit di per sé è errato. Vi sono dei momenti, come quando la domanda è bassa, che i deficit fanno comodo. L'Europa ha di fronte a sé una possibilità di espansione, dovrebbe coglierla. La Banca centrale europea deve ripensare alcuni fondamenti della sua azione. Al momento puntano incredibilmente a mantenere la disoccupazione al 10 per cento: hanno il terrore che scenda, se va all'S e tre quarti esplode l'inflazione». Quali sono i motivi della persìstente debolezza dell'euro? «La debolezza dell'euro è dovuta alla debolezza complessiva dell'economia. Sotto ci sono i movimenti dei capitali che vanno negli Stati Uniti perché non c'è fiducia nell'economia europea. Da parte degli Stati Uniti non si è fatto abbastanza, il dollaro è sopravvalutato da un punto di vista commerciale. C'è un problema di dollaro troppo forte. E' su questo punto che ci dovrebbe essere collaborazione nel G7-8. In America c'è stata la tentazione di mantenere il dolla- ro forte per prestigio: si tratta di un grosso errore che va corretto al più presto. Spetta all'Amministrazione Bush chiedere collaborazione con l'Europa: servono operazioni congiunte, coordinate. E la sede per deciderle è quella del G7-8. Peccato che non lo si faccia». Il nuovo governo italiano si centrodestra sta muovendo i suoi primi passi sul terreno dell'economia... «Mi consenta di premettere che ci sono molte cose che non mi convincono come ad esempio la legge sul falso di bilancio, che mi sembra incredibile di per sé ma lo è ancora di più quando viene fatta per andare incontro ad un interesse personale del Presidente del ConsigUo». Ma sul piano del ministro Tremonti sulla riduzione delle tasse come la pensa? «Sull'economia, ad essere davvero sincero, le scelta che prende corpo con il ministro Giulio Tremonti è quella di tagliare e semplificare le tasse: è molto, molto giusta. E' una scelta che potrebbe a mio avviso aiutare , l'occupazione, la mobilità. E' uno sforzo importante che ha possibilità di riuscire. Ridurre le tasse è una buona idea ma ci vorrebbe anche il coraggio di tagliare la spesa». Ha qualche suggerimento da dare? «Non sono abbastanza tecnico per farlo ma non ho dubbi che molte farraginosità si possono semplificare. Su questo sono abbastanza vicino a Tremonti». Tagli alle tasse, flessibilità del lavoro: la ricetta anglosassone dì Berlusconi può funzionare nel nostro Paese? «Berlusconi punta in effetti su una ricetta anglosassone. Mobilità del lavoro e tagli alle tasse vanno nella direzione giusta. Ma la ricetta in questione dovrebbe include anche i tagli dei tassi di interesse. E questo né Berlusconi né alcun altro premier europeo può farlo perché c'è di mezzo la Banca centrale europea: c'è l'ipoteca di Francoforte sulla formula Berlusconi. L'Italia non ha libertà in politica monetaria, come non l'hanno gli altri paesi dell'area euro». Il modello economico italiano resta basato sulle piccole e medie imprese. Il loro numero quotato in Borsa resta tuttavia contenuto e, a parte casi isolati come Benetton, non riescono a decollare. Come lo spiega? «Se le piccole e medie imprese italiane non vanno in Borsa è una questione soprattutto di cultura imprenditoriale. Il Nasdaq nasce con piccole e medie imprese nel settore della tecnologia. In Italia non si ama il rischio, si teme che sceghendo di essere quotati in Borsa vi possa essere qualcuno che ci sfila la proprietà e, diciamolo pure, sono in molti che esitano a sottoporre i loro libri contabili agli accertamenti necessari per la Borsa». Una delle sue battaglie è quella in favore dei fondi pensione. Cosa si attende dal nuovo governo italiano? «Sulle pensioni il governo Berlusconi non si è pronunciato. Il problema a mio avviso non è il deficit pensionistico ma piuttosto l'aggravio dei contributi: quasi metà dei pagamenti di un'impresa va alle pensioni, non c'è paese al mondo che fa quest'orrenda cosa, in America la quota è del 12,5. Da tempo propongono un piano per ridurre i contributi con il tfr. Passare dal sistema contributivo a quello distributivo favorisce i più poveri. Nel sistema retributivo la pensione rimpiazza lo stipendio negli ultimi anni di vita, in quello retributivo invece si basa su tutta la vita. La gente ricca più invecchia più guadagna, dunque gli giova se la pensione è sull'ultimo anno. A rimetterci è invece il contadino che ha una media inferiore, alla fine della sua vita lavorativa non guadagna poi tanto di più rispetto all'inizio. Ma i sindacati in Italia non vogliono ascoltare questa campana. Berlusconi potrebbe farlo». Ma non teme che ì fondi pensione investendo all'estero dirottino lontano dall'Italia i risparmi dei nostri lavoratori? «Sui fondi pensione sono contrario a quelli individuali, serve un fondo comune uguale per tutti, che deve essere usato per ridurre i contributi. I fondi individuali non sono democratici, sono dannosi, creano disuguaglianza. Non ho paura che i fondi investano all'estero. Devono investire all'estero una porzione del capitale perché serve a stabiUzzare i rendimenti. La riforma delle pensioni deve essere però europea: deve esserci un accordo in forza del quale tutti i paesi investono una parte dei fondi all'estero. Se vi fosse un accordo generale non vi sarebbe problema, altrimenti sì. Il portafoglio dei fondi pensione segue delle regole e le regole mio avviso devono essere europee». «In America consumi già troppo alti, nessuno risparmia, lo faceva solo lo Stato Coi tagli alle tasse il surplus verrà regalato ai ricchi e la previdenza farà bancarotta» «ln Italia approvo il fisco più leggero e più semplice e gli incentivi all'investimento che vuole Tremonti Però vanno anche ridotte le spese pubbliche e tagliate ancora le pensioni» Il premio Nobel dell'Economia, Franco Modigliani