«Gridava, loro lo pestavano» di Francesca Sforza

«Gridava, loro lo pestavano» FÉWTOTtEDBcHI Nfel BLITTSEgLA SC JSffi «Gridava, loro lo pestavano» Anne, 22 anni, racconta «l'inferno» dell'arresto colloquio Francesca Sforza coirispondente da BERLINO DANTES Inferno», l'inferno di Dante. Con queste parole Anne Z. (il nome è inventato) riassume la sua esperienza a Genova, quando si è vista prendere con la forza dalla polizia mentre chiacchierava con alcuni studenti italiani di ciò che era successo quella mattina, alla manifestazione organizzata dal Genoa Social Forum. «E' stato tutto così improvviso che per un attimo mi sono chiesta se quello che stava accadendo fosse vero». Anne ha 22 anni, studia Scienze Politiche e non appartiene a nessun gruppo organizzato. Era a Genova con degli amici, per vedere, per capire. «Mai gettato una molotov in vita mia», assicura, «e la prima volta che ho visto armi pronte a colpire è stato fra le mani di quei poliziotti a Genova». Ha una ferita alla testa, guaribile in una decina di giorni. «Niente in confronto a quello che è capitato ad altri». Dopo l'arresto - racconta Anne - siamo stati tutti condotti in una caserma, perquisiti, e poi messi in cella. Eravamo circa 40, tra uomini e dorme. La maggior parte di loro erano feriti, in modo più o meno grave, soprattutto ferite alla testa e setti nasali rotti. Quelli che hanno tentato di difendersi il volto con le mani hanno, oltre alle ferite alla testa, anche le braccia ingessate. Siamo stati faccia al muro, gambe allargale e mani dietro alla testa non so per quanto. Ogni tanto i poliziotti rientravano in cella, ci facevano allargare meglio le gambe e alzare le braccia, in modo che stessimo il più scomodi possibile. Anche quelli che avevano braccia o gambe rotte dovevano restare in quella posizione. I poliziotti ci sussurravano: "Manganelli, manganelli". Sono state ore di totale terrore psicologico, e la gente continuava ancora a essere picchiata. Mentre ero con la faccia al muro ho sentito colpi e grida venire da un'altra sranza». Parla veloce, non prende mai fiato, con un suo amico sta preparando una lunga mail per racconta¬ re tutto minuto per minuto, e poi affidare la testùponianza alla rete: ((A un certo momento alle donne è stato permesso di sedersi un momento, agli uomini no. Ho avuto il permesso di andare al bagno, e ho visto che in una cella, un uomo veniva preso a manganellate sulla pancia. Gridava e gndava, ma continuavano a picchiarlo». Capelli corti biondi, due anelhni alle orecchie, il volto tirato. Così la giornalista del quotidiano di sinistra ((Junge Welt» Kirsten Wagerschein è ritornata da Genova. Anche lei racconta, ma da domani spegnerà il cellulare per almeno una settimana. Va in vacanza per riprendersi. Non in Italia, naturalmente, anche perché le autorità di Genova le impedirebbero l'ingresso, «almeno per i prossimi cinque anni». «Sono felice che tutto sia finito -dice a bassa voce - sono felice di essere fuori. Sono stata una deUe poche persone arrestata che non è stata picchiata. Quando la polizia ha fatto irruzione nella scuola siamo stati tutti presi dal panico. Io mi sono nascosta in una specie di stanzino delle scope, sperando di non essere scovata. Ero arrivata nella scuola da appena cinque minuti perché volevo fare qualche ricerca sul movimento antiglobalizzazione. Se fossi arrivata un quarto d'ora più tardi non mi avrebbero preso. I poliziotti ci hanno messo un po', ma alla fine mi hanno trovato. La prima ondata di arresti era già passata, stavano finendo di setacciare le stanze. Ho ricevuto solo pochi e deboli colpi di manganello, perché non volevo uscire. Poi sono stata condotta nell'atrio, ma senza essere picchiata. lì sì trovavano circa 70 persone, di cui almeno 50 chiaramente ferite. La metà di loro perdeva sangue da tutte le parti e aveva bratte ferite. Non ho assistito direttamente alla prima parte dell'attacco, perché ero nascosta nello stanzino, ma nell'atrio ho potuto vedere molti ragazzi mentre venivano picchiati in modo brutale. Nessuno si è ribellato, perché la presenza della polizia era troppo massiccia e troppo violenta. Una donna era seduta sulle scale. Ogni poliziotto che passava le dava una manganellata. Un colpo le è arrivato in pieno volto, rompendole la mascella e due den¬ ti anteriori». Dire che era una giornalista non le è servito: «Tenevo il tesserino in mano - racconta - e gridavo: "Stampa, stampa, stampa!". Il fatto è stato del tutto ignorato. Un poliziotto in borghese ha guardato l'accredito e ha sibilato tra i denti: «Ma guarda un po' chi abbiamo preso...». Dopo mi è stato dato ordine di consegnare tutto: zaino, documenti, tutto. Le autorità italiane sapevano dall'inizio che "L'arrestata Kirsten Wagenschein è una giornalista accreditata"». L'accusa era la stessa per tutti: detenzione di armi, partecipazione alle violenze del cosiddetto blocco nero «e qualcos'altro», dice Anne, che si raccomanda più volte di non citarla con il suo vero nome. «Potrebbero leggerlo, non so, forse mi potrebbe capitare qualcosa di male». Anche se adesso è tornata a Berlino, a casa sua, ha paura lo stesso. Kirsten, giornalista: «Una donna era seduta, ogni agente che passava le dava una manganellata Le hanno rotto i denti» Jonathan, sindacalista: «Ho passato 28 ore nel centro di detenzione quasi senza avere cibo Nello stile di Pinochet» Le manifestazioni che si sono svolte in tutta Europa dopo la morte di Carlo Giuliani a Genova; in alto un'immagine del corteo di Parigi, qui accanto una manifestante arrestata davanti all'ambasciata italiana a Londra. A sinistra le proteste a Berlino. w

Persone citate: Anne Z., Carlo Giuliani, Junge, Kirsten Wagenschein, Kirsten Wagerschein, Pinochet