Ma che «vitaccia» salire al Viminale

Ma che «vitaccia» salire al Viminale IL MESTIERE PIÙ INGRATO PER UN POLITICO Ma che «vitaccia» salire al Viminale Da Sceiba, silenzi e fermezza, a Cossiga che ci fece i capelli bianchi A Scalfaro una volta saltarono addosso a un funerale a Palermo I f lop da ricordare: le cadute di stile di Maroni e Bianco ì precedenti Filippo Ceccarelli ROMA Dunque: non solo proposta di inchiesta parlamentare, ma richiesta di sfiducia personahzzata, dopo appena un mese e mezzo, e debitamente preannunciata da accuse pesantissime," documenti segreti, scaricabarile all'orizzonte. Quindi robuste richieste di chiarimenti a livello diplomatico, impicci con la magistratura genovese, sospetti di torture, proteste della Federazione intemazionale dei giornalisti, stampa estera scatenata, intervento di Amnesty intemational, ricorsi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, appelli di intellettuali... Basta correre l'agenda del ministro Scajola perché 0 pensiero vada al suo collega Pisanu, che si immagina sereno e disceso nel suo piccolo ufficio per l'attuazione del programma. Fino all'ultimo, i due battagliarono per la conquista dell' agognata poltrona del Viminale. La spuntò, com'è noto, Scajola, che oggi si ritrova per l'appunto con quel po' po' di bUancio sulle spalle. Ora pare ingiusto chiedergli: ne valeva la pena? E' davvero un postaccio, quello. Sì, certo: il prestigio, i segreti, il potere. Ma Cossiga ci ha fatto i capelli bianchi, al Viminale; Gava, ben coriaceo pure lui, fu stroncato in 48 ore da un diabete. Scalfaro, che pure resistette meglio di tanti altri, durante un funerale a Palermo dei poliziotti inferociti gli saltarono quasi addosso; e Scotti, che era cascato e girava con le stampelle, a un altro funera- le lo fecero scappare da una porta secondaria per salvarlo dall'ira, e come correva, poveraccio, con tutte le stampelle. Insomma, il peggior mestiere. Ieri Scajola, che un mesetto fa il massimo problema che aveva era di aver sbagliato i conti con le liste-civetta, ha dato un'intervista a «Panorama»: «In generale posso dire di aver trovato qui ottime professionalità e non un apparato politicizzato. Il ministero dell'Interno è...». E qui occorre una pausa, atterriti dalla temeraria pretesa definitoria del neo-ministro. E' molto difficile, infatti, dire che cos'è il Viminale nell'immaginario politico italiano. Per Scajola è «una istituzione a garanzia dell'esercizio della libertà civile». Non sbagliato, ma un po' vago e soprattutto incompleto, Il ministero dell'Interno è infatti molto di più e, talvolta (documentabilmente), anche molto di peggio. Per restare con i piedi per terra, ci si potrà limitare a un aspetto che per primo Scajola può ritenere rilevante. Per cui: il Viminale è un formidabile rivelatore di statura politica, un infallibile «detector» attraverso cui è possibi, le capire se il personaggio seduto su quella scrivania (la scrivania di De Gasperi e prima ancora di Mussolini) è o non è all'altezza della situazione. All'altezza furono ritenuti, oltre a Cossiga e Scalfaro, Taviani, Segni, Rumor, Rognoni, Mancino e la Jervolino. Due foto, a loro modo penose. indicano al contralio l'inadeguatezza di alcuni recenti titolari. In una si vede Bobo Maroni, soddisfatto in posa con i piedoni sulla fatidica scrivania. Ecco: anche per aver dichiarato che aveva firmato un decreto che non aveva letto Maroni si giocò la credibilità. L'altra foto è Bianco che infila una banconota nel reggipetto di ima ballerina di danza del ventre. L'evento ebbe luogo in Turchia, più o meno nei giomi in cui a Montecitorio veniva stravolto il pacchetto-sicurezza. E insomma: un ministro dell'Interno che si voglia far rispettare non mette i piedi sul tavolo, né infila banconote fra i seni delle ballerine turche. Ma non è solo un fatto estetico. Per resistere al Viminale occorre equilibrio, rapidità, fermezza, flessibilità, umiltà, senso dello Stato. Tutto. E' meglio anche saper tenere la lingua a freno, anzi, parlare il meno possibile. Nel caso sia indispensabile, evitare il più possibile la prima persona. Il contrario di quel che ha fatto ieri Scajola: «mi sono speso, molto», «l'ho capito», «allora ho detto: ma come?», «sono rimasto turbato». A im certo punto, ha raccontato anche le siie telefonate con Berlusconi, e si chiesto se non fosse da rimpiangere l'antica intransigenza dei comunisti contro l'estremismo. Chissà come si sarebbe regolato Sceiba. E' lui il modello ineguagliabile, e neanche a dire che i suoi erano tempi facili. Secondo la contabilità di Pietro Secchia, dal gennaio 1948 al luglio 1950 (periodo che comprende le elezioni del 18 aprile, l'attentato a Togliatti, gh scontri sulla Nato e la strage di Modena) furono uccisi 63 lavoratori; 3.123 vennero feriti; 91.433 arrestati, di cui 19.313 condannati per complessivi 7.598 anni di carcere. «La de fa i disoccupati - disse Riccardo Lombardi - e Sceiba li fucila». Ebbene, del ministro che r«Unità» arrivò a definire «l'uomo più impopolare e odiato d'Italia» resta ancora impressa fra le mura del Viminale la mascheia di imperturbabile freddezza. «Onorevole Togliatti, si ricordi - disse alla Camera - poiché noi abbiamo il coltello dalla parte del manico, noi sapremo anche usarlo». Durante i fatti di Genova, gh altri, quelli del luglio 1960, ministro era Spataro. Racconta Andreotti che allora vennero i cavamarmi di Carrara con l'esplosivo (altro che tute nere): «Spataro non si era trovato in tanta ambascia neppure quando, braccato dai nazisti, dovette farsi ricoverare in ospedale sotto falso nome per sfuggire l'arresto». Per la polizia fu una grande sconfitta. Lo rimproverò il presidente del Consiglio Tambroni: «Non si mandano i carri armati a farseli prendere dai rivoltosi». Berlusconi, in fondo, è stato più comprensivo. II leghista si giocò rimmagine per una foto con i piedi sul tavolo Nel 1960 Spataro fu bacchettato dal presidente Tambroni S5SS ^j^^mmà»^^^^ A sinistra il Viminale Qui sopra Francesco Cossiga e Antonio Gava

Luoghi citati: Carrara, Genova, Italia, Modena, Palermo, Roma, Turchia