Il contadino globale: dalle Alpi al Perù, dall'Alto Volta alla Cina di Enrico Camanni

Il contadino globale: dalle Alpi al Perù, dall'Alto Volta alla Cina Il contadino globale: dalle Alpi al Perù, dall'Alto Volta alla Cina RECENSIONE Enrico Camanni QUESTO libro straordinario di Mariel JeanBrunhes Delamarre, etnologa francese figlia del geografo Jean Brunhes (tra i fondatori della «Géographie humaine»), è innanzitutto la documentazione comparata del patrimonio contadino del mondo, dalle Alpi al Perù all'Alto Volta alla Cina. È la risposta materiale alle domande della terra, ed è la dimostrazione di come le popolazioni rurali dei cinque continenti abbiano risolto - in modi sorprendentemente simili - il problema della sopravvivenza quotidiana attraverso l'evoluzione degli attrezzi da lavoro. Dietro ogni oggetto ci sono generazioni e generazioni di inventori e sperimentatori. Nei secoli, fedeli a quel codice non scritto che noi chiamiamo superficialmente «tradizione», hanno raggiunto il più alto grado di specializzazione della civiltà agro-pastorale, che vuol dire massima efficienza con il minor sforzo, ma anche creatività, gusto, colore, bellezza. Sfogliando questo catalogo di manufatti universali si potrebbe ipotizzare la globalizzazione dell'attrezzo contadino, se non fosse che un oggetto non e mai uguale all'altro, che ogni lavoratore è quasi sempre «creatore» e manipolatore della propria dotazione, che per ogni variabile di clima, stagione, accidente geologico o geografico esiste la risposta precisa, unica e irriproducibile. Il contrario della globalizzazione. Ma il libro di Mariel Delamarre, pur fuggendo da ogni tentazione nostalgica, è anche la radiografia di una civiltà scomparsa o m rapido dissolvimento. Sfogliando queste pagine riccamente illustrate e piacevolmente commentate non si può non pensare che esiste un prima e un dopo, che un intero mondo vissuto alla maniera contadina per circa diecimila anni sarà presto trasformato - anche nei suoi recessi più insospettabili - in una civiltà completamente diversa, senza possibilità di ritorno. «I prodotti materiali tradizionali conferma l'antropologo Francesco Fedele nell'introduzione perdono di significato con grande rapidità. Un intero mondo non solo reale ma strumentale sta scomparendo in Europa e altrove sotto i nostri occhi, nel- RECENEnCam IONE co nni l'arco da nonno a nipote, con caratteristica e drammatica irreversibilità». Fedele però non si ferma lì e si chiede se esista un futuro per la tradizione: «Prendere coscienza di un'eredità tradizionale spesso vuol già dire averla perduta. Eppure, con l'aiuto degli antropologi, e di etnologi come l'autrice, il fenomeno tradizione può essere ricollocato in prospettiva, proiettandolo sullo sfondo di due milioni di anni di storia umana totale». Rileggere in prospettiva è l'unico antidoto per combattere certe pericolose deviazioni come il tradizionalismo, «quel fascio di atteggiamenti che spaziano dalla nostalgia per un mondo che dilegua al ripudio acritico delle crisi innovative determinate dal mondo che cambia», o come il particolarismo delle culture locali, là dove «le qualità facili e semplicistiche del "campanile" sembrano offrire un confortevole rifugio nel quale straniarsi dai problemi collettivi e complessi della grande comunità in cui si è inseriti». Tradizionalismo e spirito di campanile hanno portato, da vicino, alle devianze nostalgiche e autoritarie di Jòrg Haider, che dietro l'attaccamento alla tradizione nasconde sentimenti assai meno nobili come il rifiuto del diverso e la difesa dei privilegi regionalisti e nazionalisti. La questione è molto più delicata e attuale di quanto possa sembrare. È un problema tipico dei momenti di passaggio, momenti in cui gli adoratori dell'antico e i feticisti del moderno, sradicati da una visione storica, rischiano di imboccare strade senza uscita. Come scrive ancora Fedele, quando il pendolo oscilla dall'amore del nuovo per il nuovo (basti pensare all'adorazione emotiva e irrazionale per i telefoni cellulari, simboli di un mondo cablato e omologato) alla difesa incondizionata del vecchio, «bisogna imparare a guardarsi dall'uno e dall'altro estremismo. Né la nostalgia oscura per un ciarpame atavico e Suggestivo, né il dispregio qualunquistico che ne autorizza l'eliminazione, né l'indifferenza, sono posizioni legittime». E infine: «Distinguere nella tradizione ciò che può essere fiduciosamente filtrato e consegnato al futuro, senza pretesa di trasfusione globale, nell'esplorazione stessa del futuro verso cui ci si muove, è fra i compiti principali e più delicati della prassi antropologica di questo secolo che comincia». Come le popolazioni rurali dei cinque continenti abbiano risolto in modo simile il problema della sopravvivenza attraverso l'evoluzione degli attrezzi da lavoro Scena agricola in un paese asiatico: il libro di Mariel Delamarre, pur fuggendo tentazioni nostalgiche, è anche la radiografia di una civiltà scomparsa o in rapido dissolvimento Mariel Jean-Brunhes Delamarre Vita agricola e pastorale nel mondo Friuli S Verrucca, pp. 272, L 75.000 ETNOLOGIA

Persone citate: Brunhes Delamarre Vita, Delamarre, Francesco Fedele, Haider, Jean Brunhes, Mariel Delamarre, Mariel Jean

Luoghi citati: Cina, Europa, Friuli, Perù, Scena