KATHARINE GRAHAM a signora sconfisse Nixon di Maurizio Molinari

KATHARINE GRAHAM a signora sconfisse Nixon E MORTA A 84 ANNI UNA DELLE DONNE PIÙ POTENTI D'AMERICA: DECISA, INTELLIGENTE, CORAGGIOSA, MITICA PROPRIETARIA DEL «WASHINGTON POST» KATHARINE GRAHAM a signora sconfisse Nixon Maurizio Molinari inviato a WASHINGTON KATHARINE Graham è morta ieri nell'Idaho, per le conseguenze di una banale caduta. Aveva 84 anni. Quella che sarebbe diventata la donna più potente d'America nacque in una famigha molto agiata ma altrettanto ricca di complessi. Il padre Eugene Meyer celava il proprio essere ebreo nel tentativo di rendere più agevole la vita alle due figlie, Katharine e Bis. La madre, Agnes, visse prigioniera di molti tabù cristiani, si rifiutava di parlare con le figlie di sesso come del danaro. «Eravamo bene educati e facoltosi ma vivevamo in un modo a sé» ammise Katharine nella Mia storia, la biografia del 1997 che le valse il Pulitzer. La campana di vetro costruita da Eugene e Agnes mostrava evidenti crepe: Katharine non aveva neanche 11 anni quando nella sua scuola «wasp» - bianca, anglosassone e protestante - misero in scena il Mercante di Venezia di Shakespeare ed alcuni compagni suggerirono lei per interpretare Shylock perché era «una mezza ebrea». Katharine aveva le unghie ma i genitori facevano i salti mortali per tenerla nella bambagia. Quando arrivò l'età da matrimonio il prescento fu imo «wasp» doc Philip Graham, al quale papà Eugene affidò le sorti del foglio Washington Post che aveva rilevato, salvandolo dalla bancarotta. Il marito seguì le orme del suocero: Katharine continuava a vivere nella campana di vetro, non sapeva nulla del lavoro del marito, del giornale, dei bilanci. «Non sapevo cosa fosse una redazione né cosa fossero i liquidi» ammetterà. Poi nell'estate del 1963, improvvisamente, la campana di vetro si ruppe, drammaticamente. Philip dopo aver a lungo combattuto contro la depressione, si uccise. Katharine e la ventenne figlia Lolly non erano mai state così sole. Ma la loro non era una famigha qualunque. Martedì 6 agosto, durante le esequie nella National Cathedral di Washington è il presidente John Fitzgerald Kennedy che si siede vicino alla vedova. Jackie Kennedy le scriverà una lettera di otto pagine: «La più intensa che abbia mai ricevuto». «Difficile descrivere quanto fossi ignorante quando mi trovai ad assumere la proprietà del Washington Post» ammise nell'autobiografia. I capiredattori non si fidavano di mia donna peraltro inesperta, i redattori scioperavano augurandole di fare la fine del marito, i lettori fuggivano. Per Katharine fu un momento terribile, ma si mise a studiare, volle apprendere e diede fiducia a chi avorava sodo. Essere di casa dentro i salotti di Washington l'aiutava a farsi strada. Dopo Kennedy anche Lyndon B. Johnson - vecchio amico del marito - la coccolò. Un giorno d'estate del 1964 gli aerei di Johnson e Khatarine erano fianco a fianco sulla pista per decollare alla volta di Atlantic City, dove si teneva la Convention democratica. Ma il 707 presidenziale tardava e Katharine fremeva, protestava. Liyndon Johnson la invitò a bordo, accompagndola in Texas. La seconda metà degli anni Sessanta fu tutta in salita ma Katharine riuscì a governare gli scioperi, a far quadrare i bilanci ed a sopravvivere a Washington «la città che distrugge chi ci vive». Mancavano gh scoop. Il digiuno finì il 17 giugno del 1971. Katharine stava dando in. casa propria un party in onore di un proprio dipendente, quando il direttore del giornale la chiamò per dirle che aveva messo le mani - assieme al New York Times - sulle «Pentagon Papers», le carte sulla guerra segreta degli americani in Vietnam. Il giornale era appena uscito dal tunnel della crisi ma era ancora economicamente debole, politicamente vulnerabile. Katharine Graham dovette decidere se sfidare a viso aperto l'Amministrazione Nixon. L'esitazione fu breve, scelse di farlo. E conquistò i suoi giornalisti. Fu la prova generale del «Watergate»: un anno dopo, estate 1972, i due reporter Bob Woodward e Cari Bemstein iniziarono a raccontare lo scandalo degli ascolti illeciti nel quartier generale democratico che avrebbe portato alle dimissioni di Nixon. Fu la stagione più elettrizzante, lo scontro con il potere divenne frontale. Gh uomini di Nixon - come il senatore Bob Dole - l'accusarono di «odiare il presidente». Divenne oggetto di una campagna di attacchi violenti e di insinuazioni taghenti. Lei non fece mai un passo indietro, anzi tenne saldo il timone del Post sulla rotta del Watergate. Ma una curiosità ce l'aveva. Nel mezzo della battaglia invitò a pranzo Woodward e gli chiese, a bruciapelo, chi era la «Gola Profonda». Woodward raggelò e le disse: «Se insiste a saperlo, glielo svelerò davvero». Lei non andò oltre ma nelle memorie scrisse che quel pranzo la «rassicurò» sul¬ l'affidabilità di Woodward e della «Gola Profonda». Le dimissioni di Nixon la resero per tutti «la donna più importante d'America». Sfidare poi Hollywood fu cosa facile. Per realizzare il film Tutti gli uomini del Presidente sullo scandalo Watergate Robert Redford voleva girare le scene più importanti dentro la redazione del Post. «Per diverse ragioni quest'idea del film al giornale mi inquieta» scrisse Katharine all'attore, ricordandogli che un giornale é pur sempre un posto dove si lavora e la cartapesta non c'è. Redford andò su tutte le furie ma contro la donna più potente d'America poco poteva: ripiegò su un'edificio in cartapesta a Hollywood, costo 450 mila doDari, identico all'originale, costruito grazie alle foto che queste sì - la proprietaria aveva autorizzato a scattare. Divenuta un'istituzione per Katharine Graham tutto fu semplice: i leader di Capitol Hill la inseguivano, i presidenti l'ascoltavano. Uno dei suoi amici più cari fu il senatore Prescott Bush, nonno dell'attuale presidente. Il Washington Post era oramai il pilastro di un gruppo editoriale che - grazie al patto con Newsweek ed ad altre testate da lei negoziato - poteva rivaleggiare con i giganti di New York e di Los Angeles. Con gli anni Novanta il timone del Post passò al figlio Donald e lei, finalmente, trovò il tempo per vuotare il sacco su se stessa e scrivere le memorie che le valsero il Pulitzer. E che restano a tutt'oggi la testimonianza di un successo che ha mutato il rapporto di forza fra mass media e potere politico a Washington. Ereditò un giornale in crisi, lottò contro la diffidenza e gli scioperi in redazione Ma cambiò per sempre i rapporti tra stampa e mondo della politica Katharine Graham; a sinistra, insieme con Cari Bernstein e John Woodward, i due reporter che fecero lo scoop del Watergate