Quando il gioco si fa duro vanno in rete gli hooligan

Quando il gioco si fa duro vanno in rete gli hooligan Quando il gioco si fa duro vanno in rete gli hooligan Recensione Giuseppe^ Culicchia TU demolisci i vecchi stadi cadenti, che tanto i presidenti dei club ti ripagano con sedili nuovi di pacca, bar con hamburger e birra alla spina dello sponsor. Il crimine paga, altro che». Parola di Bob «Harry» Roberts, figlio di razza bulldog ossia di razza isolana, e tra i protagonisti di Fuori casa, nuovo romanzo di John King, terze episodio della trilogia hooligan iniziata con Fedeli alla tribù e proseguita con Cacciatori di teste. Da noi il libro - nel quale si narrano le gesta a loro mode epiche di un gruppo di tifosi del Chelsea al seguito della Nazionale britannica RecenGiuCulin trasferta a Berlino, )er un'amichevole con a Germania - è uscito a campionato ormai concluso, peccate. Ma forse è meglio così. Se certi ultras nostrani al momento in vacanza venissero a conoscenza di che cosa si pensa di loro tra i ragazzi rasati e tatuati che affollano le curve delle mitiche arene di Albione, al primo match Italia-Inghilterra sarebbero guai ancora più grossi di quelli che normalmente sono. Perché gente come Harry Roberts e Tom Johnson, altro membro del cemmando dei «Blues» in rotta di collisione con i colleghi hooligan tedeschi e con chiunque si pari loro davanti durante il viaggio via mare fino in Olanda e via treno fino alla destinazione finale, sono proletari bianchi made in Britain al 1 OO^o alla pari dei loro fratelli/rivali del West Ham, dell'Arsenal e del Derby County. E non si fermane davanti a niente e nessuno: «E' per queste che abbiamo vinte la guerra. Muse duro. Farsi pestare come una bistecca da un branco di mangiapaella e ripartire a testa bassa prima che son sanate le ferite». E' ovvie che per chiunque non frequenti gli spalti della Premier League il sabato pomeriggio e sia abituato a vedere il calcio sulla sione ppe^ hia pay-TV, i «maschi» di Fuori casa appaiano marziani, e meglio teppisti da stadie e da strada «tuonati» con cui non avere (auspicabilmente) nulla a che fare. Eppure il pregio maggiore dei romanzi di King (insieme all'uso sapiente del linguaggio «tribale») sta proprie nella loro capacità di offrire al lettore immune da qualsiasi virus uligane uno spaccato credibile del fenomeno in questione. Gente con lavori noiosi e pece e nulla da perdere, abituata a dare sfogo alle frustrazioni accumulate durante la settimana («i seliti pub, i soliti locali, le selite facce») attraverso la scarica di adrenalina dello scontro con i tifosi avversari e la sbirraglia, e consapevole che «chiunque ha avuto a che fare con la legge inglese le sa che è roba dominata dai ricchi a favore dei ricclii... E' la classe sociale che ti decide il destino. Fai le stesso reato e il tuo accento ti dirà se ti becchi dieci anni e tante scuse». I reietti di King sanno di essere la feccia della società, e non gliene importa nulla. Anzi, ne sono orgogliosi. E, ultraconservatori, non si limitano a cantare a squarciagola «God Save the Queen» e «Britannia Rule», ma si arrabbiano di brutto di fronte alla prospettiva di entrare in Europa («una congiura dei grossi capitalisti per centralizzare il potere e creare un super-state con una super-economia»), davanti a un reato come la pedofilia o alle banalizza- zioni della stampa («Quello che fanno i giornali è un gran sacco di merda. Gli piace ai media mestare nel torbido»). Le parti migliori del libro finiscono per essere inevitabilmente quelle deve King si lancia sulle montagne russe degli scontri. Le pagine che raccontano in presa diretta le battaglie con gli hooligans olandesi e tedeschi hanno davvero un che di epico, e leggendole si avverte l'eccitazione della letta: tra vetrine che si infrangono e cariche della polizia, si respira il fumo dei lacrimogeni. I capitoli in cui invece King abbozza il parallelo tra la spedizione dei suoi bulldog e lo sbarco in Nonnandia (mettendo in scena i ricordi di un reduce alle prese con i fantasmi dell'ultima guerra) non convincono fino in fondo. Resta il dubbio che, senza Irvine Welsh e il suo Trainspotting, tanta letteratura inglese contemporanea non esisterebbe; ferme restando che Welsh è il fenomeno della squadra, mentre gli altri buttano avanti la palla e corrono. Come da tradizione British, almeno prima dell'avvento di Ericsson sulla panchina dei Bianchi. Gli hooligans di "Fuori casa" I ' John King Fuori casa gtrad. di Massimo Bocciola, Guanda, pp. 301, L 29.000 ROMANZO

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