Piazza Fontana, tre ergastoli dopo 32 anni di Susanna Marzolla
Piazza Fontana, tre ergastoli dopo 32 anni Piazza Fontana, tre ergastoli dopo 32 anni Milano: accolte le richieste dell'accusa, applauso in aula Susanna Marzolla MILANO Tre ergastoh per la strage di piazza Fontana. Dopo 31 anni e mezzo una nuova sentenza riafferma la responsabilità dei neofascisti. Sono stati infatti condannati: Delfo Zorzi, militante di Ordine Nuovo nel Veneto (e adesso ricco imprenditore in Giappone); Carlo Maria Maggi, ispettore di Ordine Nuovo per il Triveneto; Giancarlo Rognoni, delgruppo «La Fenice». Prescrizione per Carlo Digilio, esperto d'armi e collaboratore della Cia: ha collaborato e la corte gli ha riconosciuto le attenuanti generiche. La corte d'assise di Milano ha accolto in pieno le richieste del pubblico ministero. Massimo Meroni. Anzi, con un imputato minore - Stefano Tringali, accusato di favoreggiamento per aver aiutato Zorzi - è andata più in là condannandolo a tre anni anziché due. E' soddisfatto il rappresentante dell'accusa «anche se - dice - siamo solo al primo grado. E' presto per dire se siamo arrivati a un risultato definitivo e c'è ancora molto da scoprire». Di ben altro tenore le dichiarazioni di Gaetano Pecorella, parlamentare di Forza Italia, ieri in aula come difensore di Zorzi. «E' sconcertante - dice - che l'unico imputato su cui c'erano elementi d'accusa certi per la preparazione della bomba, Carlo Digilio, se la sia cavata, accusando degli innocenti. Ma i processi politici sono segnati fin dall'inizio e Milano si aspettava questa sentenza; lo dimostra l'applauso». Un battito di mani breve, composto. Quasi un gesto liberatorio dopo che il presidente della seconda corte d'assise. Luigi Martino, ha pronunciato quelle parole: «Condanna alla pena dell'eigasto- lo... ». E' venuto dal pubblico, una cinquantina di persone (molti i giovani) in piedi sulle gradinate dell'aula bunker, di fronte al carcere di San Vittore. Giù, davanti alla corte, c'erano i legali e i parenti delle vittime. L'avvocato di parte civile, Federico Sinicato, appare il più soddisfatto di tutti: «Perché - spiega - è una sentenza importante. Ed era anche l'ultima occasione possibile, dopo tanti, di fare chiarezza, di ottenere giustizia. Se avessimo perso anche questa occasione non ce ne sarebbero state altre». «Giustizia, sì è stata fatta giustizia - gli fa eco Anna Maria Malocchi -, all'inizio ero disillusa temevo andasse come le altre volte. Ma grazie a Dio è andata come doveva». La signora Anna Maria è una dorma non più giovane che piange quando ascolta la senten¬ za. Quel 12 dicembre 1969 nel salone della Banca dell'Agricoltura, pieno di gente per il mercato del venerdì pomeriggio, c'era anche suo marito, Vittorio Mocchi: «Aveva trent'anni», ricorda. Trent'anni di vita e altrettanti per arrivare a questa sentenza che condanna - per una strage che ha causato 16 morti e oltre ottanta feriti, alcuni mutilati per sempre - i militanti neofascisti di Ordine Nuovo del Veneto. Cioè lo stesso gruppo politico ben individuato dai magistrati Gerardo D'Ambrosio ed Emiho Alessandrini. Quando le indagini abbandonano la pista anarchica, imboccata con una fretta sospetta all'indomani della strage (una pista che costerà anni di galera a Pietro Valpreda e la morte di Giuseppe Pinelli). Erano Franco Preda e Giovanni Ventura i due neofascisti accusati per la bomba. Sarebbero entrati anche in questo processo ma l'ultima sentenza della Cassazione, con assoluzione definitiva, li ha resi non più imputabili. Rognoni, Maggi e Zorzi, pur coinvolti in tante inchieste sull'eversione nera, erano rimasti fuori dall'inchiesta sulla strage. Fino a quando il giudice Guido Salvini, indagando su vari episodi di terrorismo fascista, si è imbattuto in Carlo Digilio, soprannominato «zio Otto» che ha cominciato a collaborare. E ha aperto uno squarcio sull'organizzazione dell'attentato indicando in Zorzi quello che aveva portato l'esplosivo, in Maggi l'ideatore della strage e in Rognoni il necessario supporto logistico a Milano. Digilio, colpito da ictus, ha testimoniato in teleconferenza, su una sedia a rotelle. Gli avvocati della difesa hanno fatto di tutto per screditarlo, per negare validità alla ricostruzione dell'accusa. Non ci sono riusciti. Il dispositivo letto in cinque minuti I parenti delle vittime «Finalmente»
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