Così Quinzio sfida il Dio di misericordia di Giorgio Calcagno

Così Quinzio sfida il Dio di misericordia Così Quinzio sfida il Dio di misericordia LA storia di Quinzio poeta, quasi un nonisenso, si inscrive nella cornice di un bel racconto che solo adesso ci viene svelato con cura partecipe da Giorgio Calcagno. Quinzio si trova a Roma come giovane sottufficiale della Guardia di Finanza, e si chiama ancora Quinzio. Ha lasciato Alassio, dove è nato e cresciuto, in seguito a dolorosi accadimenti familiari (il padre, capo dei vigib urbani nella cittadina bgure, dopo la Liberazione ha patito ingiustamente violenza e carcere dai partigiani). Ha abbandonato gb studi universitari e si è scelto un mestiere per provvedere alle necessità della famigba. Ma possiede un sobdo retroterra culturale, che sta orientando risolutamente verso lo studio delle cose divine. E' una fascinazione, subito tormentosa, di cui fa parte, nelle ore di riposo e di vegba. all'amico Salvatore Gallo. E quando sono costretti a separarsi, gli affida un fascio di fogli dattiloscritti che contengono 84 poesie. Da seppellire, si direbbe, nel cerchio effusivo e discreto dell'amicizia. E sarà proprio Salvatore Gallo (dopo una brillante carriera nella Guardia di Finanza insegnerà diritto tributario all'Università di Parma) che dopo la morte di Sergio consegna alla vedova le poesie ora pubbbeate con il titolo «La croce e il mare». REC Sono state scritte fra i 16 e i 20 anni, e sono illuminate dalla presenza e dalla rimembranza di Alassio. Non rappresentano soltanto il primo capitolo di una appassionata e coerente vicenda ulteriore. Nonostante le inevitabili ingenuità (soprattutto qualche incongruo cascame lessicale) rivelano una attenta lettura dei classici e dei moderni, una avvertita ricerca di stile nel gioco delle allitterazioni e delle assonanze, nella vibrazione degli accenti tonici, negli arditi enjambements: «Svelte memorie in venire e vanire»; «Lontano è ormai il mare il mare amico e - NSIONE orenzo Mondo quasi più non ne odo il melode sciacquio». Come ben vede Calcagno, l'ispirazione di fondo è leopardiana, fin dal prestito delle parole chiave, quab luna, vento, stelle, sera. Ma c'è anche il dialogo affettuoso con la natura che trova nel mare il più significativo, emblematico referente. Il mare, che si protende nel pelago del cielo, offre agb occhi persi del ragazzo l'idea più persuasiva, e ancora confidente. dell'infinito. Nel quale trova innesto, anche attraverso un singolare impiego del latino liturgico, la radice cristiana: «Alte le rondini dal cuore d'aria - culla degli occhi cielo - culla cordis Jesus. Venite venti spei aedes - vestis jucunda. - So i mari fra voi stelle». Ma qui è già intervenuto, nelle pause, nelle ellissi, nella parola scavata, il suggerimento di Ungaretti, che diventa tanto più forte quando l'Eden dell'infanzia appare graffiato dalla sofferenza: «Il pianto - si fa nel cuore come luna in cielo». E una delle ultime poesie sembra registrare il faticoso approdo di una preghiera che non può eludere il grido disperato del Golgota: «Fluent ad amorem nubilae - orant cupressi orant - silvae. Fiant asperi - vento coeb. Adesto amor - Eli Eli - mare soave anima». Qui si arresta, si inabissa, il poeta, e Sergio Guinzio assumerà il nome di Quinzio, ricollegandosi idealmente all'incerta figura di un papa Sergio vissuto intomo al Mille, quarto del suo nome, di propensioni millenariste. La sua strada è ormai tracciata. Non coltiverà più l'arte, almeno ex professo. In «Mysterium iniquitatis», che pure nasce da un abbozzo di racconto, ribadisce il suo convincimento: «Per me il raccontare ha poco interesse, perché non posso non fare un confronto con la realtà di cui il raccontare, o il rappresentare sono, in definitiva, copie sbiadite e ambigue». Sfiducia platonica nell'arte come imitazione? Avversione d'impronta ebraica ad avvilire il sacro in figure? Così sente questo spirito religioso che (segnato anche dalla morte drammatica della prima moglie) attende il riscatto, tutto intero, del dolore dell'uomo. Al Dio di misericordia chiede conto, in un dialogo assillante, delle promesse mancate, del suo volto troppo a lungo celato, ed «esige» come risarcimento la resurrezione della carne. InutDe dire che nell'accanimento sulla parola dei profeti, nella lucida e rovente controversia attraversata da lampi di tenerezza, nel linguaggio immediato e diretto che si nega ogni orpello, Quinzio doveva riuscire, malgré lui, vigoroso scrittore, a ritrovarsi poeta. «LA CROCE E IL MARE», LE POESIE «RITROVATE» DI UNO SPIRITO PROFETICO: UN'ISPIRAZIONE DI FONDO LEOPARDIANA SU CUI SI INNESTA LA RADICE CRISTIANA RECENSIONE Lorenzo Mondo Sergio Quinzio La croce e il mare Aragno.pp. 141. e 12 POESIE

Luoghi citati: Alassio, Fondo, Roma