Il Lingotto: sacrifici necessari per lo sviluppo

Il Lingotto: sacrifici necessari per lo sviluppo GU OB1ETTIVP DEL GRUPPO TORINESE Il Lingotto: sacrifici necessari per lo sviluppo L'advisor del governo Bergeri scelte giuste per uscire dall'emergenza analisi wà Podestà r"';-^ DOPO tanto parlare governo, azienda e sindacati lunedì si sono finalmente incontrati e, sebbene sia ancora presto per capire se si sono davvero piaciuti, è indubbio che hanno avviato un confronto concreto per verificare l'attendibilità reciproca e cercare di costruire una sintesi quanto più possibile accettabile per tutti. L'obiettivo resta complicato e ancora tutto da costruire: solo ieri, infatti, è stato aperto al ministero deh'Attività Produttive il tavolo tecnico. Eppure il fatto che una vicenda come quella della crisi dell'auto Fiat abbia imboccato i binari della trattativa formale sembra un miracolo. Benché palesata dall'azienda il 9 ottobre scorso con la presentazione della integrazione al piano industriale costruito a primavera deU'amministratore delegato di Fiat Auto Giancarlo Boschetti, per ovviare agli ulteriori guasti indotti sul settore dalla nuova caduta del mercato - fino a domenica 24 novembre la crisi del maggior gruppo industriale italiane era rimasta solo come terreno di scontro. La fine della stagione dei confronti a distanza in realtà non ha nulla di miracoloso. E' più sempheemente il firutto della congiunzione favorevole di due variabili positive. Prima di tutto il realismo con cui l'azienda ha costruito il suo piano industriale per, rimettere in corsa Fiat Auto, coniugando i sacrifici con l'impegno nello sviluppo, i tagli occupazionah con gli investimenti per rinnovare modelli e retp di vendita. Uno sforzo di coerenza riconosciuto da Roland Bei^er. Il piano predi- sposto dalla Fiat «appare impegnativo e ben strutturato - ha sostenuto l'advisor del ministro Antonio Marzano - poiché tocca tutte le leve (prodotti, costi, rete commerciale, organizzazione, produttività etc) utili a far uscire l'azienda dall'emergenza economico finanziaria di questa fase»: a fine piano, ovvero al 2005, per Roland Berger «la posizione competitiva di Fiat Auto sarà come minimo ih linea con la me^Ja dei concorrenti diretti». Musica per le orecchie del vertice della Fiat impegnato, con Alessandro Barberis - ed è la seconda variabile positiva della delicata partita in corso a Roma - a convincere governo e sindacati che l'azienda persegue nell'auto una profonda correzione di rotta per costruirne un rilancio reale e stabile: non un sem- plico lifting in attesa di scaricare il problema a Gm. Ciò che è avvenuto lunedì nell'incontro a Palazzo Chigi, con l'apertura di una sorta di tavolo di concertazione - troppo affollalo (con le sue venticinque sigle sindacali, il rosario di ministri e vice ministri, la folta delegazione aziendale) per essere deliberativo, ma indispensabile per fischiare l'avvio cu partita - è stato una cosa importante. Resa possibile dalla sottile trama tessuta dal direttore generale della Fiat che, senza rinunciare alla fermezza di fondo per difendere le compatibilità economico finanziarie del piano industriale, ha rivelato insospettabili doti di flessibilità e un'indispensabile capacità di ascolto nella lunga serie di incontri preparatori per mettere insieme le esigenze dell'azienda con le richieste del sindacato e le attese dei politici e per far uscire la Fiat dall'isolamento in cui si era impantanata in Confindustria: con il rìschio che la crisi più pesante della sua storia dal dopoguerra venisse vissuta con indifferenza dal suo stesso sistema di appartenenza. Barberis e i vertici aziendali sapevano, che per conservare il supporto delle banche al progettato riassetto, l'azienda doveva tener fede al percorso individuato per realizzare il piano che si nutriva di una serie di diritti e di doveri: tra questi ultimi il più importante era l'avvio del confronto con il sindacato. Che, com'era nella cose, aveva ritrovato la sua unità su una posizione di contestazione radicale: in primis dei tempi di attuazione della cura firmata da Boschetti, che prevedevano l'invio delle lettere per la messa in cassa integrazione, a partire da domani per la sospensione dal lavoro degli 8.100 lavoratori considerati da lunedì prossimo, due dicembre. I sindacati chiedevano un rinvio delle procedure di attivazione della cassa a zero ore per aver più tempo per negoziare. Il governo, preoccupato della tenuta della coalizione stessa in Sicilia per le sorti dello stabilimento di Termini Imerese, con il vice premier Gianfranco Fini sollecitava la Fiat a valutare con attenzione l'impatto sociale delle sue scelte. Lunedì, nell'incontro di Palazzo Chigi, l'azienda ufficializzava la promessa di riapertura, a un anno dalla chiusura dell'impianto di Termini Imerese - con il riassorb' nento progressivo dei suoi addetti (le prime maestranze, potrebbero tornarvi già dopo l'estate, a detta del responsabile delle risorse umane del gruppo Pierluigi Fattori) - che era stata anticipata da Barberis al governò in una riunione riservata svoltasi sabato scorso e che aveva cominciato a filtrare all'esterno già domenica mattina. Nell'incontro ristretto che aveva fatto seguito all'affollatissimo meeting a Palazzo Chigi, l'azienda era riuscita a conquistare l'impegno del governo a chiudere il tavolo tecnico entro giovedì 5 dicembre. Il punto è essenziale, comunque vada la trattativa col sindacato. Che si trovi l'accordo o che invece al ministero si debba verbalizzare un dissenso, giovedì prossimo la Fiat potrà cominciare a mettere in atto il suo piano. La riduzione dei costi, proprio come gh alti investimenti programmati dal gruppo per lo sviluppo (2,5 miliardi l'anno sino al 2005), non è essenziale solo per riportare l'auto ad una redditività accettabile, ma anche ai fini della partita che il vertice della Fiat, secondo indiscrezioni, avrebbe ingaggiato con General Motors, dopo il rifiuto del partner amerìcaho di partecipare alla ricapitali ^zazione di Fiat Auto, in cui la holding guidata da Paolo Fresco e Gabriele Galateri invece non ha esitato ad investire 2,5 miliardi di euro, a riprova della vogha di scommettere ancora sull'auto.Gm sa bene che, se Fiat fosse' costretta ad esercitare il put nel gennaio del 2004, le sarebbe sufficiente avviare le procedure relative costituendo una commissione paritetica Fiat/Gm sette mesi prima dell'esercizio della put option e dunque a fine aprile del 2003. Ma, a detta delle banche, la Fiat non vorrebbe compiere necessariamente in questi tempi quel passo. I banchieri sostengono che gli Agnelli, pur convinti che un'integrazione sempre più forte con Gm sia la salvezza dell'auto nell'era della globalizzazione che impone grandissimi volumi, i vertici aziendali continuano a credere che Fiat abbia ancora un ruolo .importante in quel settore e cercano di convincere gh americani che vale la pena di scommettere insieme: aumentando le collaborazioni in Europa, procedendo a nuove ricapitalizzazioni congiunte ed eventualmente, in caso di ripresa di ima collaborazione più convinta con gh americani, rinviando a dopo il 2006 ogni procedura per l'esercizio del put. Questa americana è una partita di estrema delicatezza che tuttavia potrebbe pesare sulla trattativa: governo e sindacati sanno che rinunciare ad un settore con così ampie ricadute in una fase di semi-recessione sarebbe una vera iattura per l'Italia, in una fase dì alta disoccupazione. Assecondare la partita americana presuppone, però, che governo e sindacati credano in un'azienda che Fini non ha esitato a definire «poco simpatica». «Faremo in modo che diventi simpatica», ha replicato Barberis. II super-consulente rileva «lo sforzo di coerenza» di un programma «impegnativo e ben strutturato» Il taglio dei costi decisivo anche nei rapporti con Gm per una collaborazione più stretta col socio americano Alessandro Barberis Roland Berger

Luoghi citati: Europa, Italia, Roma, Sicilia, Termini Imerese