IL BACIO della pantofola di Filippo Ceccarelli

IL BACIO della pantofola il PAPA OGGI ALLE CAMERE: SECOLO DI OCCHIUTE E RECIPROCHE TUTELE, ECCO LE IMMAGINI CELEBRI \ - IL BACIO della pantofola retroscena Filippo Ceccarelli DI tutti li più mejo palazzoni, Monte-citorio è un pezzo signorile...». Nel 1832, quando Giuseppe Gioachino Belli dedicò questo sonetto al luogo dove oggi entrerà il Papa, Montecitorio era il vero cuore del potere temporale. In verità lo era già da qualche secolo. Non si vorrebbe qui andare troppo indietro, alla metà del Seicento, ma dopo tutto fu pur sempre un Papa, Innocenzo X, a mettere per primo gli occhi su quell'area per costruirvi un fastoso palazzo; e un altro Papa, Innocenzo XII, completò l'opera di Bernini riempiendo il palazzo di dicasteri governativi, tribunali, dogane, archivi, tesorerie, uffici di polizia e perfino carceri (l'attuale posto di guardia, non lontano dalla sala stampa) dove vennero «ospitati» i garibaldini sconfitti e fatti prigionieri dai papalini a Mentana. CARDINAL! E CURIALI. Prima di chiamarsi in quel modo Montecitorio fu a lungo, la Cima Innoceniiana, con i suoi burocrati curiali dallo zuccotto rosso, i suoi avvocati e awocatucci {«scortìchinh e «mozzorecchi», secondo Belli), le sue estrazioni del Lotto al balcone sulla piazza. A pensarci bene non è cosa che non lasci il segno. Più o meno là dove oggi vive il presidente Casini visse il Cardinal Camerlengo; l'orologione sulla torretta è opera di un gesuita; l'obelisco sulla piazza fu rimesso in piedi da Pio VI (e il basamento originale è in Vaticano). Al governo dei Papi si debbono anche i primi, terribili sventramenti interni, allora come oggi commissionati per aprire varchi, fare luogo, continuare a riempire un palazzo che stamattina sarà affollato all'inverosimile. Tutto questo per dire che l'entrata o il ritorno de Papa a Montecitorio in ogni caso si configura come l'implicita, sfolgorante manifestazione di ima sovranità più antica e più grande. Per avere un'idea della distanza che corre tra il potere dei parlamentari e la potenza del pontefice bastano in fondo gli stessi appellativi che designano le rispettive sfere di autorità: da una parte «onorevoli» 6 presidenti, dall'altra «Santità». L'ingresso del sacro, di un 'leader chiamato «il Santo Padre», ha comportato alla Camera un sovrappiù di drammaturgia. L'attesa è. apparsa spasmodica; vistoso il cambio di scenografia fuori e dentro l'aula; eccezionali le misure di sicurezza estese a tutta la città politica, isolata, proibita, blindata, munita di cecchini sui tetti. Per non dire la vertigine protocollare, i dispositivi scenici, le coreografie e gli inni pianificati per le esigenze dello show televisivo. E NENNI BESTEMMIO'. Ma attenzione. Rispetto a tanta solenne magnificenza toma alla memoria il vecchio Nenni che accolto per la prima volta in Vaticano come vicepresidente del Consigho inciampò in un tappeto e - lo racconta Giorgio Galli - si fece scappare una imprecazione blasfema. Così andò a farsi benedire il cerimoniale. Nenni, certo, era un terribile mangiapreti, per giunta romagnolo, ma anche una brava persona. Oggi nessuno mai bestemmierebbe, essendo la bestemmia un autentico tabù mediatico, e tuttavia la classe politica non sembra particolarmente ispirata a Gesù Cristo. Cambiano le cose, insomma, ma con i papi, con quel loro potere così | prossimo e al tempo stesso così Alcide De Gasperl distante oltre che superiore, i pohtici tendono ad andare in cortocircuito. Hanno sempre qualcosa da farsi perdonare, anche se non si fanno più guidare come docih pecorelle. Un tempo sì, pure troppo. Pio XII fu un vero sovrano: nel momento più duro della guerra colmò il vuoto di potere andando in mezzo alle case bombardate, aprì le braccia, ebbe la sacra veste sporca di sangue, scomunicò i comunisti (fra i quali una deputata l'accusò proprio a Montecitorio di avere «le mani sporche di sangue») per poi lanciare la crociata: «0 con Cristo o contro Cristo». Ma non fu tutto così facile. Dopo il fallimento dell'operazione Sturzo (1952), Alcide De Gasperi, che era stato contrario a una santa alleanza con la destra per salvare Roma dai comunisti, arrivò a piangere per i tribolatissimi rapporti con il Papa: «Se mi verrà imposto - confidava - spezzerò la mia vita e la mia opera, ma non potrò non chinare il capo». Invano La Pira cercò un accordo: «Lasci stare, professore rispose Eugenio Pacelli - certi rifiuti e certe ostinazioni non ci dovevano essere». E quando il più illustre statista italiano, oggi perfino in odore di santità, chiese di essere ricevuto per il trentennale del suo matrimonio gh fu risposto di no. «Come cristiano accetto l'umiliazione - fu allora il commento di De Gasperi - ma come presidente del Consigho la dignità che rappresento e della quale non mi posso spoghare mi impongono di esprimere lo stupore per un rifiuto così eccezionale». GRONCHI IN GINOCCHIO. Sembrano cose fuori del tempo. Eppure la sottomissione dei governanti, e non solo democristiani, ebbe la più plastica raffigurazione nel 1955, durante una udienza pubblica con l'allora presidente della Repubblica Gronchi. Secondo gh antichi canoni della Sacra Congregazione del Cerimoniale ( 1588,) bastava leggermente inchinarsi per tre volte nell'atto di approssimarsi al Papa; ma Gronchi e il suo seguito (compreso il ministro liberale degh Esteri Gaetano Martino) si inginocchiarono e rimasero in quella posizione - scrisse Vittorio Gorresio sotto il titolo «Prostrati al bacio della sacra pantofola -, fin tanto che non furono soddisfatte tutte le esigenze del fotografo pontificio, commendator Felici. Obbedienza, insomma, ossequio e subordinazione; a prescindere dalle singole personalità. Più che monarca, Giovanni XXIII fu un pastore; mentre monsignor Montini, il futuro Paolo VI, era da questi benevolmente ribattezzato «il cardinal Amleto» per i suoi dubbi intellettuali. Eppu- re, quando fu il momento, Né l'uno né l'altro esitarono a imprimere il loro sigillo sulla vita politica italiana. LETTERE SEGRETE. Il Vaticano non ha mai fatto molto per negare interventi decisivi, vere e proprie svolte politiche decise al vertice del soglio apostohco. Nel 1964, ad esempio, fu posto una specie di veto alla corsa di Fanfani verso il Quirinale; così come cinque anni dopo un governo Rumor verme fatto dimettere, di punto in bianco, per scongiurare la legge sul divorzio. Rivelazione di Moro ah'ambasciatore italiano presso la Santa Sede Gianfranco Pompei, che l'ha riportata nei suoi interessantissimi diari pubblicati nel 1996 per il Mulino. Ma le cose non sono mai troppo semplici con i papi, perché poi per altri versi erano i democristiani a proteggerli con gh strumenti del loro potere più che terreno. Nelle memorie di Paolo Emilio Taviani, per dire, si trova il curioso racconto di come nel 1956 il Sifar, su impulso della Gei, rintracciò e acquistò in Senegal un plico di lettere uscite dall'Italia dentro un pianoforte, che - adeguatamente falsificate come poi fu provato - avrebbero messo in cattiva luce certi affetti del giovane sacerdote Pacelh. Qualcosa del genere si verificò con le foto di Papa Wojtyla che faceva il bagno in piscina. Fu Lido Celli, in quel caso, che per ingraziarsi il nuovo pontefice tolse di mezzo quelle immagini consegnandole poi a un potente perché le restituisse con i dovuti insegnamenti in Vaticano. E' difficile stabilire fino a quando durò questa occhiuta e reciproca tutela. Certo ogni tanto i de si disperavano per i condizionamenti. «Non so come possano, dicendo tante bugie, dire messa ogni giorno» si sfogò una volta Moro. Ma nel frattempo altri suoi colleglli come Rumor smaniavano per le onorifi¬ cenze vaticane. Leone fece chiedere l'Ordine di Cristo. «No - scuoteva la testa monsignor Benelli - equivarrebbe a una santificazione in vita». ANDREOTTI E LE FOTO. Se lo poteva permettere. Da Oltretevere, del resto, erano partite le più luminose carriere per Montecitorio. Il caso di Andreotti è esemplare: «Sempre utile al Vaticano - diceva Malagodi - e spesso utile anche ah'Italia». Il giovane Giulio era di casa, sembra al punto da aver scritto la sua tesi di laurea nell'anticamera di Pio XII. Non solo, ma riformato alla visita di leva, divenne lo stesso Guardia Palatina e, giovane sottosegretario allo spettacolo, ebbe poi l'arduo compito di fronteggiare, cercando perfino di temperarle, le preoccupazioni papali per le pellicole, le foto e le copertine «spinte». Una volta Pio XII lo accolse con la Settimana Incorri in mano, e Andreotti fu costretto a rivelargli che per un complesso giro di società quello scandaloso rotocalco era quasi proprietà del Vaticano. Sulle ire di Papa Pacelli per le baherine spoghate in tv ha raccontato anche Bemabei ne «L'Uomo di Fiducia» (Mondadori). Ma quel che qui vale forse la pena di sottolineare è che il sabato sera c'era chi si peritava di portare un televisore nell'appartamento papale. Anni lontani. E' possibile che il pontificato di uno straniero come Karol Wojtyla abbia di gran lunga allentato i legami fra la figura papale e il ceto politico, specie de. Sull'Ambrosiano il ministro del Tesoro Andreatta fu tutt'altro che tenero (ma giusto) con il Vaticano. Certo Craxi non era Nenni, non gli scappavano di bocca improperi nei sacri palazzi, nei quali anzi spediva il suo messo Gennaro Acquaviva in vista del nuovo Concordato; eppure fu tra i primi ad accusare il nuovo Papa di guardare all'Italia con «occhiali polacchi». «MA CHI E' MARINI?». In compenso l'ateo confesso Sandro Pertini, già presidente socialista di Montecitorio, strinse da subito i mighori rapporti con il Papa polacco. Visite furtive e colazioni semi-segrete, dapprima, poi telefonate di auguri e vacanze spettacolo insieme, in montagna. Quando il Papa venne ricoverato per la seconda volta al Gemelli, il presidente voleva addirittura dormire lì. Il resto, come si dice, è storia recente. Il crollo della Prima Repubblica, con la fine della de, fu visto da Oltretevere come qualcosa di inesorabile. Vennero l'uno dopo l'altro in Vaticano Amato, Ciampi, Berlusconi, Prodi, D'Alema. Un giorno Marini, allora capo di quel partito popolare che in fondo si considerava l'erede delle scudo crociato, se la prese con i vescovi. «Marini? E chi è Marini? - chiese il Santo Padre senza nemmeno soUevare gli occhi - Io conosco Martini, il cardinale di Milano. Questo Marini non so chi sia...». Sarà presente senz'altro, stamattina, a Montecitorio. Montecitorio fu a lungo la Curia innocenziana, dove oggi c'è Casini vissero cardinali, De Gasperi ebbe rifiuti amari. Ma ci fu chi bestemmiò Oltretevere... Gronchi si prostrò durante l'udienza Andreotti e una tesi scritta nell'anticamera di Pio XII Un'antica stampa di Montecitorio, quando era palazzo pontificio Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nel 1955, quando fu ricevuto in udienza da Papa Pio XII Alcide De Gasperl, premier dal 1945 al 1953 Sandro Pertini con Papa Wojtyla negli Anni Ottanta Giulio Andreotti con Paolo VI nel 1977

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