Torino contro Einstein di Piero Bianucci

Torino contro Einstein | STORIA DELLA SCIENZA | IL GRANDE INCOMPRESO Torino contro Einstein LA RELATIVITÀ GENERALE FU ACCOLTA IN MODO OSTILE E DERISORIO SUI GIORNALI E AL POLITECNICO: RILEGGERE OGGI QUEGLI ARTICOLI PUÒ' ESSERE ISTRUTTIVO Piero Bianucci QUANDO Arthur Eddington comunicò che le sue osservazioni compiute durante l'eclisse totale di Sole del 29 maggio 1919 confermavano la teoria della relatività generale di Albert Einstein, il «New York Times» diede la notizia in prima pagina, e dato che già allora i giornalisti esageravano, il titolo affermava che da quel momento in poi Newton e la sua legge di gravitazione universale diventavano spazzatura, o quasi. Altri giornali furono più prudenti, o avversarono la relatività. E così pure alcuni scienziati. Come andarono le cose a Torino? Devo alla pazienza di Giorgio Sudario, responsabile del Centro di documentazione de «La Stampa», il ritrovamento di tre curiosi articoli sulla teoria di Einstein usciti nelle pagine del nostro giornale due anni dopo il clamoroso annuncio del «New York Times». Il primo è un elzeviro del 1" settembre 1921 intitolato «Trittico Einsteiniano» a firma di Eugenio Giovannetti, penna oggi oscura ma probabilmente all'epoca considerata brillante. Lo spiritoso Giovannetti, confondendo tra l'altro la relatività speciale del 1905 con quella generale del 1916, immagina tre situazioni rese paradossali dalla teoria di Einstein, che ovviamente non aveva capito neppure vagamente ma riassume così: «Uno scienziato tedesco, Einstein, ha matematicamente dimostrata l'inesistenza dello spazio come entità obbiettiva, ha dimostrato cioè come tutti i rapporti spaziali, non avendo alcun valore obbiettivo ma solo un valore soggettivo e convenzionale, sieno invertibili ad libitum. In lingua povera; un paesaggio visto da qualcuno che cammini sulle nubi con il capo all'ingiù e veda la terra come un cielo, non è men vero dello stesso paesaggio visto da qualcuno che cammini sulla terra e veda le nubi sull'alto del cielo. Un salotto in cui il soffitto abbia preso il posto del pavimento e viceversa non è men vero di d'un salotto ordinario. Infine, nella vecchia frase "il treno corre verso la stazione" non c'è più verità fisica di quella che sia nella frase "la stazione corre verso il treno"». Fin qui niente di strano. Anche oggi esistono giornalisti che . si ritengono brillanti e tuttavia scrivono prevalentemente sciocchezze. Per essi c'è soltanto da aspettare che diventino dei Giovannetti: giustizia sarà fatta. Più interessanti, storicamente, sono invece gli altri due articoli, scritti da Giovanni Boccardi, allora direttore dell'Osservatorio astronomico di Pino Torinese. Boccardi non era un Giovannetti. Nato nel 1859 a Castelmauro (Campobasso), si era laureato in ingegneria ed era diventato sacerdote per poi insegnare mate¬ matica nei collegi dei Lazzaristi a Salonicco, Smime e in alte città del Medio Oriente; tornato in Italia, era stato astronomo alla Specola Vaticana, all'Osservatorio di CoUurania a Teramo e poi, dopo due periodi di ricerca ' a Parigi e Berlino, all'Osservatorio di Catania, dove compilò un catalogo di 3243 stelle di riferimento; infine, nel 1903, vinse la cattedra di astronomia dell'Università di Torino e divenne direttore dell'Osservatorio, che allora si trovava sulle torri di Palazzo Madama, in piazza Castello; sarà lui a trasferirlo nella sede molto più adeguata della collina. Del 1923 sono le sue dimissioni per motivi di salute, ma continuerà a divulgare l'astronomia in articoli e conferenze fino alla morte, che lo colse a Villetta, vicino a Savona, nel 1936. Bene. Padre Giovanni Boccardi il 28 settembre 1921 intervie¬ ne sulla teoria di Einstein con un articolo intitolato «In difesa di Newton». Saggiamente «La Stampa» si tiene fuori dalla mischia. In un distico che precede l'articolo, il redattore scrive: «E' questo un campo nel quale un giornale politico non ha competenza per formulare giudizi. Pertanto pubblichiamo volentieri questo articolo dell'illustre nostro astronomo, il quale spezza una lancia in difesa di quella legge di gravità che dalle nuove teorie dovrebbe uscire o menomata o distrutta.». Boccardi cerca di esporre le basi della relatività e del concetto di tempo come quarta dimen-' sione, per la verità dando l'impressione di non saperne granché. Ma soprattutto mette in discussione le prove sperimenta-, li, e in particolare proprio quella ottenuta da Eddington durante l'eclisse del 1919, sostenendo, non del tutto a torto, che era lecito dubitare della precisione vantata in quelle misure (un decimo di secondo d'arco), e che vari fattori avrebbero potuto falsare i dati. Altrettanto scettico si mostra sull'altra "prova", e cioè il fatto che la relatività generale spiega perfettamente lo spostamento anomalo del perielio di Mercurio, che invece non è giustificato dalla legge di Newton: fenomeno di cui «gli astronomi non si preoccupano, come lo danno a intendere i troppo zelanti partigiani di Einstein». E conclude; «non posso trattenermi dall'espiimere questo mio sentimento personale, che cioè tra cinquant'anni si parlerà delle ipotesi di Einstein come del tentativo di Clairaut nel 1754; mentre la legge di gravitazione di Newton, "ai trionfi avvezza", rimarrà sovrana incontrastata sul suo trono e continuerà ad essere la base delle teorie fisiche.». (Clai¬ raut aveva trovato una anomalia nel perigeo lunare ma si era trattato di un errore). Nel suo secondo articolo, del 5 ottobre 1921, Boccardi adotta invece un argomento filosofico; la relatività è poco credibile perché non corrisponde al motto «Natura simplex ed fecunda». «I grandi geni scientifici - scrive erano convinti della semplicità delle leggi naturali; mentre i superuomini di oggi affettano di guardare con compassione l'opera di quelli, vantandosi di essere più profondi perché sanno complicare le cose. Intanto si commette il grave errore di passare dal campo astratto dell'analisi matematica a quello della realtà, presentando i fenomeni naturah, i fatti, come risultati delle formolo matematiche!». Per inciso, Einstein non incontrò simpatie neanche al Politecnico di Torino, dove Quirino Majorana, zio del grande Ettore, fu tra i più duri avversari della relatività. Una morale? Due mesi fa Paul Davis su «Nature» ha scritto di una osservazione astronomica di lontanissimi quasar dalla quale risulterebbe che la velocità della luce non è costante; in un remoto passato sarebbe stata più elevata. Subito i giornali hanno scritto che la relatività era da gettare. Calma. Come la relatività non ha liquidato Newton ma lo ha inglobato in una teoria più ampia, così può accadere alla relatività. Da tempo si ipotizza che la velocità della luce e altri parametri •fisici fondamentah non siano costanti. Davvero costante è soltanto l'approssimazione dei giornali. SU «LA STAMPA» L'ASTRONOMO PADRE BOCCARDI, PRESE LE DISTANZE DALLO SCIENZIATO TEDESCO E ANCORA PIÙ' OSTILE FU, AL POLITECNICO, QUIRINO MAJORANA ^Hr^ - ■_ ™_ :„ A sinistra, Albert Einstein. A destra, padre Boccardi, professore di astronomia a Torino, dubbioso sulla relatività