L'ORO NERO diSaddam

L'ORO NERO diSaddam L'ORO NERO diSaddam Riccardo Varvelli C*) 19!!! EZZO secolo fa la "Iraq Petroleum Company" era al 24 per cento dalla Shell, al 12 per cento dalla Exxon (a quell'epoca. Esso), al 240Zo dalla BP, al 1207o dalla Mobil. Negli Anni 50 il petrolio iracheno era dunque nel e mani alle cosiddette "Sette Sorelle", e cioè dell'Occidente. Della piccola famiglia dei proprietari del petrolio medio orientale mancavano tre sorelle; la Chevron, la Texaco e la Gulf, che però ampiamente si rifacevano nei territori limitrofi: il Kuwait (con la KOC), l'Iran (con l'Iranian Consortium) e l'Arabia Saudita (con l'Aranco). Insieme con le Sette Sorelle, così come riuscì ai francesi della Compagnie Frangaise des Petroles (GFP) poteva esserci anche l'Italia. Gli italiani, negli Anni 30 del '900 erano attivi nel campo internazionale petrolifero: operavano con alterno successo in Romania, Albania, Libia, Etiopia e anche in Iraq. Erano in compartecipazione con la British Development Oil Company (BDO) di cui detenevano il .Sy/a. delle azioni. Va a inerito della BDO e quindi degli italiani la scoperta e la messa in produzione del grande giacimento di Mosul uno dei più importanti del mondo. Ma pur di avere il transito nel canale di Suez in vista della guerra dEtiopia, Mussolini nel 1935 rinunciò alle azioni, restituendole agli inglesi. La mossa fu pericolosissima per le intenzioni colonialiste dell'Italia di allora perché la Società delle Nazioni condannò immediatamente l'invasione dell' Etiopia proponendo l'embargo sulle spedizioni di petrolio all'Italia. Il più duro sostenitore dell'embargo fu il rappresentante britannico, Anthony Eden. Ma il Duce trovò un valido alleato nel primo ministro francese Pierre Lavai e l'embargo non fu applicato. Un altrDuce, Saddam, ha affermato recentemente che minacce e intenzioni di guerra degli Usa nascondono l'interesse da parte dell'America di appropriarsi del petroliiracheno. Sarebbe qualcosa di givisto, ma è un'ipotesi infondata. L'Iraq, è vero, ha un potenzialpetrolifero enorme ma da qui dare consistenza all'affermaziondi Saddam, avallata da JeremRifkin nel suo "Economia all'idrogeno", molto ci passa. E' più facile pensare ad affermazioni diversive da parte del dittatore iracheno e a tesi dovute a disinformazione da parte del professore americano, esperto di economia e di politica intemazionale ma non di economia energetica e tecnica petrolifera. Domandava un giornalista a Rifkin: «E' diffusa l'impressione che la campagna della Casa Bianca contro l'Iraq abbia più a che fare col petrolio che con la pericolosità militare di Saddam. E' così?». Risposta: «Baghdad possiede le seconde riserve mondiali di petrolio. Se gli Usa riusciranno a liberare queste riserve, si troveranno in una posizione strategica di straordinario potere in Medio Oriente. L'ironia è che nel 1990 l'Iraq invase il Kuwait per i suoi giacimenti petroliferi e il padre di Bush mobilitò il mondo per fermare l'invasione; ora suo figlio si prepara a invadere l'Iraq per impadronirsi del suo petrolio». E' vero che l'Iraq possiede 112 miliardi di barili di petrolio pari a 15 miliardi di tonnellate, e che l'Iraq è il secondo paese del mondo con il lO^o delle riserve mondiali dopo l'Arabia Saudita, che ne ha il 250Zo; ma è anche vero che se gli Usa volessero impadronirsi di petrolio altrui lo avrebbero già fatto nel 1990 con il Kuwait, che possiede la stessa quantità di riserve dell'Iraq ed era più facile da tenere sotto controllo per la sua modesta estensione geografica e per l'assenza totale di tensioni etnico-rehgio- se (come invece è per l'Iraq). Ciò che forse Rifkin ignora è che grazie al programma "oil for food" gli Stati Uniti sono già oggi tra i maggiori clienti del petrolio iracheno e che una loro eventuale "conquista" del territorio oggi sotto Saddam non cambierebbe per nulla la delicata situazione in cui si trovano, e cioè quella di essere tuttora i secondi produttori del mondo ma con riserve pari soltanto al 3 per cento di quelle mondiali e con un rapporto riserve/produzione pari a meno di dieci anni. Da questo punto di vista sarebbero più interessate al controllo diretto o indiretto dello stato iracheno la Russia con la sua presenza ventennale nel giacimento di Ouma a Nord Ovest di Bassora per svilupparlo con la Lukoil, o la Francia per il diritto esclusivo che la Total - Elf - Fina è riuscita a ottenere per lo sfruttamento dei giacimenti di Majnoon e Bin Umar. L'Iraq oggi, a causa delle sanzioni che la comunità intemazionale ha imposto dopo l'invasione del Kuwait nel 1990, è il decimo produttore mondiale con di 2,4 2,8 milioni di barih al giomo. Ouesta è la posizione ufficiale. Se è vero quanto ha dichiarato Tony Blair in base a notizie raccolte dalla "inteUigence" britannica che oltre ai 6 miliardi di dollari che ufficialmente l'Iraq intasca ogni anno per la vendita autorizzata di petrolio in cambio di beni (alimentari e medicine) destinati alla popolazione, Saddam (e la sua famiglia) intasca un 5007o di denaro in più con vendita illegale di petrolio, è altamente probabile che la posizione in classifica dell'Iraq come produttore lo porti al 4" posto subito dopo l'Arabia Saudita, la Russia e gli Stati Uniti. L'Iraq, quindi, potrebbe diventare, se liberato dai vincoli attuali e se aiutato dagli esperti occidentali e russi nello sviluppo della sua industria petrolifera, il terzo produttore del mondo con 6 milioni di barili al giomo da 73 giacimenti, essendo certo che fra pochi anni gli Stati Uniti perderanno l'attuale posizione. I giacimenti del Nord, quelli di Mosul e di Kirkuk, pur essendo sfrattati da 70 anni, hanno ancora risorse. Per quello di Kirkuk si parla di 16 miliardi di barih (il 15(X) delle riserve nazionali) ; altri giacimenti scoperti degli Anni 70 per merito dei russi, come quello di Rumaila al confine con il Kuwait, raggiungono i 20 miliardi di barili. Il problema per l'Iraq non è quello delle riserve petrolifere; semmai è quello della produzione, per la quale servono nuovi investimenti (fermi da 10 anni) e l'applicazione delle nuove tecnologie che l'occidente e i russi hanno sviluppato e che gli iracheni non sono in grado di avviare. Quando gh investimenti saranno permessi, vedremo aumentare la produzione del giacimento di Majnoon dagli attuali 20.000 barih al giomo a 500.000 e punte di produzione di 200-300 mila barih al giomo nei giacimenti di Bin Umar e di Halfaya dove, secondo l'EIA (Energy Information Administration) anche l'Italia, attraverso Eni-Agip, ha interesse a esser presente (senza bisogno di chieder il permesso a Bush). (*) Politecnico di Torino L'IRAQ E' OGGI IL DECIMO \ PRODUTTORE DI PETROLIO DEL MONDO MA POTREBBE DIVENTARE IL TERZO l SENZA SANZIONI E CON TECNOLOGIE ] DI ESTRAZIONE TECNOLOGICAMENTE | ALI/AVANGUARDIA i DECIMO \ ETROLIO DEL MONDO VENTARE IL TERZO l E CON TECNOLOGIE ] CNOLOGICAMENTE | A i r* fi»: # q y" a o ), a o ni e a ore a ail n a me me ie eel rno a, n ne il no to la ne ul o. el r35 le -H ^■■■ ■jn ^kZ m f^f^^ '»*r r r/^ #|rfe^i# PRODUZIONE MONDIALE | CldBCaariqcvucqdtrdrdrrsbIgtminlvlgl(pBcl6nuts Russia Stati Uniti Norvegia Messico Gran Bretagna Venezuela IRAQ Totale primi 10 Paesi i- -^ Produzione mondiale i Cd Cd tagna Cd- Cd a Cd Cd Cd Cd ^d~tfd PRODUZIONE MONDIALE DI PETROLIO NEL 2002 [in milioni di barili al giorno] Fonte: US Dept of Energy "/o sulla Valore . produzione assòluto mondiale Arabia Saudita