Vedove nere votate alla morte

Vedove nere votate alla morte ■"i'""" . NELLA TRADIZIONE ISLAMICA, DA SPOSA DELICATA A COMBATTENTE Vedove nere votate alla morte analisi Igorft/lan DELICATA è la tua mano. Solo il vento e la passione possono sfiorarla perché sensibile è la tua mano leggera. Come il fiore della magnolia se la carezza non è rispettosa segni offensivi ne mortificheranno la bellezza». Sono versi d'un anonimo poeta islamico che tuttavia per qualche studioso (egiziano) si potrebbero attribuire se non a Omar Khayam senz'altro alla sua scuola. Ma tutta, o buona parte, deh'opera letteraria (poesia, prosa, saggistica) musulmana contemporanea celebra la donna. Una donna irreale poiché la realtà ci consegna o povere contadine schiave del maschio-marito-padrone o donne soldato ovvero guerrigliere dalle mani tanto ferme e dure da dominare il kalashnikov o la Peretta bifilare (vedi le guardie del corpo di Al Qaid, il colonnello Gheddafi, la Guida dei libici, il leader arabo che ha sempre perseguitato, e impiccato, gh integralisti ed emancipato la donna facendola soldato); e oggi che assistiamo a un revival della poesia islamica sulla scia del modernissimo Adonis, tutto in essa troviamo fuorché la donna che si uccide per uccidere, insomma la donna-kamikaze che ha scelto di immolarsi in cambio del dono più prezioso; il Paradiso. Ecco; forse la rivoluzione a mani nude mediante la quale Khomeini riuscì a spodestare il potentissimo Scià colpevole di stravolgere i connotati culturali dell'Iran, dovrebbe passare alla Storia non già, o non soltanto, per aver attinto tanto inimmaginaDile risultato bensì per aver rivoluzionato la chiave di lettura del Corano. Nel libro che raccoglie i messaggi che AUah detta a Maometto per il tramite dell'Arcangelo Gabriele (Gabril), nella Tradizione musulmana, il suicidio è peccato mortale (come nel Cristianesimo). Ebbene, durante la lunga, dura, feroce guerra fra l'Iran e 1 Iraq, c'è un momento in cui Bani J-ìadr, presidente della Repubblica'é; come tale, comandante supremo deltó forze armate, dice a Khomeini che l'eroica resistenza dei soldati iraniani non potrà durare in etemo: «Santo imam, non disponiamo nemmeno dei mezzi idonei a sminare il terreno che il nemico ha reso invalicabile, impedendoci così di avanzare, di sfondare il fronte. Che fare?». Khomeini, che non è solamente la Guida spirituale, l'imam, ma altresì un giuresperto di vaghe, sicuro interprete del significato vero del dettato maomettano, non esita a individuare Tarma vincente negli impuberi martiri cui dirà, per il tramite dei loro genitori, semplicemente questo; u suicidio è certamente peccato mortale. Ma chi sacrifica la propria vita per il bene deUa comunità, perché si affermi e trionfi la magnitudine di Dio, il clemente, il misericordioso, non commette suicidio ma attinge alla sublimazione del martirio magico propellente per subito raggiungere la beatitudine del Paradiso». Un po' tutti i giornalisti che han seguito, oltre alla Rivoluzione a mani nude, anche qualche fase della guerra fra Iran e Iraq, han visto, attraverso il binocolo, torme jentili di bambini vestiti di tunica jianca, la benda dei martiri sulla fronte, a Dezful, irrompere a piedi scalzi nei campi minati dagli iracheni e saltare in aria sminandoh. Ove mai avessimo pensato a una allucinazione collettiva, a ricondurci alla realtà (per noi spaventosa) provvedevano i giornali quotidiani che pubblicavano pagmone con le fotografie-formato-tessera dei piccoli martiri, cui facevano per così dire da didascalia le frasi «commosse e riconoscenti» dei genitori di quei bambinelli bruciati verdi. Si disse, e si scrisse, allora, che un fenomeno così terribilmente medito poteva darsi «solo» in Iran essendo, si affermò, lo Sciismo incentrato su di una sorta di vampirismo psicologico, su di una lettura rigorosa (o nichilista?) del Corano derivata dal sacrificio del Profeta Hussein ferito e lasciato morire di sete, a pochi metri dal fiume, dai sunniti manipolatori del testamento spirituale di Maometto che aveva designato a succedergli giustappunto Hussein. Questo spiega perché nel 1995, subito dopo un infame) attacco suicida a Gerusalemme, attribuito da Hanias a una donna-kamikaze di religione islamica, noi con altri colleglli si scrivesse di «svolta». E allorché la notizia venne confermata in termini inoppugnabili scrivemmo che «l'emancipazione della donna musulmana è in cammino». Certo era (è) amaro e vergognoso che l'emancipazione della donna islamica debba passare attraverso la cruna blasfema del terrorismo suicida e tuttavia la conferma che a immolarsi per ammazzare fosse stata la ventenne beduina (sunni- ta) Alia Abu Ghalia ci portò a concludere che in seno ad Hamas le contraddizioni fra possibilisti (vicini ad Arafat) e oltranzisti (contestatori di Arafat) si fossero composte nella logica della lotta contro Israele, nel segno di una inedita totahtà che vedeva, appunto, il ruolo della donna uscire dalla marginalità, affermarsi in un «mestiere da uomini»; il terrorismo suicida. Il fatto (la donna kamikaze, beduina, in azione senza ritomo) è immensamente notevole, scrivemmo allora, addirittura fondamentale. E questo perché diciamo oggi di fronte alla terribile storia di Mosca che vede il «sacrificio deUe vedove», donne kamikaze di medita leva e simbologia, patriote cecene (tra di esse la vedova del comandante ceceno Arbi Baraev, zio amatissimo di chi guidava il commando e cioè Movsar anch'e^h vittima dei caschi di cuoio di Putin), l'accadimento è straordinario. Rinnova infatti, e coi fatti, non soltanto il modo di concepire il diverso (la donna è in fatto «diversa» nella società integralista musulmana) ma altresì ci fornisce, in fine, un criterio di «analisi reale» della società islamica; non importa se sciita o sunnita. Certo, l'idea secondo cui l'islam non conosce separazione fra spirituale e temporale, viene da qualche tempo a questa parte contestata da illustri studiosi di quella religione-cultura. Sia come sia, l'islam (insieme con il cristianesimo e con l'ebraismo) è debitore di ciò che Marcel Gauchet chiama un «debito di senso». E cioè; le azioni dell'individuo, nel senso della sua esistenza, il valore della sua morte è deducibile (questo senso) dall'adesione all'Autorità, intesa come «autorevolezza della religione». Hamas, che in arabo vuol due fervore, è una formazione politica rivoluzionaria formatasi e cresciuta nelle università della Palestina occupata. Sono gh attivisti di Hamas che impugnano il Corano per indottrinare studenti e studentesse, stabilendo subito, peraltro, una separatezza fra uomini e donne, imponendo il velo alle giovani colleghe poiché il Corano prescrive affa donna «modestia da manifestarsi anche celando le proprie grazie (la bocca, i capelli) per non distraire l'uomo dalla sua missione». Non è un mistero che la crescita di Hamas sia stata se non incoraggiata vista con interesse dalla destra israeliana. Si pensava a una forza religiosa, ancorché nazionahsta, da contrapporre al laicismo intransigente dell'Olp e all'impeto degh scugnizzi dell'Intifada. Oggi, per uno dei tanti paradossi della Storia, Israele e Olp vedono il comune sforzo di pace insidiato proprio da Hamas. Al contrario dei «moderati» che considerano la possibilità di una «tregua» con Israele se il suo esercito uscirà dalla Palestina occupata, i duri vogliono semplicemente e puramente la distrazione dello Stato ebreo. Credono nella possibilità di una vittoria militare. Sono schiavi dell'utopia, che nell'islam è sempre negativa poiché gli oltranzisti non vedono la Storia come vettore verso il futuro bensì come un paradigma del passato. Ma c'è nel passato islamico una donna non mortificata? La fosca vicenda mediorientale elenca molti nomi di giovani musulmane che si sono uccise in azioni terroristiche: citeremo soltanto Sana Mhaydalesh, una sedicenne che, prima di saltare in aria gettandosi contro un posto di blocco israeliano nel Libano Sud, registrò in videocassetta il suo giuramento: «Sono pronta a sacrificare la mia vita purché Israele perisca». Ora Hamas proclama a suo modo (un modo sanguinoso) la parità della donna col sacrificio di non poche adolescenti palestinesi terroriste suicide. Ma va ricordato che nell'Iran dello Scià, un paese di anime morte come la Russia di Gogol, le donne hanno costituito l'avanguardia della vittoriosa lotta insurrezionale. Almeno settemila donne iraniane sono finite in galera e sotto tortura lottando per la libertà. (Sappiamo com'è andata, ahimè). Nonostante ciò, come spiega bene la sociologa marocchina Hayat Kahaok, per la donna islamica la modernizzazione, a differenza che in Occidente, non implica un approccio femminista. La donna musulmana aspira alla «parità» nella diversità», non già all'identificazione nel modello maschile. In verità così come non esiste un solo Cristianesimo (nella pratica) o un Ebraismo, non esiste un solo islam; ne esistono tanti. Non crediamo che in questa terribile, decennale guerra tra Russia e Cecenia abbia fatto il suo ingresso Al Qaeda. I vari attentati, dalle Filippine a Bah, dal «paradiso delle vacanze» a Mosca non sono il risultato di una regia unica, globale. Peggio: sono il fratto del contagio. Schegge periferiche di nazionalismo male inteso, di disperazione esistenziale, trovano nell'islam terrcrista un punto di riferimento, un «esempio», appunto, da seguire. Certo dan da pensare le immagini delle cecene-kamikaze, delle vedove dei martiri di Cecenia che, per altro, dispregiativamente i russi chiamano «giopa ciomaja» (culi neri). E il loro messaggio-testamento turba accendendo nuovi interrogativi tristi. «Anche se saremo assassinate, altre migliaia di nostri fratelli verranno, pronti a sacrificarsi in nome di Dio (sia lode a lui) per liberare la Patria». E di nuovo non pochi «esperti» di domandano, nella confusione generale, quale sia il rapporto vero che questo terrorismo suicida intrattiene con l'islam: ci sono, per esso, dei fondamenti dottrinali o no? Bisogna dire che le voci sono discordanti perché, come sempre avviene nell'islam sunnita, l'assenza di una autorità religiosa suprema, univoca, si traduce in una pluralità di interpretazioni. Eppero tutti questi «atti terribili» sono a ben guardare il risultato di una profonda trasformazione di un segmento dell'islam, e in particolare dell'islam politico. Se in sociologia si parla di fenomeni di acculturazione, chi scrive deve constatare che si tratta di un profondo disagio dell'islam «malato d'Occidente» (per citare il prof. Khaled Fouad Allam), che usa la morte come farmaco: letale per il nemico-infedele e pur fascinoso, per curare la propria malattia. Oggi l'apparire di più donne insieme in questa caduta all'inferno rende il fenomeno ancor più complesso e inquietante. Mentre l'Occidente riconosce nelle donne musulmane l'emblema stesso della diseguaghanza, della discriminazione sociale, dell'inferiorità, nelle immagini che giungono da Mosca via tv le vediamo accanto agli uomini, unite e simili: nella morte, nel massacro. Sembra un paradosso, un andare in senso contrario alla Storia, ma in fatto nessun «esperto» mi sembra in grado di decodificare che cosa esattamente stia succedendo nel mondo in cui viviamo. Quel che mi sembra tuttavia certo è che la incomunicabilità fra le varie culture stia crescendo vertiginosamente. Urge dunque un «approccio» diverso, più riflessivo epperò fattuale a certi «fenomeni» devastanti perché gonfi di infinite incognite. Senza il giusto «approccio» il nostro mondo rischia di essere condannato a vivere con la paura in corpo. Il suicidio resta peccato mortale, ma Khomeini precisò che non commette suicidio chi sacrifica la vita per il bene della comunità e per la magnitudine di Dio Tra le numerose terroriste che sono state uccise c'era anche la moglie del comandante ceceno Arbi Baraev, parente del giovanissimo Movsar capo del commando Una delle donne del commando ceceno, che indossa la cintura esplosiva, uccisa dopo essere stata paralizzata dal gas Un'altra delle mogli dei combattenti ceceni morti in battaglia, in un'immagine tv di alcuni giorni fa