Giovani belve in un gioco più grande di loro di Anna Zafesova

Giovani belve in un gioco più grande di loro r. DEI GUERRIGLIERI ADOLESCENTI I «KAMIKAZE DI ALLAH» TRA RIGORISMO ISLAMICO E PULSIONI ADOLESCENZIALI Giovani belve in un gioco più grande di loro I ragazzi del commando ceceno erano spavaldi ma insicuri Anna Zafesova MOSCA Sembrano addormentate; una delle ragazze ha appoggiato la testa e le mani sulla poltrona della fila di fronte, un'altra siede con la testa buttata all'indietro, la bocca semiaperta, le mani incrociate sulla pancia sopra la cintura esplosiva, sugli occhi un foulard che si era messa per dormire con la luce accesa. La stretta fascia di seta nera sugli occhi è da condannata a morte, da ultimo gesto prima della fucilazione; la ragazza si è addormentata per non svegliarsi più, uccisa nel sonno da una pallottola delle teste di cuoio russe. La televisione serve ai russi per la colazione del sabato mattina la morte in primo piano. Immagini che sono un pugno nello stomaco, cadaveri crivellati di pallottole, facce squarciate da ferite insanguinate. Nessuna premura per lo stomaco dello spettatore, nessun avvertimento pohticamente corretto di allontanare dai teleschermi i bambini. Le macabre immagini vengono servite con trionfo; ecco i mostri che ci terrorizzavano, li abbiamo uccisi come cani. Non rimane spazio per il pudore nei confronti dei morti: su una poltrona giace riversa una ragazza, la cintura esplosiva in vita, una collana di giada sul collo, il volto coperto da una massa di capelh castani. La mano dell'operatore glieli scosta, aprendo la faccia; un occhio semichiuso vacuo, morto, al posto dell'altro c'è un buco con il sangue raggrumato, la bocca semiaperta nella smorfia dell'agonia. Li mostrano così, spietatamente, come bestie ammazzate, ma sfigurati dalla morte fanno quasi pena, i ragazzi di Movsar Baraev in gita mortale a Mosca. Le kamikaze in gonnella che giuravano di morire in nome di Allah sono pallide e fragili, con le mani sottili da ragazzine. Poche ore prima queste mani tenevano le pistole, quando le ragazze posavano per le telecamere tenendo le armi graziosamente, in atteggiamenti da bond girl. Queste dita avevano giocherellato ostentatamente con i telecomandi delle bombe che portavano alla cintura. Ora giacciono inerti, sulle dita si vedono anellini sottili, sui polsi orologini-braccialetto alla moda. Si diceva che le «sorelle», come le chiamavano i guerrigheri, fossero vedove di guerriglieri, ma sono giovanissime, quasi adolescenti, una ventina d'anni al massimo, magre, pallide, alcu| ne graziose. Gonnoni e maglioni neri, nemmeno un filo di trucco, ma qualche gioieUino piccolo, da ragazzina di buona famigha. II loro comandante, Movsar, giace fuori, nell'atrio, in una pozza di sangue e con un buco nella guancia che gli apre i denti. Accanto a lui. insanguinati e sfigurati, i maschi del gruppo: pantaloni e giubbe paramilitari, maglioni neri, scarponi, sembrano i fratelh gemelli di mighaia di «caucasici» che arrivano in cerca di lavoro e divertimenti a Mosca. Uno dei terroristi ha sul petto farcito di pallottole la t-shirt del «Nord ost»; probabilmente non aveva resistito alla tentazione di un souvenir del musical più popolare di Mosca, che i ragazzi ceceni hanno trasformato in una carneficina. Forse la voleva portare in Cecenia, la t-shirt, vantarsi con gh amici. Forse non voleva mori¬ re nella crociata dei bambini-assassini. I ragazzi di Baraev appaiono per la prima volta a faccia scoperta solo nella morte; da vivi avevano parlato con il mondo - salvo il loro capo - mascherati da passamontagna o da chador. Si erano battezzati «kamikaze di Allah», ma tenevano una porta aperta per ritornare nel mondo dei vivi. Al Cremlino lanciavano minacce piene eh retorica; «SiamoShahid, vogliamo morire più di quanto vogliamo vivere». Ma uno di loro, Ruslan, aveva telefonato a un amico prima del blitz; «Ne usciremo vivi», aveva detto. Forse voleva ritornare dopo aver visto le tentazioni de la Mosca ladrona doVe era stato mandato come flagello di Allah. Coetanei degli attori e degli spettatori del «Nord Ost», figli della stessa tv, Ruslan e Abubakar si erano divertiti a sceglie- re gh interlocutori per il loro negoziato tra i vip della pohtica e dello spettacolo. Erano eccitati di essere finiti in tv, esattamente come i ragazzini russi che, scappati dal teatro minato, raccontavano il loro dramma come un avvincente film. Movsar nel suo rigorismo islamico mandava maledizioni alle «cagne cecene che se la spassano con i russi». Ma poi non ha resistito alla tentazione di vedere dal vivo la cantante Alla Pugachova e la scollatissima deputata Irina Khakamada, sebbene quest'ultima avesse appoggiato l'invasione della sua patria. Terrorizzavano gli ostaggi ostentando le bombe e sparando, parlavano di morte con la spavalderia degli adolescenti, in ogni frase infilavano due «insciallah», ma non avevano una gran voglia di morire, i giovani soldati di AUah, carne da macello in missione a Mosca. Avevano passato 60 ore a tentare di maneggiare una faccenda più grande di loro, a cercare di trattare da pari con il Cremlino, a emulare le gesta dei loro comandanti anziani. Sempre più nervosi, sempre più incerti, cambiavano ogni dieci minuti le condizioni deUa trattativa, oscillando dalla calma all'isteria, correndo al telefono per consultarsi con i loro comandanti per ogni questione, ogni tanto gasandosi scandendo inni alla morte nella guerra sacra. Erano solo delle pedine da sacrificare, Ruslan, Movsar, Abubakar e amici, nuova generazione della Cecenia in guerra. Durante la prima invasione russa, nel 1994, avevano dieci, al massimo quindici anni. Invece del liceo hanno scelto il kalashnikov, invece dell'università la dinamite, per maestri personaggi come lo zio di Movsar, Arbi Baraev, Che aveva decapitato quattro ostaggi occidentah dopo aver scoperto che nessuno voleva pagare per loro un riscatto. Cresciuti in una repubblica di liberi briganti, tra agguati, faide, sequestri di persona e dollari sporchi, non conoscevano nulla di diverso. Venivano da una terra dove a 12 anni non si è più bambini, ma guerriglieri, e si rifiutavano di capire che per i russi i loro figli erano solo degli innocenti 'da difendere. Non rispettavano più neppure il codice di comportamento del loro popolo. Il deputato Aslanbek Aslakhanov, anche lui ceceno, durante un tentativo di mediazione ha aver apostrofato duramente Movsar; «Non si parla con gli anziani con il tono che usi tu». Il terrorista si è scusato. Erano solo delle pedine da sacrificare. Durante la prima invasione russa nel 1994, avevano dieci al massimo quindici anni Invece del liceo hanno scelto il mitra. Per maestri personaggi come lo zio di Movsar, Arbi Baraev che decapitò quattro occidentali dopo aver scoperto che nessuno voleva pagare il riscatto Eccitati dall'essere finiti sugli schermi televisivi non hanno resistito alla tentazione di incontrare le amate-odiate star russe Uno di loro, telefonando a un amico poco prima del blitz, aveva sussurrato: «Credo che ne usciremo vivi» Una delle Immagini trasmesse dalla televisione russa del commando di terroristi ceceni, del quale facevano parte anche 18 donne kamikaze

Persone citate: Abubakar, Arbi Baraev, Aslanbek Aslakhanov, Baraev, Irina Khakamada, Movsar Baraev

Luoghi citati: Cecenia, Mosca