Il predicatore dell'intolleranza e protettore degli esuli di Kabul

Il predicatore dell'intolleranza e protettore degli esuli di Kabul UN FAN DICHIARATO DI AL QAEDA, ANCHE SE SI E' DISSOCIATO DALLA STRAGE Il predicatore dell'intolleranza e protettore degli esuli di Kabul Nel 72 ha fondato una scuola coranica che ha conquistato l'intero paese ")llP^ttPrTtVìtnrÌ HP '1 1 SPttPmbrP SOriO DSSSStì flttraVPrSO ì SUO OrUDDO personaggio Mimmo Candito : .. PRESA ormai nella tagliola della (terza) guerra del Golfo, quella che dovrebbe sbatter via per sempre Saddam e le sue minacce chemio-batterio-nucleari, l'attenzione del mondo non è andata molto al di là di un'ondata di autentico terrore quando a Bah c'è stata la carneficina in un club per vacanzieri. Tanto terrore, certamente, però ben poca anabsi politica. E se di Al Qaeda si è tornati a parlare, nei giorni successivi, ogni riferimento è parso una sorta di ancoraggio di routine, un obbligo formale dettato da quelle connessioni di maniera che sempre intervengono quando pohtica e terrore si fanno intrecci oscuri, di difficile decifrazione. Errore. Quanto sta avvenendo nel Sud-Est asiatico è altrettanto importante di quanto si è affrontato e (in parte, solo in parte) risolto nelle montagne afghane. Anche se in Indonesia non si è riusciti ancora a disegnare completamente il profilo di un nuovo genio del male, da affiancare a quello di Bin Laden, e anche se il tamburo dei grandi media non ha ancora potuto costruire un mostro accattivante e di febeissima presa emozionale come sono stati gli «Studenti di Dio» persi in un loro paradiso medioevaleggiante, ora laggiù in fondo all'Asia si sta preparando una polveriera che potrebbe far deflagare ben più di un arcipelago lontano e i suoi dolci languori d'eden turistico. Nel Sud-Est asiatico non c'è ancora un regno di Dio in terra com'era l'Afghanistan dei taleban; il controllo del territorio da parte dei militanti di Allah è limitato, al massimo, a una buona parte dell'isola di Mindanao, quella dove fa certe sue spietate operazioni di guerriglia il gruppo Abu Sayyaf. Però Indonesia (con i suoi quasi 200 milioni di musulmani), Malaysia, Singapore e Filippine meridionali possono formare un crogiuolo gigantesco dentro il quale rischia di precipitare l'intera Asia del Sud, cioè un'area verso la quale la Cina ha (o comunque avrà prestissimo) un forte interesse a servirsi d'ogni forma possibile di destabilizzazione. Comunque, anche se quest' anticamera di un inferno possibile non è ancora il nuovo Afghanistan, ci sono già sul campo gli Omar e i Bin Laden locali. E l'arresto, ieri, dell'ulema Abu Bakar Baashir vale quanto sarebbe valsa, qualche tempo fa, dalle parti di Kandahar, la cattura del mullah Omar. Baashir, infatti, 64 anni, una barba bianca curata con un vezzo ben poco ascetico, l'eterna cuffia candida sulla testa, è in qualche modo la guida spirituale, il maestro, e la bocca della verità, per una impressionante marea di musulmani radicali che si riconoscono nel gruppo Jamaa Islamyiah (all'incirca: patria musulmana). E poiché la Jamaa Islamiyah, nata in Indonesia, si è ormai allargata sull'immenso territorio di isole e isolette che popola¬ no quel pezzo di mare del Pacifico, aver messo le mani sul santone che predica il Jihad - la guerra santa contro gli infedeli apre un vaso di Pandora dal quale può uscire o l'eruzione della protesta che sfocia in una rivolta violenta e generalizzata, oppure un primo reale controllo sull'espansione del fondamentalismo insurrezionale. Baashir non ha mai nascosto le sue simpatie per Al Qaeda e per quel «sant'uomo» barbuto di Bin Laden (anche se va detto comunque, che ha condannato come «barbaro e insensato» l'attentato della settimana scorsa a Bali). La scuola coranica che ha fondato nel 72 alla periferia di Solo è stata la prima radice di una predicazione che si è allargata progressivamente a ogni angolo dell'Indonesia - e poi alle altre terre tentate dalla ribellione della fede islamica - trovando adepti e seguaci la cui lettura del Corano si mescolava drammaticamente con l'interiorizzazione di un messaggio d'intolleranza verso ogni altra presenza religiosa. E il fatto che due degli attentatori dell'I 1 settembre siano passati attraverso la rete di queste scuole coraniche di Baashir e del suo gruppo è soltanto la conferma puntuale dell'esistenza di un pericolo che è pronto a proiettare le sue infiltrazioni dall'Asia fin nel cuore degli Stati Uniti. L'inquietante parallelo con tutto quello che è accaduto in Afghanistan poggia poi su due altri solidi elementi. Il primo è il «santuario» che molti (così dicono le fonti dell'intelligence: «molti») dei profughi dai campi d'addestramento di Al Qaeda alla periferia di Kabul hanno ora trovato sotto le ali protettrici di Jamaa Islamiyah e dell'ecosistema di radicalismo che il suo ulema sta coltivando in Indonesia con sperimentato successo. L'altro elemento di supporto è che, uccel di bosco quanto il più famoso Bin Laden, c'è alle spalle di Baashir anche il «Bin Laden» locale: si chiama Riduan Isamuddin (nome di battaglia Hambali), viene accreditato d'una abilità politica e militare straordinaria, e fa parte di quella banda di mujaheddin che la Cia mise su, finanziò, armò pesantemente, e poi dimenticò con colpevole sconsideretezza, quando faceva la guerra ai sovietici che avevano invaso l'Afghanistan. Allargatasi coma una vischiosa macchia d'olio su ogni terra dove sventoli la bandiera verde di Allah - dall'Algeria all'Egitto, dallo Yemen al Libano, dalla Cecenia ai mari del Bomeo e dell'Indonesia - questa banda di «afghani» costituisce ormai il nucleo vitale, lo hardcore, della rivoluzione fondamentalista. Quando la loro capacità militare e la loro intransigenza ideologica trovano il brodo di coltura di un territorio già fortemente influenzato dal wahhabismno saudita, o dalle fascinazioni dei Fratelli Musulmani, un altro ((Afghanistan» è in germinazione. E bisogna contenerlo immediatamente. Un'epidemia sarebbe pericolosissima, allora davvero si costruirebbe lo scontro di civiltà.

Persone citate: Abu Bakar Baashir, Bin Laden, Hambali, Isamuddin, Mimmo Candito