La cellula di Al Qaeda era vicina a Palazzo di giustizia di Paolo Colonnello

La cellula di Al Qaeda era vicina a Palazzo di giustizia MILANO: TUTE MIMETICHE, VIDEO E DOCUMENTI FALSI NEL COVO DEI SETTE TUNISINI FERMATI CON L'ACCUSA DI TERRORISMO INTERNAZIONALE La cellula di Al Qaeda era vicina a Palazzo di giustizia Stavano preparando attentati in Europa Paolo Colonnello MltANO «... Prima rompevano tanto davanti alla moschea, adesso no. Loro pensano che un terrorista deve andare a pregare...Ma quelli lì non li vedi neanche, né alla dogana né all'aeroporto. Quelli entrano in Italia e nessuno lo sa. Perché quelli sono venuti per una missione che non deve fallire...». Era marzo e l'attentato lo stavano preparando per davvero. Ma non in Italia, bensì nel sud della Francia, in un luogo che nelle intercettazioni indicavano come «il campo di calcio» dove giocare «la partita» che avrebbe sfidato l'Europa sul suo terreno. I sogni di sangue e vendetta dell'ultima cellula di terrorismo islamico sgominata dai Kos dei carabinieri e dalla Procura di Milano, in stretta collaborazione con l'Fbi americano, si sono però infranti all'alba di tre giorni fa, quando i militari hanno fatto scattare l'operazione «Bazar)) eseguendo arresti e perquisizioni in Italia e all'estero. Sette musulmani, quasi tutti tunisini, affiliati al «gruppo salafita per la predicazione e il combattimento», costola agguerrita di Al Qaeda, sono finiti in carcere con l'accusa - utilizzata per la prima volta da quando il Parlamento ha modificato le leggi antiterrorismo uniformandosi alla normativa europea - di associazione sovversiva finalizzata ad atti di terrorismo intemazionale. In particolare, è scritto nell'ordinanza di 220 pagine firmata dal gip Maurizio Grigo, tre di loro, ovvero Faraj Faij Hassan, Saadi Nassim e Cherif Said Ben Abdelkalim, avrebbero «organizzato e diretto l'associazione, indottrinando ideologicamente gli associati e dando tutte le disposizioni necessarie per il raggiungimento degli scopi prefissati». Allo «scopo di compiere atti di violenza, quali attentati, in Stati diversi dall'Italia, con finalità di terrorismo». E non è un caso che durante le perquisizioni i carabinieri abbiano trovato materiale più che eloquente. In un appartamento di corso XXU Maizo 39, al quarto piano, non più di 400 metri da Palazzo di Giustizia, gli investigatori oltre alle solite videocassette sulla «guerra santa», hanno ritrovato una decina di tute mimetiche e diversi documenti falsi. Materiale che si suppone fosse pronto per essere inviato all'estero, sia in altri Paesi europei che in Oriente. Intestato a Bouyahia Hamadi - arrestato ieri mattina a Malta e uomo che teneva contatti con Spagna, Portogallo, Bosnia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Francia e Turchia e che si occupava di offrire sostegno e rifornimento ai «fratelli» (nelle sue tasche i carabinieri hanno trovato più di 1 Ornila euro) - l'appartamento secondo gli inquirenti, era il vero punto di snodo dell'organizzazione. Da qui, i «mujiaddin» diretti nel resto d'Europa, passavano per rifornirsi di documenti e soldi. Nell'organigramma del gruppo terroristico, che disponeva di ben tre basi a Milano (le altre erano in Corso Lodi e viale Bligny), il vertice, secondo gli inquirenti, era rappresentato da «Hamza il libico», un giovane di 22 anni, al secolo Faraj Farj Hassan, nato in Libia e già domiciliato in viale Bligny 42, un bilocale diventato noto due anni fa come luogo di ritrovo di estremisti islamici. Lui, che nel gennaio scorso tentò di far perdere le tracce lasciando Milano e trasferendosi a Londra (dove è stato arrestato per un falso passaporto e dove adesso attende l'estradizione), è l'uomo considerato l'anello di congiunzione tra i vertici di Al Qaeda e le cellule milanesi. Farj «Hamza», secondo i rapporti degli agenti Ehi che segnalarono agli inquirenti milanesi la sua presenza in città, avrebbe tenuto i rapporti con i terroristi di Osama Bin Laden scappati in Iran e in Yemen e tra questi lo stesso figlio dello sceicco del terrore. È seguendo la traccia lasciata da «Hamza», il cui nome si ritrova nelle indagini sul presunto attentato che si sarebbe dovuto compiere alla Basilica di San Petronio a Bologna, che i magistrati hanno ricostruito lo schema del gruppo, scoprendo il ruolo di ciascuno degli arrestati. Se Hamza era il capo, Saadi Nassim, residente ad Arluno, era il vice, con contatti in Iran e Pakistan, addetto al reclutamento. Ieri è stato interrogato a San Vittore per alcune ore. Poi c'era Cherif Said, «il decisionista», Rihani Lotti, seguace convinto di Bin Laden e Lazher Ben Khalifa, il falsario. Infine Zarkaqui Imed Ben Mekki, arrestato a Sanremo: favoriva le infiltrazioni tra Francia e Italia ed era in contatto per i documenti falsi con una certa Brigitte, sulla costa Azzurra. A Malta arrestato l'uomo che manteneva i contatti e riforniva i «fratelli», in tasca aveva 10 mila euro Nel capoluogo lombardo erano tre le basi. A capo c'era «Hamza il libico» di 22 anni che è in carcere a Londra Il palazzo di Giustìzia di Milano