La forza e la ragione
La forza e la ragione La forza e la ragione mhiRiotta i a superpotenza americana disturba, ed è giusto ' che sia cosi, il potere corrompe insegna la Costituzione Usa e occorre sempre bilanciarlo con contropoteri. Magari sarebbe utile un pizzico di riflessione: assodato che un solo superpotere è sgradevole, ci sentiremmo meglio se il vantaggio tecnologico e militare di cui oggi gode Washington fosse in mano a Berlino? Se fosse la Francia la sola superpotenza? Se i destini del mondo fossero affidati ai nostri leader politici? Se toccasse ai giapponesi la leadership? Dormiremmo sonni più tranquilli se a manovrare la leva del potere globale fossero gli accoliti di Putin al Cremlino? O gli enigmatici cinesi? Il presidente americano, al massimo, fa danni per anni otto: ma come si assicura il ricambio a Pechino? La riflessione, modesta, è utile, davanti alle minacce di guerra all'Iraq. Contrapporre la forza americana alla saggezza del vecchio continente è esercizio che ha le sue contraddizioni. Un marziano che studiasse la storia del XX secolo troverebbe scarse prove di saggezza nella prima e nella seconda guerra mondiale, nel lager e nel gulag, o nella distruzione dell'Africa per il colonialismo europeo (12 milioni di morti in Congo per le ambizioni del piccolo Belgio!). Meglio, molto meglio, considerare quel che accade senza tifo da stadio, ma con serietà. Gli Stati Uniti sono feriti dall'11 settembre del 2001. Hanno assemblato una coalizione, vincente a Kabul contro i Taleban sanguinari. Adesso mettono sul tappeto il caso Iraq. Ma sforzare la guerra a tutti i costi contro Saddam Hussein è sbagliato. Perché chi ha l'egemonia (un termine di Antonio Gramsci, rilanciato adesso da Joseph Nye come "soft power") deve procedere accoppiando forza e consenso, come l'America seppe fare, brillantemente, nel secondo dopoguerra. Sforzare amici e nemici è esercizio che, alla lunga, non paga. Gli europei devono però dire, senza mezzi termini, come intendono prevenire la minaccia di armi di sterminio di massa in mano a Saddam. No alla guerra? Benissimo: ma come rimandare gli ispettori? Come creare una coalizione forte e determinata? L'Europa, Chirac, Berlusconi, Blair e Schroeder-Fischer, deve scegliere: se spreca la metà del suo bilancio in sussidi all'agricoltura, che affamano il Terzo Mondo, e non sa schierare in campo neppure un piccolo esercito di 60.000 uomini, non avrà voce né sulla guerra né sulla pace. Contro i dittatori, spesso, le armi sono più utili dell'insalata. Questo giornale si chiama Global, da quando nessuno aveva mai sentito il termine. Non vuol dire che siamo i paladini della globalizzazione sfrenata (su queste pagine avete letto le critiche più raziocinanti contro il turbomercato). Vuol dire che le uniche vere soluzioni di pace e sviluppo sul nostro pianeta sono globali. E' utile ricordarlo ai focosi interlocutori di George W. Bush, ma è giusto anche rammentarlo ai timidi europei. Solo insieme si riducono i pericoli nel mondo e si rilancia io sviluppo. Dimenticarlo porterà davvero a un mondo globale, ma globale per guerre e miseria. gianni.riotta@lastampa.it
Persone citate: Antonio Gramsci, Berlusconi, Chirac, George W. Bush, Joseph Nye, Putin, Saddam Hussein, Schroeder-fischer
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