Perché le ragazze copiano le Veline

Perché le ragazze copiano le Veline Perché le ragazze copiano le Veline A metà degli anni Cinquanta, Roland Barthes notava che nelle strade di Parigi tutti i ragazzi somighavano a Gerard Philipe e tutte le ragazze a Michèle Morgan. Un' osservazione di costume che sottendeva un interrogativo importante: sono i mass media a rispecchiare la realtà o, viceversa, è la realtà a riprendere i tratti e i modelli che essi ci propongono? Vado al cinema e ritrovo sullo schermo quel che accade intomo a me, oppure percepisco nel film personaggi e situazioni che vorrei vivere in prima persona? Le ballerine televisive sono come le ragazze d'oggi, o le ragazze d'oggi sono come le ballerine televisive? La risposta non è affatto ovvia, al punto che la maggior parte di studi sulle comunicazioni di massa verte intomo a questo cruciale problema teorico. Vale allora la pena di riflettere sul paradosso di Woody Alien, secondo cui la vita imita, non più la letteratura, come predicava Oscar Wilde, ma la cattiva televisione. Ce ne offre oggi ulteriore occasione Una, nessuna... a quando centomila?, un denso volume curato da Loredana Cornerò, responsabile dell'ufficio studi Rai, dedicato alla rappresentazione della donna in tv. Il libro, che riprende i risultati di una ricerca socio-semiotica condotta da un gruppo di studiosi dello lulm di Milano (Chiesi, Marsciani, Siliato, Capecchi, Ballotta, Deni, Lancioni, De Maria), contiene minuziose analisi di un gran numero di telegiornali, approfondimenti, talk show, trasmissione di divulgazione scientifica, rubriche di servizio etc, mandate in onda dalla Rai all'inizio del'99. Il che permette di affrontare la questione del femminile televisivo in termini rigorosi e puntuali, al di là dei luoghi comuni e delle approssimazioni che spesso capita di sentire su questo argomento. Per esempio, che cosa significa esattamente "femminile"? Siamo certi che si tratti di un dato naturale, e quindi scontato, oppure dobbiamo pensare alla definizione culturale di questo dato, all'immagine che della sessualità viene costruita nelle diverse occasioni sociali? Quando si parla della donna nei media, infatti, bisogna avere in mente non tanto l'elemento biologico, ma quel che la nostra società ritiene che la donna sia, nei suoi rapporti con le altre donne, nelle RECEGianMa sue azioni d'ogni giorno, nei ruoli che assume a seconda delle circostanze e, soprattutto, nelle sue relazioni con l'altro sesso. Una cosa, per esempio, è la donna in quanto corpo, che i media ci offrono spesso per frammenti eroticamente connotati (le gambe, la scollatura, il viso), tutt'altra cosa è il suo sguardo, ossia ciò che la donna, come essere culturale, è portata a vedere, a esprimere, a raccontare. Quando si parla, allora, di "donna oggetto", a che cosa ci si riferisce? Al corpo femminile come fonte di piacere (maschile), o all'ideologia (maschile) più o meno nascosta che divide il mondo in azioni (maschih) e sentimenti (femminili), in saperi autorevoli (maschih) e opinioni confuse (femminili)? La ricerca ci mostra.molto bene come le due cose non vadano necessariamente di pari passo, e che oggi la televisione italiana ci offre immagini meno "gastronomiche" del corpo femminile, pur mantenendo una visione del mondo prevalentemente maschUp. Quando per esempio in una trasmissione di divulgazione medica si dà la parola all'esperto, accade che gli uomini vengano inquadrati in giacca e cravatta SIONE anco one mentre le donne rigorosamente in camice. I primi, così, non hanno bisogno di alcun segno di riconoscimento per esser considerati autorevoli: sono medici e basta; le seconde devono esibire un rivestimento che le caratterizzi come persone degne d'es^ ser ascoltate, di esser ritenute credibili. Oppure, quando in un dibattito si dà la parola a una donna, sentiamo dire spesso: "è una madre di famiglia, ma anche. ..", 'bella, ma ricopre un ruolo importante..."; in quel "ma" si dissimula insomma un pregiudizio maschile. Del resto, è quel che fa anche Vespa nel suo talk show: manifesta stima verso i personaggi maschili, tratta con galanteria queUi femminili. Le analisi contenute nel libro hanno poi un altro merito: quello di rendere problematica, oltre all' idea di donna, quella di rappresentazione. Da una parte, i diversi interventi insistono sul fatto che la televisione, soprattutto quando fa informazione, deve tener conto della realtà estema. Così, se in un governo non ci sono ministri di sesso femminile, è assurdo accusare l'informazione di far cronaca pohtica mostrando soltanto uomini; se invece nel governo le donne sono presenti, il problema delle pari opportunità d'accesso in televisione diventa pertinente. D'altra parte, non è solo una questione di numeri e di tempi di esposizione in video, ma di modelfi di genere che la televisione proponer e-che non possono non riverberarsi sui telespettatori. Quando alle donne viene riservata la sfera del sentimento e della confidenza, mentre agli uomini quella delle azioni e del giudizio ultimo sui valori in gioco, è evidente che si sta costruendo, o mantenendo, uno stereotipo forte, che agirà da modello di comportamento su tutti noi. Faremo insomma come quei giovani parigini d'antan, desiderosi d'essere come i propri eroi cinematografici, senza renderci conto d'esser lo specchio appannato della (cattiva) televisione. UNA RICERCA SULLE DONNE IN TV, FABBRICA DI STEREOTIPI MASCHILI: NON E' SOLO QUESTIONE DI «CORPI OGGETTO», IL GENTIL SESSO E' CONFINATO NELLA SFERA DEL SENTIMENTO RECENSIONE Gianfranco Marrone Loredana Cornerò (a cura di) Una, nessuna... a quando centomila? La rappresentazione della donna in televisione, Rai/Eri, pp. 232,6 75,49 SAGGIO

Luoghi citati: Michèle Morgan, Milano, Parigi