IL BELLO non esiste

IL BELLO non esiste wm ^s^" T ^Mfamtwm RBANA intervista OGNI sìngolo edificio non è un fatto estetico, è ima cosa che o funziona o non funziona, punto». Carlo Olmo, 58 anni, un curriculum che tiene due videate di Internet, preside della prima facoltà di Architettura, nonché direttore scientifico del «Dizionario di Architettura del XX Secolo» edito da AUemandi, è il nuovo «City-Architect» della Torino pre-olimpica. Anche se tutto lo fa pensare, Carlo Olmo non è laureato in Architettura. «Ho fatto filosofìa» precisa orgoglioso, in un bisbiglio che rimarrà tale per tutta l'intervista («una tecnica per far stare in silenzio gli studenti»). Una premessa critica - quella di aver fatto filosofìa, con laurea in Estetica con Vattimo, per giunta - che complicherà la vita di chi è alla ricerca di suggestive semplificazioni fra bello e brutto (è o non è lui il nuovo garante del decoro e dell'arredo uriiano?). Guai poi a tirare in ballo termini come «abbattere o salvare», volgare aut aut che lo porta a disegnare nervosamente piccoli spirali su quel foglio bianco su cui si è concentrato a inizio intervista. «No, guardi, non mi sentirà mai dire che quell'edifìcio è da radere al suolo e quell'altro, invece, è da valorizzare. L'architettura non è regolata soltanto da principi estetici. La preoccupazione primaria deve essere un'altra. Come rendere il più possibile agevole la vita ai propri cittadini». Sortiigliànza'notevole con Woody Alien, camicia bianca con collo alla coreana (uguale a quelle dell'architetto Isozaki), occhialini azzurri, seduto alla scrivania in vetro nel siù bell'ufficio (non si sa se il più ìinzionale) della città, nel cuore del Castello del Valentino: soffitti affrescati, sedie firmate Mollino, («non c'è nulla che non sia firmato da grandi designer» annota lui) il «Tapiorso» di Gabetti e Isola buttato sul parquet consumato dai secoli. Allora, professore, niente ruspe sulle brutture della città? «Ha capito bene, niente ruspe. Ciò che può essere bello per me, magari non lo è per lei, nel senso che c'è molto di soggettivo in queste valutazioni, l'abbattimento non può essere gui¬ dato da principi estetici. E poi non mi è mai piaciuta la filosofia del "piccone demolitore"». Ma neppure se si avventa contro il palazzaccio dei Lavori Pubblici? Sospiro. «Vede, quell'ambito, che è stato affidato ad Aimaro Isola, rappresenta un problema non da poco. H Duomo, in sé, ha un'altezza frontale ridotta. Un "difetto" che passa inosservato proprio grazie al fatto che di fronte, a fargli da contrappeso, c'è un altro volume: quello del Palazzo in questione. Il problema che lei pone si potrebbe affrontare in due modi. Ripulirlo, cioè riportarlo all'originale o buttarlo giù, ma a quel punto non sarebbe facile inventarsi qualcosa di nuovo e migliore. In quel fazzoletto di città si affacciano due sovrintendenze, passano i tram, ci sono gli uffici comunah, negozi. Chi ci mette mano deve tenere conto di tutto questo. Ma soprattutto non può tralasciare che qualcosa, al posto dei Lavori pubblici, ci vuole comunque, per non mortificare il Duomo. Torino ha davanti a sé mol-. te metamorfosi obbligate. Che farà da grande? Che idea di città ha il nostro City-Architect? «La città esiste se esprime valori collettivi, il nostro compito è quello di rifunzionalizzare la struttura urbana. E l'architettura esiste laddove c'è conflitto, confronto, democrazia. Altrimenti c'è soltanto edilizia. Ha presente quello che hanno fatto gli architetti di "Avventura urbana" nel quartiere di via Arquata quando andavano fra là gente a. chieder loro di cto cosà atàivaT 'bisógno? Quello ! è l'esempio giusto. La qualità di una città la ottieni non facendo il Guggenheim, ma lavorando per rispondere appieno alle esigenze, di chi la abita. Noi, nei prossimi dieci anni, dovremo imporci di progettare secondo le necessità, attraversando momenti di confronto e di scontro. La Torino del 2010 sarà una grande città postindustriale con molti centri, anzi, per la precisione tre o quattro centri. Al di là di quello storico, ci sarà Spina 1, con la Biblioteca Unica, il passante ricucito, le Officine Ferroviarie. E' una metamorfosi dà far tremare le vene nei polsi. Poi ci sarà la zona del Lingotto e dei Mercati Generah. Sono aree che vanteranno delle eccellenze architettoniche, ma «Ciò che va bene a me "può non piacere ad altri e la qualità di una città la si ottiene non facendo un Guggenheim ma rispondendo alle esigenze di chi la abita» queste andranno suffragate da servizi. Prenda per esempio il Palahockey di Isozaki. Lui non potrà fare soltanto il suo bel cubetto e andarsene, si dovrà sforzare di osservare quella zona dall'alto, tenendo conto, insomma, dell'ambito unitario». E il Passante? La nuova stazione di Porta Susa? La vecchia Italia '61? E il Museo Egizio? «Con la copertura del Passante riconquisteremo il passaggio da Est a Ovest. Sulla nuova stazione Porta Susa, invece, posso soltanto dirle che, cosi com'è, il progetto andrà modificato. Italia '61 : dal momento che all'inizio mi domandava se ci sono o meno errori urbanistici in questa città posso dirle che rappresenta un errore. E' monunentale, autoreferenziale. Ecco perché oggi rappresenta una presenza soltanto ingombrante. Che ci faremo del Palazzo del Lavoro? E' una struttura quasi impossibile da riutilizzare». E i faraoni? «I faraóni stanno bene lì e possono stare bene anche altrove ammesso che stiano lì». Scusi, in che senso? «Nel senso che se la parte storica, quella che è ormai parte integrante del museo di via Accademia delle Scienze resta dov'è, mentre la parte più spettacolarizzabile si trasferisce magari su Spina 3 dove appare assolutamente più fruibile, il gioco vale la candela. Ma non illudiamoci, non sarà un trasloco facile». IL BELLO non esiste I professor Cario Olmo, preside della facoltà di Architettura e City-Architect