«Anche il mondo degli aiuti faccia autocritica»

«Anche il mondo degli aiuti faccia autocritica» MIGLIAIA DI SIGLE/ MILIARDI DI FATTURATO, «30 MILA LAVORATORI RETRIBUITI: IL VOLONTARIATO E DIVENTATO UN BUSINESS MONDIALE «Anche il mondo degli aiuti faccia autocritica» I presidente del Consorzio italiano di Solidarietà: stiamo dimenticando le nostre radici a questi appuntamenti intemazionali di cui si individua la vacuità, l'astrattezza, l'inconcludenza. Una linea del rigetto delle decisioni e delle politiche che vengono decise in questi organismi, una richiesta di autogoverno, di autodeterminazione, di autogestione rispetto sia alle situazioni nazionali che ai movimenti sorti dal basso in questi anni». Nel suo libro colpiscono le cifre degli aiuti intemazionali: solo m Italia un fatturato di 73 mila miliardi di lire, 630 mila lavoratori retribuiti, migliaia di sigle. Questo peso economico, quanto ha cambiato la natura della vostra attività? L'ha snaturata? «Bisogna distinguere. Nel mondo del volontariato e del terzo settore ci sono diverse tendenze, diverse esperienze. Una parte di questo mondo si è ormai piegata a esigenze che non sempre riconducono alle motivazioni originarie. Nel mio libro parlo di tendenze legate alla rincorsa del business e alla sostituzione dello Stato. Dall'altra parte però vi sono ancora tante esperienze, soprattutto nellepiocoleoiganizzazbni NelSuddelmondo, ma anche in Europa, le realtà più vive cercano di conservare un'ispirazione, una motivazione originaria fondata sulla gratuità, sulla radicalità della propria azione, sulla considerazione che i diritti della giustizia e della solidarietà vengono al primo posto, prima della sopravvivenza - e qui intendo la sopravvivenza delle organizzazioni come struttura e come staff. La crescita delle attività d'impresa, per alcune diqueste mganizz azioni, ha accentuato le tendenze di tipo prof e ssionistico e ha s naturato le motivazioni originarie. Questo è un rischio serio, soprattutto perché parte di questo mondo viene utilizzato o per smantellare lo Stato sociale - soprattutto in Europa e in Occidente - o come strumento delle politiche neo liberiste: quello che non può più fare lo Stato o quello che possono fare le imprese, viene fatto magari in collaborazione con queste Ong». Che tipo di riforma si può immaginare, ih questa condizione sospesa tra contraddizioni così forti? «Se l'espressione non fosse troppo ambiziosa, direi: una riforma politico-moiale. Una riforma che inviti le organizzazioni e le persone coinvolte a guardarsi dentro per una riflessione autocritica rispetto a quello che ci è successo. Ciò che bisognerebbe cercare di promuovere è l'autonomia, che molte di queste organizzazioni hanno perso. L'autonomìa politica e quella economico-finanziaria, perché dipendono al 90 per cento - quando non totalmente dai fondi dello Stato o delle imprese. Il che determina scelte che non rispondono alle motivazioni originarie. Potrei faire molti esempi di interventi umanitari, dove la dipendenza dai donatori è stata talmente forte da avere corroso l'autonomia. Occorre quindi tornare all'autofinanziamento, a un rapporto con la società civile, alla capacità di elaborare proposte politiche e umanitarie. E poi bisogna cambiare alcuni comportamenti spiccioli: smettere di scimmiottare i comportamenti delle imprese o del mondo politico, fare in modo che i dirìgenti delle organizzazioni non siano tutti fior di professionisti stipendiati ma ci siano anche i volontari; fare in modo che i bilanci siano composti da una quota significativa di autofinanziamento, almeno il 50 per cento. E poi chi lavora nelle organizzazioni non va trattato come un lavoratore precario o in nero, ma deve partecipare alle attività dell'organizzazione. Molte organizzazioni non hanno più una partecipazione democratica intema effettiva. In alcuni casi sono dirette secondo princìpi feudali, con il capo carismatico che indirizza le azioni quotidiane». A Johannesburg gli Stati Uniti hanno posto con forza questo 'scambio: aiuti al mondo non sviluppato contro garanzie di trasparenza, democrazia e determinate politiche economiche. «Mi sembra un ricatto, uh condizionamento pesante, determinato dai parametri che gli Stati Uniti impongono sulla base soprattutto dei loro interessi politici ed economici nel mondo. Da questo punto di vista mi sembra inaccettabile. E' chiaro che gli aiuti devono essere legati alla promozione dei diritti umani e della democrazìa. Come ricorda l'economista AmarthiaSen, la democrazia è la base di una lotta efficace alla povertà, alla carestia e al sottosviluppo. Però questa imposizione ha il sapore di qualcos altro, ha il sapore di un condizionamento legato agli interessi dì potenza egemone». Questo problema esiste anche per le Ong. Ci sono Paesi africani in cui gli aiuti vengono utilizzati come strumento di potere, quando non di guerra «E vero, ne abbiamo numerosi esempi. In quei casi non è certo stata fatta valere la legge della "good govemance", rome viene definita l'idea di buon governo, in base alla quale dovrebbero esseir decisigli aiuti». GII aluti del volontari stanno diventando un business miliardario intervista Domenico Quìrico IL vertice di Johannesburg è l'occasione di rimettersi in discussione non soltanto per i governi e le grandi organizzazione internazionali ma anche per il pianeta del volontariato e della solidarietà. E per fare autocritica senza falsi pudori e retorica della bontà». Giulio Marcon è il presidente del Consorzio italiano di solidarietà e ha scritto per Feltrinelli «Le ambiguità degli aiuti umanitari», un saggio che ha scatenato un vivace dibattito all'interno del terzo settore Johannesburg è l'occasione per le Ong di riflettere sulla propria attività in questo momento storico, in questo contesto intemazionale? «Assolutamente sì. Diciamo che a Johannesburg, come a Porto Alegre e nelle tante altre sedi dove in questi ultimi anni sì à discusso, emergono sostanzialmente due linee: quella che tende a un rapporto di positivo e costante dialogo con gli organismi intemazionali, cercando - attraverso un lavoro di lobby e di pressione - di raggiungere risultati positivi nelle sedi in cui vengono discusse le politiche. E quella, emersa soprattutto da Seattle in poi, di non riconoscere più legittimità al ruolo degli organismi internazionali.

Persone citate: Domenico Quìrico, Giulio Marcon, Mila Lavoratori

Luoghi citati: Europa, Italia, Porto Alegre, Seattle, Stati Uniti