Il Viminale sulla graticola «È un'invasione di campo»

Il Viminale sulla graticola «È un'invasione di campo» PISANU: RPUCtANEI GIUDICi, SI CHIARIRÀ TUTTO Il Viminale sulla graticola «È un'invasione di campo» La^rfesa degli uominfdeirintelligénce: «Nòrìtocta ai macjtótrati giudicare il nostro operato. De Stefano? Ha ignorato solo informative ripetitive» retroscena Guido Ruotoio ROMA El da Genova, ormai è passato un anno, che i vertici del Viminale si ritrovano sulla graticola. I suoi uomini più impegnati sul fronte della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata si ritrovano al centro di inchieste giudiziarie, finendo indagati. Per i pestaggi alla Diaz (e per gli scontri durante il G8), sono saltati il vicecapo vicario della Polizia, Ansoino Andreassi (oggi al Sisde), e il capo dell'Antiterrorismo, Arnaldo La Barbera (oggi al Cesis). L'inchiesta della Procura di Genova su quei pestaggi, che deve ancora concludersi, ha ipotizzato il reato di calunnia, abuso d'ufficio, oltre che dì violenza e lesioni, nei confronti, tra gli altri, del direttore dello Sco, il Servizio centrale operativo, Francesco Gratteri, del suo vice Caldarozzi e del vice dell'Antiterrorismo, Gianni Luperi. Adesso, per la mancata sopita al professore Biagi, la procura di Bologna ha deciso di indagare il capo dell'Antiterrorismo, Carlo De Stefano, che ha preso il posto di Arnaldo La Barbera, e uno dei suoi vice, Stefano Berrettoni (indagati sono anche il prefetto e il questore di Bologna), per concorso in omicidio colposo. Nell'imo, ma soprattutto nell'altro caso, Bologna, si ripete che le indagini erano e sono «un atto dovuto». In questo clima, si rincorrono le solite voci su un imminente terremoto che investirebbe i verti¬ ci del Viminale, come se lo stillicidio di fughe di notizie da Genova e Bologna non avessero già incrinato le fondamenta del Viminale. Non sono tranquilli e neppure sereni, i responsabili del Dipartimento della Pubblica sicurezza. I vertici del Viminale non nascondono la loro initazione per l'inchiesta sulla mancata protezione al giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse il 20 marzo scorso: «La decisione di Bologna - è il loro commento - è grave perché rappresenta ima invasione di campo, uno sconfinamento del processo penale. La magistratura. ritiene che sia di sua competenza anche la politica della sicurezza, ritenendo di dover valutare come reato le mancate scelte di protezione di soggetti ritenuti a rischio». Il ministro Pisanu ha ribadito la fiducia nell'operato della magistratura. Dal Viminale osservano: «All' indomani della strage di via D'Amelio, vi furono polemiche accese perché sotto casa della madre di Paolo Borsellino non era stato previsto il divieto di sosta per le auto. Saltò anche il questore, ma la magistratura non pensò certo di incriminare qualcuno. Oggi, viene indagato il direttore dell'Antiterrorismo per non aver trasmesso delle informative del Sisde ai responsabili provinciali dell'ordine e della sicurezza. Insomma, De Stefano con la sua negligenza, avendo sottovalutato quelle informative, avrebbe nei fatti favorito le Brigate Rosse. E' come se al sindaco di Roma, la mancata manutenzione delle strade venisse contestata in un concorso in omicidio per il semplice fatto che una buca sul selciato d'asfalto ha impedito a una volan¬ te di bloccare l'auto in fuga degli assassini». I vertici del Viminale attaccano l'inchiesta della Procura di Bologna, avviata sulla base di un esposto dei familiari del 1 professore Biagi, sul metodo e nel merito. Sul metodo: «L'eventuale negligenza di De Stefano - dicono in sostanza - e la valutazione del suo operato spettano all'autorità nazionale di Pubbhca sicurezza e non a un pubblico ministero di Bologna». Nel merito, il Viminale respinge le contestazioni ai suoi Uomini: «De Stefano ha fatto molto di più di quello che avrebbe dovuto. Ha ripetutamente sollecitato i prefetti e i questori a una maggiore "attenzione" sul mondo del lavoro. Su una ventina di segnalazioni del Sisde, ne ha trasmesse diciassette alle varie autorità interessate, le altre sono state ritenute o ripetitive o non condivisibili. E' una valutazione che legittimamente spetta al dirigente centrale della Pohzia di Prevenzione». L'informativa «incriminata» riguardava gli Nta, i Nuclei territoriali antimperialisti del Nord Est, che avevano diffuso un volantino contro il Patto per il lavoro. La «difesa» del Viminale contesta l'eventuale «negligenza» del vertice dell'Antiterrorismo, ricordan¬ do intanto che gli Nta «non hanno ucciso Biagi», che «operano nel Nord Est e non a Bologna», che «non sono mai andati oltre le iniziative simboliche», e che «le segnalazioni sul mondo del lavoro erano copiose nelle precedenti informative». Insomma, che quella nota del Sisde «era superflua». Anche al prefetto di Bologna, Sergio lovino, la Procura di Bologna contesta di aver sottovalutato un «cifrato» del responsabile dell'ufficio Ordine pubblico, Tagliente, che soUecitava particolare attenzione nei confronti di chi «collaborava con la Zanussi». E Marco Biagi era uno dei suoi consulenti. Un anno dopo Genova (e Napoli), la stangata di Bologna rischia di incrinare ancora di più la fiducia tra magistratura e pohzia. E soprattutto, di creare una frattura tra opinione pubbhca e istituzioni. E' un rischio grave, in un momento così deheato di mobihtazione di tutti gh apparati di intelligence e di sicurezza per neutralizzare il terrorismo (interno e intemazionale). E' un rischio reale, dal momento che la reazione dei vertici del Viminale alla inchiesta sulla mancata scorta al professore Biagi è così dura: «Quella della Procura di Bologna è una invasione di campo».