Campana, un'ombra matta nei vicoli di Genova di Giuseppe Marcenaro
Campana, un'ombra matta nei vicoli di Genova INFORMAZIONE RISERVATA DEL RETTORE DI BOLOGNA AL PREFETTO DELLA CITTA' LIGURE: «FACILMENTE SI ABBANDONA A VIOLENZE...» Campana, un'ombra matta nei vicoli di Genova L'INEDITO Giuseppe Marcenaro CAMILLO Sbarbaro, nel 1921, rievocandolo nel!' immaginario, lo "incontrò" a.Genova. Le jDoche pagine dell"'estroso fanciullo" mettono in scena un piccolo psicodramma dove si fondono due febbrili universi: quello dell' irruente Dino Campana che emanava disagio e sembrava sempre sul punto di "cavar di tasca qualche cosa d'insanguinato"; e quello del dolente e rinunciatario Sbarbaro: "Sono un burattino che ha ancora bisogno di un po' d'aria". L'uomo dei Trucioli "vide" l'uomo dalle mani da assassino, buono e furibondo, per l'antica piazza dei tornei, sotto una torre quadrangolare svariata di smalto che si alzava accesa sul corroso mattone a capo di vicoli cupi, palpitanti dì fiamme. Lo trovò, con la sua figura accesa e tozza, dove non poteva che essere: nella Piazza Sarzano di Genova, un luogo "mistico" che mosse lo spirito al fuggitivo, al transfuga dalle tante città. Sedettero a un'osteria. Scorti, potevano sembrare congiurati. Invece parlavano di poesia. Ma adesso l'inunaginario si confonde, crea ombre e illusioni. Fantasmi. Angoli dove bisognerebbe vietare lo sguardo ai filologi, a quanti mettono m riga le date per dare un andamento temporale alla vita di Campana che, a quel punto, era già un gomitolo imbrogliato e sfatto. Veniva da Bologna. A Genova si era trasferito per seguire le lezioni di chimica all'università. Qualcuno doveva avei-gli detto che l'aria di mare avrebbe giovato al suo stato di salute. I due, separati da magri e vaporosi bicchieri di vino rosso, rievocarono il tempo di Firenze, dove s'erano conosciuti, al caffè Paszkowski; e dove il poeta dei Canti Orfici offriva il proprio libro, soltanto a chi lo meritasse, secondo il suo giudizio. Arrivando a Genova anche Campana cercò l'amico, che da qualche parte doveva assolutamente essere: "Tu eri Sbarbaro... E ora chi sei?". Non avevano più illusioni. Poi, dopo il fuggevole incontro. Campana scomparve inseguendo ombre di viaggiatori terribili e grotteschi come ciechi. I due non sapevano però che nell'aria, come usa l'efferata discrezione burocratica che pensa la poesia un'arte bella e non una scommessa con la vita, alitava una "informazione riservata", (esposta alla recente e intrigante mostra dedicata a Campana, aperta a Bologna a cura di Marco Antonio Mazzocchi e Gabriel Cacho Millet). La lettera metteva sull'avviso il Prefetto di Genova che, come morbo infetto, avrebbe cercato di stabilirsi da quelle parti lo "studente Dino Campana". Si era incaricato della comunicazione il Rettore dell' Università di Bologna. Avvertiva la "S.V. Illma" che "certo Dino Campana destava qualche timore e sospetto perché conosciuto come uomo che facilmente si abbandona a violenze... ho saputo poi che il Campana fu ricoverato fino a poco tempo fa nel Manicomio provinciale di Imo¬ la. ..". Era stato rinchiuso - secondo la cartella clinica - "per toglierlo dai gravi pericoli del suo stato impulsivamente irritabile e per la sua vita errabonda che lo potrebbe esporre a gravi pericoli". Aveva vent'anni, studiava chimica ed era affascinato dalla letteratura. Quando piombò a Genova sembra fosse reduce da improbabili viaggi. Sognati e reali: il Sudamerica. Odessa. Anche Anversa. Bruxelles... Per Sbarbaro l'uomo rosso aveva l'aspetto di un Lautréamont gemente. Era l'ombra di Baudelaire. Rimbaud redivivo, con le suole di vento. marcenaro@libero.it Il poeta Dino Campana
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