VETRO bollente di Renato Rizzo

VETRO bollente INCRISI A VENEZIA LA STORICA ATTIVITÀ DEGLI ARTIGIANI DI MURANO, DANNEGGIATA DALLE IMITAZIONI PROVENIENTI DALL'ORIENTE VETRO bollente Renato Rizzo inviato a VENEZIA LA crisi del vetro di Murano assedia l'estate veneziana. Perciò da settembre quel!'operaioartista che è il maestro vetraio comparirà su giornali, manifesti, cartelloni, per dire come una tuta bianca «No global», in una campagna pubblicitaria della Armando Testa. Perché la causa principale della crisi è la globalizzazione: sono troppi i vasi e le sculture, i lampadari e i piatti, che fanno il verso alle creazioni d'arte delle fornaci muranesi e sono reahzzati, un tanto al chilo, in Cina o a Taiwan, nella repubblica Ceca o nelle fabbrichette della Romania. Così il maestro vetraio di Murano (la colorata isola della laguna di Venezia), inteso come paradigma d'un mestiere che «crea con un soffio un sogno così fragile che un soffio potrebbe distruggere», lan eia il vade retro alla mondializ zazione. Viva il «locai», viva la nicchia: meglio se tutelata, come accadrà, da un marchio «Murano», con- i cesso soltanto a ditte che garantiscano uno standard di qualità. I maestri Vetrai 'tìlliraiifesi sòricTrimè^ i ! !sti in pochi,' T gibvaiii non ambiscono questo mestiere difficile e faticoso, e questa è anche ima causa di crisi. Il maestro vetraio, che mo- | della il vetro incandescen- \ ' te soffiando in una apposi- \ ta canna, rappresenta una aristocratica tradizione professionale, nella piccola isola veneziana, famosa in tutto il mondo, dove le imprese artigianali per la realizazione dei vetri soffiati sono nate prima delle case e dove già mille anni fa la Serenissima Repubblica aveva confinato questa produzione per evitare al massimo i rischi di spionaggio, con divieto agli artigiani esperti di espatriare, mentre il paron custodiva gelosamente il «libreto de le partie», un taccuino su cui erano segnate le varie percentuali di elementi per ottenere le sfumature di colori che rappresentavano un vero marchio di fabbrica. Famoso soprattutto il rosso veneziano. Misteri alchemici che, in qualche misura, resistono ancora, nei tempi della chimica applicata e dei computer. «Chiunque ha lavorato in ima fornace è stato abituato a una regola: parlare poco e "robar con gli oci" da chi ne sapeva di più».- dichiara Vittorio Ferro, uno dei grandi maestri, che ha esposto alla Biennale e, ancora oggi, a 70 anni, continua a realizzare opere d'impalpabile leggerezza (in mostra alla veneziana Galleria Regina). Alle spalle di quest'uomo dallo sguardo acceso ci sono 57 anni di attività: «Ne avevo 13 quando sono entrato in fornace come garzone e tra i miei compiti c'era quello, ogni mattina e ogni pomeriggio, d andare all'osteria a prendere un quarto di vino per lo scagner, il maestro. Lui lo versava in un bicchiere ottenuto con gli scarti della lavorazione: pieno per sé, a metà per il servente, un po' meno per il serventino. Il lavoro? Testa bassa e ubbidire. Poi, nei momenti di pausa, quando gli altri staccavano per il pranzo, i primi tentativi: un animaletto, un portacenere». Ricorda gli anni del dopoguerra con i forni alimentati a lignite: «Il fumo aleggiava nella fabbrica, la gente si ammalava di tbc, perché c'era poco da mangiare. Senza contare i rischi di contagio visto che nella stessa canna si soffiava, a turno, in quattro. L'orario era semplice: tutti i giorni della settimana, domenica compresa. I soldi te U davano il mercoledì avvolti nella carta gial- la da polenta. In ogni fornace c'era un andirivieni di gente che portava masse di vetro incandescente e arnesi roventi. Avevamo tutti i calzoni bruciacchiati e pieni di toppe colorate, come arlecchini. Mutua? No, c'era l'assicurazione. Nei periodi in cui scendevano le ordinazioni e ùparon decideva di lasciarti a casa, qualcuno arrivava a stamparsi sul braccio un pezzo di vetro bollente per far scattare l'infortunio. Così lo pagavano ugualmente. Avevo soltanto diciott'anni quando sono diventato maestro» Oggi la tecnologia ha cambiato molto il lavoro: ci sono gli aspiratori per i fumi, coloranti non tossici, spazi più congrui, pannel¬ li per isolare dal calore - che, nei forni, raggiunge i 1500 gradi - e un bravo maestro arriva a guadagnare anche 100 mila euro all'anno. Ma all'origine di tutto resta sempre quell'atto semphee eppure magico: un respiro che modella e dà vita alla forma. Il vetro fuso agganciato alla canna sembra un serpente gelatinoso e proteiforme che sfugge: l'artista lo gonfia come una bolla di sapone, lo porta a tensioni audaci, lo doma con strumenti uguali a quelli usati secoli fa. Poi, aiutato dai serventi, lo raffredda e lo inchioda nell'immagine voluta. E' faticoso, signor Ferro? «Si suda, certo. Ma più per la concentrazione che per il caldo ola fatica». Dall'anno scorso é stata aperta a Murano una scuola destinata a chi vuole imparare quest'arte. Ferro vi ha tenuto un corso: «E' utile soprattutto perché gli allievi imparano a leggere un disegno, a trasformarlo in un elemento tridimensionale. Ma veri professionisti si può diventare soltanto lavorando. La fornace é la mamma del vetro e dei maestri. Sa che cosa non sopporto? Certi giovani che si sentono arrivati prima ancora di cominciare: fanno un oggetto tutto storto perché non sono capaci di realizzarlo meglio e sono convinti d'aver creato un'opera d'arte. E' una grande mistificazione. Il guaio é che c'è chi gli dà corda. Senza buone basi tecniche artisti non si diventerà mai. Ci sono operai che resteranno sempre garzoni o serventi. Le gerarchie sono stabilite dalle capacità». Oggi che la crisi rischia di far morire un'attività millenaria, ricorda gli anni '60 quando il mondo di Murano era gonfio e iridescente: «Gli sceicchi e i sultani ordinavano partite di 500 bicchieri, bottighe, caraffe con decori dorati per le loro ambasciate e le loro regge». Ancora s'insegue la memoria di un mirabolante lampadario a 124 luci creato per una moschea. con marchio di qualità una produzione millenaria che oggi rischia di scomparire Da settembre parte una grande campagna per difendere e rilanciare Parla uno dei maestricapaci di modellare capolavori unici Un mestiere faticoso rifiutato dai giovani Per conservarlo è nata una scuola urano iana. eraiotraio festi, a tuta mpaando ipale ione: ure, i nno il delle hzzaa o a eca o ania. urano na di igma n un he un , lan z \ ' \ oola o il iana vetri e case renisfinato are al aggio, sperti paron breto u cui ntuali umatavabrica. venee, in coca n n a i gni ane un ner, il n un scarti r sé, a meno Testa menaccantaticenecon marchio di quuna produzione millenaria che oggrischia di scomparDa settembre paruna grande campper difendere e rilli per isforni, raun bravgnare anno. Ma sempre re magice dà vitagganciserpentche sfugme una tensiostrumsecovendafasuccfvcovanprimfannoperchzarlo d'aver una graio é chebuone bdiventeresteranventi. Ldalle ca In centro pagina vaso di Claudio Gianolla, tipica opera muranese. Sopra il maestro vetraio Vittorio Ferro e un gallo da luì realizzato

Persone citate: Armando Testa, Claudio Gianolla, Murano, Vittorio Ferro

Luoghi citati: Cina, Romania, Taiwan, Venezia