IntesaBci, è l'ora delle scelte strategiche

IntesaBci, è l'ora delle scelte strategiche IL DILEMMA DI PASSERA: CONSOLIDARE IL GRUPPO ALL'ESTERO 0 PUNTARE SU UNA BANCA NAZIONALE? IntesaBci, è l'ora delle scelte strategiche la storia Flavia Podestà LA caduta delle principali piazze finanziarie sembra non finire mai, e al suo seguito dilaga la sindrome della paura che sta facendo prigionieri ovunque sulle due sponde dell'Atlantico: ma non con le stesse conseguenze. La fuga dal rischio che è generata negli Stati Uniti, paradossalmente, potrebbe produrre conseguenze più penalizzanti in Europa. E' vero, infatti, che almeno nel breve periodo nell'occhio del ciclone è finita la business community a stelle e strisce. Con la psicosi che porta i manager delle società americane a evitare di assumersi la responsabilità dei bilanci, autodenunciando non solo più vizi contabili veri e propri, ma anche semplici variazioni sul tema dei criteri con cui si sono sempre stilati i rendiconti delle società quotate al listino di New York. Con il disorientamento della opinione pubblica americana, sotto l'onda d'urto degli scandali. Con i patemi degli investitori istituzionali, angosciati dal sospetto di nuove brutte sorprese e dal timore di nuovi attacchi terroristici. L'America, però, ha in sé gli anticorpi per estirpare il male che ha messo a nudo le sue fragilità in campo finanziario. Lo testimoniano la rapidità e la lucidità con cui le varie componenti del sistema hanno preso atto dei guasti e delle loro molteplici concause che un finanziere navigato come Francesco Micheli sintetizza neir«associazione a delinque¬ re con cui managers privi di etica, consulenti avidi e comitatisti compiacenti hanno perpetrato per anni la sistematica spoliazione delle società». Se resta un dubbio sulla velocità con cui gli Usa riusciranno a esorcizzare il male - tenuto conto che contro gioca la scarsa credibilità su questo terreno dell'amministrazione americana in cui persino il vice di Bush è sfiorato dall'ombra dei sospetti per essere stato sino a un armo fa vicepresidente di una società a rischio - non ci sono dubbi sulla loro capacità di uscire alla fine dalle secche della crisi. La delusione degli investitori istituzionali statunitensi cesserà non appena si avrà sentore che le pulizie straordinarie sono concluse. Non ci sono, invece, elementi che consentano di nutrire in Europa speranze analoghe. Anzi. In Europa c'è il rischio che le banche - che sono, almeno nell'area continentale, gli investitori istituzionali più importanti - imputando perdite e crediti a rischio accumulati extra moenia all'impossibilità di disporre in giro per il mondo di punti di osservazione sufficientemente affidabili, decidano di rinunciare a essere player globali, di derubricare dalle proprie tabelle di marcia le ambizioni del wholesale banking, di chiudere (o di depotenziare fortemente) le proprie presenze e attività all'estero, per riconcentrarsi nelle proprie aree di influenza tradizionale. Se questo è vero per l'Europa, lo è tanto di più per l'Italia che era già carente di soggetti creditizi capaci di operare fuori dai confini nazionali. La cartina di tornasole di questo scenario di progressiva marginalizzazione del paese sullo scacchiere finanziario intemazionale è rappresentata da Intesa Bei, l'istituto presieduto da Giovanni Bazoli al quale la conquista della Banca Commerciale Italiana ha conferito una deriva internazionale. Non sono infatti gruppi creditizi particolarmente attivi sul piano intemazionale né Unicredito Italiano, né San Paolo Imi, né Mps o Bnl, a dispetto delle bandierine poste nei diversi paesi dell'Est europeo: in quelle aree il mercato è ancora così poco evoluto da richiedere essenzialmente attività proprie della banca retail con, semmai, l'appendice del risparmio gestito e della bancassurance. Diverso il discorso di Intesa Bei sulla cui plancia di comando Bazoli - costretto a misurarsi con i problemi creati alla banca da alcune mosse sull'estero - ha chiamato Corrado Passera, cui ha conferito i pieni poteri e l'imperativo di recuperare redditività. Guai è la situazione che ha preoccupato il presidente e qualche grande azionista della prima banca italiana? Intesa Bei ha visto ingrossare il monte crediti problematici sull'estero. Per qualche acquisizione avventata come quella compiuta da Sudameris in Perù alla vigilia della conquista della Comit da parte di Banca Intesa; e per essersi incagliata in situazioni spinose come quelle di Enron o di Vivendi. Intesa Bei vanta 180 milioni di euro di crediti nei confronti di Vivendi Universal (il campione multiutility francese che Jean René Fourtou cerca di riportare nei binari delle compatibilità economiche); 160 milioni di euro verso Vivendi Environment; 150 milioni di dollari nei confronti di WorldCome; 230 milioni di euro nei confronti del gruppo Enron; e 150 milioni di euro verso Suisse Air. Si tratta complessivamente di 870 milioni di euro circa. Si potrà anche dire che per l'attività estera d'Intesa Bei sarebbero stati auspicabili risultati migliori. Non sarebbe logico, però, arguire da quella esposizione la conferma dell'urgenza di chiudere con le ambizioni intemazionali sulla scorta di una presunta incapacità delle strutture dedicate all'attività estera di misurare il rischio con corretta approssimazione. In campo nazionale. Intesa Bei dove è davvero difficile sostenere che non disponga della presenza e della strumentazione necessarie per monitorare la realtà - ha assunto rischi in valore assoluto maggiori e ben più concentrati. Questo per dire che le future scelte dell'istituto milanese di via Monte di Pietà e il suo eventuale riposizionamento strategico non potranno essere giustificati con alibi che non reggono ai numeri, prima ancora che alla logica. Corrado Passera, per il momento, si è limitato a costruire la sua squadra rinviando a settembre la presentazione del piano industriale che dovrà delineare i tratti somatici d'Intesa Bei per il prossimo futuro. Il mercato vuole capire innanzitutto se il nuovo amministratore delegato - come è già successo a Poste Italiane - si limiterà a porsi obiettivi triennali per poi spendere il successo su altri tavoli e inseguire nuove sfide, o se si propone invece di cavalcare le scommesse di Intesa Bei in una logica di lungo periodo: il piano industriale sarà essenziale per decodificare le intenzioni di Passera. Se a vincere saranno le logiche di breve - che hanno il vantaggio di placare i patemi del presidente e degli azionisti d'Intesa Bei e di dare a Passera l'ebbrezza d'incassare subito il successo sul piano del recupero della redditività - non c'è duìbio che la via maestra sarà quella di tagliare tutte le aree a rischio all'estero per concentrarsi sul paese. Va tenuto presente, però, che il rovescio della medaglia sul lato della banca sarà la sconfessione delle ragioni che hanno portato Intesa a conquistare la Comit, e sul piano del paese sarà la rinuncia all'unica possibilità di avere un gruppo creditizio di livello intemazionale: Intesa Bei potrà essere, tutt'al più, una solida banca regionale. Se, invece. Passera dovesse decidere che le scommesse di Intesa Bei sono qualcosa di più di una parentesi nella propria avventura professionale e optare così per strategie dì lungo periodo volte a fare della banca un player almeno dì livello europeo, ciò che resta della Comit avrebbe una sua ragione d'essere e la partita potrebbe rivelarsi ben più appagante, ancorché molto più complessa. Sarebbe più appagante, innanzitutto, per il paese, affamato come pochi dì istituzioni finanziarie solide, di livello almeno europeo, e non prigioniere di logiche romanocentriche. A dispetto della presenza del governo e della Banca d'Italia, Roma non è tutto. Non lo è, soprattutto, per II sistema economico nazionale. Corrado Passera, amministratore delegato di IntesaBci