Stamperia clandestina per I militanti di Al Qaeda di Massimo Numa

Stamperia clandestina per I militanti di Al Qaeda L'UOMO ERA IN CONTATTO CON UNA MOSCHEA Stamperia clandestina per I militanti di Al Qaeda Scoperta a Torino, «produceva documenti perfetti». In fuga un marocchino Massimo Numa TORINO Una delle cellule torinesi collegate alla rete di Al Qaeda era proprio qui, nel cuore di Porta Palazzo, il quartiere multietnico di Torino, in una soffitta di appena 20 metri quadrati. Gli investigatori pensano che i documenti falsi fabbricati a Torino, potrebbero essere finiti nelle mani dei terroristi. Referente della stamperia, un marocchino di 32 anni, nome di battesimo Sayed, adesso inseguito da un ordine di custodia cautelare, firmato dal pm Gnelio Dodero. Pochi giorni fa è saltata l'ultima trappola. Al suo posto, nella casa individuata dopo mesi di indagini dagli inquirenti, c'era il fratello, che ne aveva acquisito le generalità per «potere lavorare», visto che il ricercato aveva un regolare permesso di soggiorno; lui ne aveva usato il nome come copertura, ingannando così anche la polizia e rischiando di finire in carcere. L'altro, cioè il vero Sayed, sembra letteralmente svanito nel nulla. Forse ha trovato rifugio in Germania, a Francoforte. La base era in piazza della RepubbUca 14, all'ultimo piano di un vecchio fabbricato, tradizionale,, .rifugio. ndi .^e.qi^p di clandestini; il 15 '(^ejnbre 200 j,. I erano, state gtà arrèstgte dalla polizia Sanaa Boutabbouch e la sorellastra Hayat Boutaleb, di 21 e 28 anni, nate a Casablanca, studentesse di una scuola coranica, assidue frequentatrici di una delle moschee di Porta Palazzo soprese all'interno della soffitta. All'interno, un laboratorio per falsificare i documenti d'identità, permessi di soggiorno, passaporti, stampanti laser e scanner dell'ultima generazione. Persino una serie di cliché originali di banconote, nascoste nella colonna di un camino. Infine uno schedario della contabilità, con i nomi di fantasia per identificare i clienti e di destinatari dei documenti falsi. Esempio: «Ibrahim, 250 mila lire», costo finale di una delle tante operazioni. Decine di cartelline ordinate per nome, una fitta ragnatela di contatti che portano a Roma, Milano, Parigi, Reggio Emilia, Napoli, Caltanissetta, Ragusa e Francoforte. Dal nascondiglio, ricavato in una nicchia, spuntarono centinaia di documenti originaU in bianco, rubati negli uffici anagrafici di molti Comuni italiani pochi mesi prima. Infine, passaporti e carte d'identità marocchine e di altri paesi arabi. pronti per essere rielàborati. I familiari, che risiedono a Porta Palazzo, hanno «ripudiato» Sayed. «A volte usava il mio nome e ho passato molti guai ha detto il fratello che vive e lavora da anni a Torino - perché io di queste storie non ne so nulla e non ne voglio sapere nulla. Pochi giomi fa ho rischiato di andare in prigione al suo posto. Sapevo da tempo che era in contatto con i seguaci di Bin Laden, ma ormai se ne è andato da mesi. Forse è in Germania, comunque non si è mai fatto vivo. Io non vogho più saperne, voglio solo essere lasciato in pace». Sayed era in stretto contatto con una moschea torinese e, con l'aiuto delle due donne, nel frattempo scarcerate, aveva organizzato la stamperia clandestina, in attività - almeno - dal dicembre '99.1 documenti, presi in consegna dagli esperti dell'antiterrorismo, erano assolutamente «perfetti», quasi indistinguibili dagli originali, destinati alla rete milanese di Al Quaeda. Nella vecchia soffitta di piazza della Repubblica nascevano fogli di permessi di soggiorno identici agli originali, stampati sulla carta del Pohgrafico dello Stato. E poi ancora patenti, carte d'identità marocchine e italiane e. certificati di proprietà della auto, polizze assicurative. Le sorelle, allora, non avevano hanno voluto neppure spiegare dove avevano recuperato quelle carte d'identità in bianco che tenevano in bell'ordine nello schedario per i documenti. Dissero di essere state sorprese dalla polizia «per caso». Adoperavano uno scanner per riprodurre i permessi di soggiomo. Al computer, invece, elaboravano il resto dei documenti. Per le carte d'identità, invece, c'erano le macchine da scrivere: una meccanica ed una elettrica, con i caratteri identici a quelli «ufficiali». «Sembrò molto strano - spiegò allora il commissario Luciano Nigro che la malavita extracomunitaria potesse avere a disposizione strumenti così sofisticati, in grado di realizzare copie perfette». Questa storia porta lontano. Un sofisticato laboratorio per falsificare passaporti e permessi di soggiorno oltre a cliché di banconote Dell'organizzazione facevano parte due studentesse di una scuola coranica Gli agenti mostrano i falsi documenti che venivano fabbricati nella stamperia di Torino

Persone citate: Bin Laden, Dodero, Hayat Boutaleb, Luciano Nigro, Sanaa Boutabbouch