Loi-Bertolani: due poeti che si abbandonano al racconto di Giovanni Tesio
Loi-Bertolani: due poeti che si abbandonano al racconto Loi-Bertolani: due poeti che si abbandonano al racconto RECENSIONE Giovanni Tesio DAOLO Bertolani e Franco Loi, due poeti dialettali tra i più importanti del panorama poetico contemporaneo, danno corso al versante meno frequentato del loro mondo espressivo: Bertolani tornando a proporre presso il melangolo il «Racconto della Contea di Levante» (pp. 144, 6 7,75) che già era apparso in prima edizione ventitré anni fa, Loi tirando fuori dal cassetto alcuni testi narrativi rimasti inediti e scritti tra i venti e i ventiquattro anni, sul finire della stagione neorealista. Con il titolo «L'ampiezza del cielo» (pp. 152, 6 13.00) è l'editore milanese Ignazio Maria Gallino a pubblicarli. Per Bertolani si tratta d'un libro di storie che si muovo¬ no con antiretonca nativa, tra Faulkner e Pavese, nei siti lunigiano-garfagnani intorno a Sarzana: borghi e personaggi di un comprensorio ibrido e meticcio, cui conduce un precetto goethiano: "Chi vuole comprendere la poesia deve andare nella terra della poesia; chi vuol comprendere il poeta deve andare nella terra del poeta". A voler essere precisi, nel caso di Bertolani la "terra del poeta" è molto più circoscritta di quanto suggerisca la geografia, e basterebbero proprio le pagine del «Racconto della Contea di Levante» a fare da guida: stipeti, canneti, viottoli intrigati e fuorimano, posti del cucco, botri e caligo, fichi, siepi, muretti, olivi e olivastri, mulattiere e castagneti, vigne e casotti da niente, orti grami, siti da magagliare, boschi da carbonizzare, poggi e colline e bricchi e "il mare com'è fatte da così lontano", vale a dire la ben individuata mappa già registrata da Giudici quando nell'introdurre la raccolta poetica dell'esordio dialettale parlò d"'una sassosa natura d'entroterra", della bastardella di una con- RECENGioTe SIONE nni o traversa appartenenza "né ligure, né toscoemiliana, non più marinaresca, non ancora appenninica", con un'area di controversia che in linea d'aria "sarebbe da misurare in centinaia o magari appena decine di metri". Quella di Bertolani è una Liguria stretta dalla fame e dagli stenti, dalla scabra reticenza delle parole e della vita, cui la morte (e i morti) s'impastano negli occhi di un bambino che cresce e che ritorna ai luoghi abbandonati. Nel caso di Loi si tratta d'una raccolta di racconti quasi tutti ambientati a Milano (a Firenze una storia d'interrogativi d'amore, a Colomo la cronaca di un funerale da niente e di un chierichetto un po' vergognoso). Una Milano tra guerra e dopoguerra, tra bombardamenti e fame, tra guerra civile e paure e morti ammazzati e angosce e ansie infinite, ma toccata da uno strazio che può improvvisamente sprigionare la sua gioia incongrua e segreta, cui il titolo allude. La scena urbana di Loi (anch'essa molto circoscritta se tutto o quasi tutto avviene specialmente intorno all'ombelico di via Casoretto) è abitata da operai e da popolani che vivono il tempo degli scontri frontali, delle spietatezze e delle viltà capaci di umiliare ogni umana avventura. Non solo personaggi tragicamente sommersi o fortu- nosamente salvati (i morti ammazzati che popolano i giorni e le notti d'una memoria infantile piena di spaventi indelebili), ma soprattutto la scrittura che sa toccare i registri più drammaticamente frivoli, come nella storia di Madame Vivian, pellicciala senza pellicce, o più lucidamente tragici come in quella dell'impiccato Natale Colombo, ferroviere disperato. Tra gli estremi dell'uno e dell'altro, il gusto di una musicalità da espressionista, che induce a leggere il libro come un non trascurabile incunabolo della poesia che verrà non pochi anni dopo. Franco Loi Paolo Bertolani Racconto della Contea di Levante il melangolo, pp. 144,6 7,75 RACCONTI
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