Il compagno di mezzanotte ci restituisce la vera Ballestra di Silvia Ballestra
Il compagno di mezzanotte ci restituisce la vera Ballestra Il compagno di mezzanotte ci restituisce la vera Ballestra RECENSIONE Angelo Guglielmi DERCHÉ Silvia Ballestra scrive solo oggi II compagno di mezzanotte in cui ripesca nella memoria i suoi diciassette anni, la sua vita in un piccolo paese, le amiche (delusioni comprese), le esperienze di liceale, l'esame di maturità, l'attesa dell'università e del suo possibile futuro? Non avrebbe dovuto essere il suo primo romanzo (e non dopo averne scritto quattro forse cinque)? La domanda appare arbitraria e stupida: non c'è un tempo per la cosiddetta «ispirazione» e nemmeno per la scelta degli argomenti di natura autobiografica; nulla obbliga a seguire l'ordine cronologico e può capitare che il libro che racconta gli anni dell'adolescenza ap¬ paia (sia scritto) dopo quello dedicato a la vecchiaia. Qui conta il momento magico (e quando capita?) in cui quel ricordo da cronaca si fa fantasia e pensiero. Ma nel caso della Ballestra quella mia domanda non è troppo stupida. E' che la Ballestra con II compagno di mezzanotte toma a una qualità di scrittura che avevamo apprezzato nel Compleanno dell'Iguana e nella Guerra degli Anto (anche questi due romanzi con forte debito autobiografico), una scrittura che non riferisce ma scopre, che poi aveva abbandonato nelle imprese successive (penso al romanzo Nina] in cui la parola si era fatta pesante e )redicativa, abbandonando quella eggerezza avvolgente e (appunto) di scoperta delle sue prove precedenti. Perché ha deciso di ritornare a ciò che sembrava aver abbandonato? Di tomare indietro (a prima)? Io azzarderei questa ipotesi. E' che la Ballestra è a suo agio quando ha di fronte una materia fortemente autobiografica che, per la sua indubbia natura di realtà (vissuta), le consente da una parte di tenere alta la credibilità del dettato e dall'altra di sperimentare soluzioni stilistiche più libere ed efficaci. Quando invece è alle prese con la realtà oggettiva, sempre più impalpabile e tendenzialmente virtuale. RECENAnGug SIONE lo elmi la mossa stilistica non le riesce (le manca la base su cui far forza) e scivola in un dettato non convmcente e in una lingua piatta e ininteressante. Perde insomma la gioia dello scrivere, che non si limita a riconoscere le cose e a nominarle ma le ripropone come nascessero (si evidenziassero) proprio lì (per la prima volta). Anzi siamo più precisi: la Ballestra che amiamo (per esempio di questo ultimo romanzo) usa (utilizza) lo stile per allargare gli spazi, e sfuggire alla prigionia in cui il quotidiano ci chiude e il reale si riduce. Un esempio? Nel Compagno la protagonista Nina (il romanzo si risolve in un suo lungo monologo) davanti a un torto subito da un'amica si chiede se può perdonarla o no. E decide che non può perdonarla ma non perché non vuole" ma perchè non sa cosa è il perdono: «Non sapevo se il perdono era qualcosa che tanto colui che lo dispensava quanto chi ne beneficiava dovevano conquistare, e neppure sapevo se stava appeso in cielo nel mondo delle idee come un sentimento che quando te ne sentivi pronto potevi raccogliere semplicemente sollevando il braccio. In ogni caso, io non tanto mi tenevo scostata dalla possibilità di perdonare, quanto piuttosto non riuscivo a intravedere la strada che avrei dovuto compiere affinché quel sentimento, incamminandomi nella giusta direzione, a propria volta irradiasse verso di me». Rimbomba in queste righe l'eco di coloro che chiamiamo classici per i quali esprimersi era inventare (ogni volta) il mondo, ma per inventare le parole (e toccare la realtà del mondo) occorre che l'energia messa in campo trovi una resistenza su cui rimbalzare e produrre la scintilla fondativa, trovi qualcosa di duro e incontestabilmente reale che faccia da sponda e consenta un ritomo imperioso (e fattivo). E non c'è sponda più certa che l'evento già passato in giudicato, ciò che c'era ma oggi non c'è più, la biografia, un viaggio già consumato, la memoria autobiografica, il resoconto di un tempo passato, un diario ritrovato. Ed è per questo che io, diffidente dalla realtà qui e ora, obbligatoriamente sospettata di virtualità e comunque di incorporeità, da tempo vado dicendo che l'unica letteratura oggi capace di inventare parole, di creare conpscg.nza e spalancare nuovi orizzonti è la letteratura di memoria o la letteratura di viaggio. E trovo continue conferme a questo mio convincimento: non è assolutamente un caso se gli ultimi libri di narrativa di qualche (vero) interesse sono il bellissimo L'Alba di un nuovo mondo di Asor Rosa, questo Compagno della Ballestra e il Casanova di Vassalli appena uscito. E appena prima di questi il Giappone della Marami, l'Afghanistan di Terzani o i Deserti di Malatesta. E' che si può scrivere un grande libro sull'II settembre, mentre la paura di un nuovo 11 settembre può solo produrre retorica e parole vuote. Silvia Ballestra ripesca nella memoria I suol diciassette anni, la sua vita in un piccolo paese, le amiche (delusioni comprese) e la scuola Il compagno di mezzanotte. Silvia Ballestra Rizzoli2002,pp. 171,6 12
Luoghi citati: Afghanistan, Giappone, Vassalli
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