«La Bce non dovrà più aumentare i tassi»

«La Bce non dovrà più aumentare i tassi» «La Bce non dovrà più aumentare i tassi» L'economista Gros: il cambio potrebbe arrivare a 1 ;30 e allora perderemmo il 607o del pil intervista Luigi Grassia PROFESSOR Gros, per anni si sono sentite lamentazioni sul cambio debole dell'euro rispetto al dollaro, quasi fosse un'umiliazione o ima prova di fallimento della moneta comune. Adesso c'è orgoglio per il rapporto lai ma già si odono geremiadi uguali e contrarie per i danni del cambio forte sull'export. C'è motivo di gioire o di cadere in paranoia? L'economista tedesco Daniel Gros, già allievo di Federico Caffè e ora consulente della Banca centrale europea, non vede motivo né di entusiasmo né di preoccupazione: «L'euro debole faceva bene alla bilancia commerciale europea - dice al telefono alla Stampa - ma suscitava qualche apprensione per l'inflazione. Adesso che è forte l'effetto è inverso, ma in un caso come nell'altro l'oscillazione non è drammatica. In concreto, ora la Bce sarà meno preoccupata dalle tensioni sui prezzi e non deciderà di aumentare i tassi come si riteneva inevitabile fino a poche settimane fa. Ma non credo che farà nemmeno l'inverso, tagliando i tassi. Starà a vedere che succede». Come fa da parecchio tempo. È una giustificazione a posteriori della politica seguita? «Ma no, la Banca centrale europea è stata fortunata, gli ultimi sviluppi erano imprevedibili». Nel senso che il capovolgimento dei rapporti di forza fra euro e dollaro è irrazionale? «No, anzi è molto razionale, perché un deficit americano delle partite correnti di 400 miliardi di dollari all'anno non era sostenibile e non giustificava il dollaro forte. Però la situazione durava da tempo e non era prevedibile in che momento i mercati ne avrebbero preso atto. Ma tengo anche a sottolineare che per ora il riequilibrio fra le grandi regioni economiche del mondo non sta andando nel senso giusto». , Cioè? «È in atto una fuga di capitali dal dollaro verso l'euro, che rivaluta la moneta europea e rende meno competitivo l'export dall'Ue agli Usa. Ma questo non corregge lo squilibrio di fondo, perché il deficit commerciale americano non è verso l'Europa ma verso alcuni paesi emergenti, che hanno valute deboli e surplus commerciali ma che ultimamente hanno perso capitali a vantaggio degli Stati Uniti. A medio termine si può sperare che il flusso dei capitali in fuga dagli Usa si diriga non verso l'Ue ma verso i paesi in via di sviluppo. Se in questi paesi il tasso di cambio col dollaro si rafforza, i loro surplus commerciali si riducono, ma se contemporaneamente si riducono anche i tassi di interesse, l'effetto complessivo sulla crescita può essere positivo». Come favorire tale sviluppo? «La cosa fondamentale è attirare capitali nei Pvs con più trasparenza finanziaria, più rigore di bilancio e più apertura economica». Scusi, ma sono le solite, conte- statissime strategie delTFmi... «Contestate sul "timing", ma non sulla direzione di marcia. Neanche il più grande critico deU'Fmi, Joseph Stigliz, mette in dubbio che si debba fare così. Contesta solo che vada fatto nei primi sei mesi di una crisi anziché nei primi tre anni». Se il riequilibrio non avviene lungo l'asse Usa-Pvs ma su quello Usa-Ue, che succede? «Sempre più capitali americani affluirebbero in Europa e per un po' il machismo di certi politici europei verrebbe soddisfatto, come ora, dalla nostra moneta che si apprezza sul dollaro. Ma alla lunga questo fenomeno danneggerebbe la nostra bilancia commer- ciale, che adesso è in pareggio. Nel 1995 fra il dollaro e il marco tedesco (allora moneta guida in Europa, ndr) si stabilì un rapporto di cambio che, convertendo i marchi in euro, equivarrebbe a un cambio attuale di 1,30 dollari per euro. Potrebbe succedere ancora e in tale caso il riequilibrio della bilancia commerciale Usa avverrebbe a scapito dell'Europa, togliendole almeno un 60Zo del pil. Sarebbe un brutto colpo». Si può provare a guidare i rapporti di cambio con accordi fra banche centrali? «No, non è più tempo. Magari si possono concertare delle fasce di oscillazione, ma per indurre oggi le banche centrali a muoversi contrastando i mercati dovrebbe trattarsi di fasce talmente larghe, per esempio fra 0,80 e 1,30, da non avere significato». Daniel Gros, direttore del Centre for European Politicai Studies (Ceps) e consulente della Banca centrale europea

Persone citate: Daniel Gros, Federico Caffè, Gros, Joseph Stigliz, Luigi Grassia Professor, Professor Gros

Luoghi citati: Europa, Stati Uniti, Usa